Omelie 2017 di don Giorgio: DECIMA DOPO PENTECOSTE

13 agosto 2017: DECIMA DOPO PENTECOSTE
1 Re 8,15-30; 1 Cor 3,10-17; Mc 12,41-44
Il tempio come muratura e come corpo
In tutti e tre i brani della Messa si parla di tempio: del primo e grandioso tempio in muratura fatto costruire da Salomone, con i soldi del padre Davide (primo brano); del tempio vivo, che è ogni essere umano, santificato dalla presenza dello Spirito divino (brano di San Paolo); infine, nel brano del Vangelo, si parla del tempio di Gerusalemme, ai tempi di Gesù, disonorato dai detentori ufficiali della legge, ma onorato dal gesto di una donna, vedova e povera, che riscatta da sola la casa di Dio, diventata “una spelonca di ladri”.
Dunque, al centro d’attenzione il tempio come luogo sacro, che, proprio per la sua materialità rischia di mettere in difficoltà l’Essere infinito e, per la sua corporeità, la presenza dello Spirito divino.
Alcune domande provocatorie
Si pone subito una domanda: a volere un tempio in muratura è stato veramente il Signore oppure, anche qui, si tratta di orgoglio di un potere, in perfetta simbiosi tra stato e religione, che pretende così di imprigionare Dio come simbolo del potere stesso?
La Bibbia dice che il Signore ha messo una condizione, ovvero che il tempio venisse costruito non con le mani piene di sangue del re Davide, e poi si dice, nella stessa Bibbia, che a volere quel sangue è stato lo stesso Jahvè. Non è una contraddizione?
A parte il fatto che Salomone ha potuto costruire il tempio con il materiale già preparato dalle mani piene di sangue del padre Davide, una cosa è certa: i numerosi santuari o basiliche costruiti lungo la storia millenaria della Chiesa sono palesemente il frutto di penitenze di potenti/ricchi convertiti, dopo aver sparso sangue innocente.
Ma, anche qui, come in tante altre realtà, vige sempre la regola che giustifica ogni ingiustizia in nome di quel principio secondo cui dal male proviene sempre anche un bene, ma, chissà perché, i giusti dovrebbero sempre soffrire e addirittura essere martirizzati perché diventino così una dimostrazione della legge cosiddetta “provvidenziale” del male come occasione di bene.
Sembra che il bene maggiore provenga dal male maggiore, come a dire: più male = più bene, dimenticando che forse il bene non è tanto il frutto del male dei farabutti o assassini, ma della giustizia dei giusti stessi. Scusate questa osservazione: è vero che i martiri sono diventi poi esempi di giustizia e onorati come tali dalla società e dalla Chiesa, ma, se non fossero stati uccisi, non avrebbero potuto incidere di più nella società?
Luoghi sacri come centri di fede e di speranza
Ma vediamo anche il lato positivo dei luoghi sacri: luoghi dove intere generazioni di gente povera e sottomessa da soprusi del potere dominante trovava consolazione in quel Dio che, al di là di una religione talora connivente con i soprusi dei potenti, dava la forza morale e spirituale di sopportare le ingiustizie sociali e gli scandali di una fede maltrattata o violentata dagli stessi ministri sacri.
Quel gesto della vedova da non dimenticare nella sua essenzialità
Più che lo staffile usato dallo stesso Cristo  contro i mercanti nel tempio, basterebbe il gesto della donna, vedova e povera, per riscattare tutto il marcio di una religione che aveva tradito la sacralità della casa del Signore. Se ci piace un Cristo con in mano lo scudiscio, ci piace ancora di più quella vedova, essa sola capace di grandi valori con gesti umili e generosi: un esempio di dono radicale anche dell’essenziale.
E pensare che le nostre chiese sono piene, quando sono piene, di gente a cui è quasi proibito chiedere la rinuncia al superfluo, non tanto per darlo ai ministri del Signore o ai poveri, ma per la loro stessa rinascita interiore. E non è facile far capire questo, abituata com’è la nostra gente ad essere sottoposta a donare qualcosa per chissà quale causa nobile, quando invece dovrebbe essere educata all’essenziale, come stile di vita.
E qui mi viene spontanea una critica, che mi coinvolge anche personalmente: noi preti, purtroppo, abbiamo fatto della casa del Signore anche un luogo dove si chiede alla gente di fare sacrifici per dare qualche offerta per questo o per quest’altro motivo, facendo perdere al luogo sacro quella purezza di spazio interiore, dove potersi incontrare con la realtà dello Spirito. In tal modo non si dà l’idea che, venendo in chiesa per partecipare alla Messa, si esca poi giustificati solo perché ci sembra di essere diventati più buoni, solo perché abbiamo dato qualcosa, una minima parte del nostro superfluo, per una giusta causa, per poi, lungo la settimana, continuare ancora a vivere da esseri bruti, attaccati al dio soldo che ci fa perdere ogni senso di giustizia, di quella giustizia che nasce dentro di noi non dai diritti del nostro essere, ma dai doveri di essere ciò che siamo? E dire essere è dire tutto, o almeno suggerire la strada giusta perché ogni essere umano riscopra l’essere, prima dell’avere. Anche la giustizia sociale si fonda sui doveri insiti nell’essere umano, e non sui diritti di un corpo che sembra dominare su tutti i campi.
Solo una domanda, che contiene diversi miei dubbi: oggi, per questa nostra umanità come una massa di popoli in ricerca di altre patrie, in ogni caso in fuga verso l’ignoto più che in cammino verso una terra promessa, ecco, che cosa è veramente necessario perché questi popoli abbiano un futuro diverso e perché anche noi, che pensiamo di aver già raggiunto un posto sicuro o quasi, possiamo godere quella serenità e quella gioia di una patria che va oltre i confini stabiliti dal nostro egoismo?
Al di là delle proprie credenze religiose che sembrano fatte apposta per disunire più che per unire, non è quel Divino, presente in ogni essere umano, a sacralizzarci come esseri umani?
E noi siamo ancora qui a porre questioni sui luoghi sacri, da garantire ai più privilegiati e da negare ai più sfortunati, per paura che diventino centrali di terrorismo, forse perché le nostre chiese si sono svuotate di quella potente divina energia, oramai disoccupata.
Al di là della libertà di culto, che è segno di civiltà, la vera questione è questa: come ritrovare quella umanità, che coinvolge tutti e non solo alcuni, che non appartiene ai più fortunati, ma è la vera patria di ogni essere umano?

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