13 ottobre 2024: VII DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 43,10-21; 1Cor 3,6-13; Mt 13,24-43
Anche questo primo brano della Messa è ricco di riflessioni. So che qualcuno si aspetterebbe un commento al terzo brano, che riporta la notissima parabola della zizzania. Mi ricordo che da piccolo mi dicevano che era la parabola preferita dai parroci, aggiungendo maliziosamente che forse conoscevano a memoria solo quella, anche perché offriva una ghiotta occasione per fare applicazioni di carattere morale. Bastava soffermarsi sulla parola “zizzania”, e gli strali del parroco colpivano ogni angolo della propria comunità.
Il primo brano è tolto dal libro di Isaia, precisamente dal testo del cosiddetto Secondo Isaia, anonimo profeta, vissuto negli anni successivi al 538 a.C., quando il re persiano Ciro il Grande, sconfitti i Babilonesi, aveva permesso agli Ebrei esuli di tornare nella terra dei padri, in Palestina, abbandonata nel 586 a.C., al momento della distruzione di Gerusalemme.
Il profeta immagina un Israele disperso ai quattro punti cardinali, non solo quindi a Babilonia, che viene da Dio strappato dai luoghi del suo esilio per convergere verso Sion. L’annunzio di questo ritorno acquista ancora una volta un tono di contesa giudiziaria, coinvolgente tutti i popoli, anche quelli pagani, perciò idolatri, i quali non possono – se convocati in un’ideale assise – testimoniare in favore dei loro dèi come artefici di liberazione e di salvezza. È ciò che, invece, fa Israele davanti a tutte le nazioni, divenendo così testimone del Signore perché tutti lo riconoscano come l’unico vero Dio.
Il profeta invita il popolo eletto a guardare indietro su quanto il Signore ha fatto, sulla liberazione che era stata voluta secoli prima uscendo dall’Egitto, progettata, maturata attraverso la fede di Mosè che seppe vincere il Faraone.
Il popolo d’Israele deve riprendere le sue forze ritornando alle origini, mantenendo fede alla legge e alla memoria dei grandi fatti, operati da Dio. Questo popolo ha sempre creduto che, comunque, non doveva disperare e le meraviglie del Signore debbono diventare patrimonio delle nuove generazioni. Nel Salmo 78,3-4 il popolo prega: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto». Pensate anche al Magnificat, quando Maria esclama: «(L’Onnipotente) ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo…».
Maria non dice: l’Onnipotente butterà giù dai troni i potenti, denuderà dei loro beni i ricchi, ridarà giustizia agli oppressi. Non usa i verbi al presente o al futuro: se Dio ha già liberato il suo popolo dalla schiavitù egiziana, lo può fare ancora e lo farà sempre. Ricordare il passato del comportamento di Dio ha questo senso: riporre fede in quel Dio che già ha dimostrato di valere, a differenza degli dèi pagani che non combinavano nulla di buono.
Dio solo può dire: “Io, io sono il Signore e all’infuori di me non c’è alcun salvatore”. Notate la ripetizione: “Io, io…”. Dio solo può dire “IO” ripetendolo, e solo Dio può dire “Io sono”. In quel “sono”, verbo essere, sta il passato, il presente e il futuro. L’essere non ha tempo: “è”, sempre. Dio è l’eterno, ovvero l’Eterno presente.
Nel Vangelo secondo Giovanni è ricorrente sulle labbra di Gesù la formulazione «Io Sono».
«Se non credete che Io Sono – dice Gesù ai suoi avversari – morirete nei vostri peccati» (Gv 8,24); «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo – dice ancora agli stessi – allora conoscerete che Io Sono» (Gv 8,28). E, rivolgendosi sempre a loro, afferma: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse Io Sono» (Gv 8,58).
Guardate invece ciò che succede tra noi precari, creature, perciò limitate in tutto. Ci mettiamo al posto di Dio. Sarà capitato anche a voi di sentir dire da qualche politico: “Tu non sai chi sono io”. E lo dice facendosi forte per il suo potere, conquistato sgomitando, e per i suoi soldi, magari rubati. Più corretto sarebbe dire: “Io ho”, e non “io sono”. E quando diciamo io, magari ripetendolo, pensiamo all’ego che ha svuotato l’intelletto e riempito di cose perfino la nostra realtà interiore.
“Io, io ho”, e comando, condiziono, mi faccio obbedire, mi creo una massa di devoti idioti. Questo succede ancora oggi nel campo politico e nel campo religioso. L’ego ha svuotato l’essere o l’essenzialità divina, e ne stiamo pagando le conseguenze, in tutti i campi.
Notate: Dio, per mezzo del profeta, dice: «Io sono Dio, sempre il medesimo dall’eternità. Nessuno può sottrarre nulla al mio potere: chi può cambiare quanto io faccio?».
Come dire: non ho mai avuto alti e bassi, sempre lo stesso, perché “Io sono”, e l’essere non subisce gli umori del tempo. Dio è il Bene assoluto, ovvero libero, sciolto da ogni condizionamento. Lui fa sempre ciò che deve fare, perché è l’Unico Bene Necessario.
Attenzione però: i profeti insistevano nel dire al popolo eletto: “Dio esige in ogni caso il pentimento, tornare sulla retta via: troppo comodo guardare al passato e pensare: Dio ci salverà di nuovo”.
E vorrei aggiungere: viviamo nella cosiddetta “comunione dei santi”, lo diciamo anche nel Credo, professione di fede, quello più antico, il Credo apostolico: “Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna”. L’espressione “comunione dei santi” non si trova nel Credo niceno-costantinopolitano, che leggiamo solitamente nella Messa.
Che cos’è “la comunione dei santi”? Pensiamo a una grande famiglia, che ha una cassa in comune, che contiene non solo i soldi ma soprattutto i valori educativi. Tutti ne partecipano, anche i piccoli meno produttivi e bisognosi di tutto, e anche i figli ingrati. E allora possiamo dire che tutti i figli di Dio partecipano del bene comune, anche i figli ribelli. Il mio bene va a finire in una cassa comune, dove tutti gli esseri umani possono avere beneficio, anche nel caso in cui ci fossero criminali, che magari si convertiranno proprio perché io prego per loro, ciò che faccio di buono anche nel mio piccolo va a beneficio di tutto il paese, del mondo intero. E se il mondo attuale è così malconcio in tutti i sensi, è forse perché, scusate l’immagine di prima, la cassa comune è vuota. Si parla di occidente e di oriente, e dei loro cambiamenti epocali che vanno a ripercuotersi sull’uno o sull’altro, o meglio su entrambi. Non è più questione di occidente e di oriente: si deve parlare di una grande e unica famiglia universale, senza più confini, barriere, divisioni. Il colmo, pazzia, demenza è sentire dire da un ministro di questo governo, che prima dei diritti umani ci sono i confini dal salvare. Comunione dei santi significa che tutto il bene entra in circolazione, a vantaggio di tutti, certo anche il male.
Chi si chiude è già un fallito, non potrà salvarsi e produce danni anche sugli altri.
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