13 dicembre 2015: Quinta di Avvento
Is 30,18-26b; 2Cor 4,1-6; Gv 3,23-32a
Il testo di Isaia, da rileggere e meditare
Vorrei anzitutto suggerirvi una proposta. Penso che, essendo questa l’ultima Messa della domenica, sia possibile portare a casa vostra il foglietto.
Il primo brano merita una frequente rilettura; più lo leggerete, o, meglio, lo mediterete, più troverete motivo di conforto spirituale, soprattutto nei momenti più tristi e difficili, e avrete l’occasione per fare un serio esame di coscienza, che non si serve, come solitamente viene indicato dalla Chiesa, di un codice morale stampato su pietra, ma di una verifica su ciò che è il virus malefico dell’essere umano, ovvero quell’idolatria che già nell’Antico Testamento era duramente stigmatizzata dai profeti.
Pensate alle parole di Isaia: «Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. “Fuori!”, tu dirai loro».
Ecco, sta qui il nostro vero dramma esistenziale. Sì, sono essenziali anche il pane e l’acqua, il lavoro e la casa, ma il problema dell’uomo moderno sta nel convivere pacificamente con le immagini che si è costruito, nel senso più laico e nel senso più religioso. Gli idoli sono idoli, anche se, nel campo religioso, diventano la più grossa bestemmia.
«”Fuori!”, tu dirai loro». Noi moderni siamo proprio “fuori”, in compagnia degli idoli di cartapesta, che non sono altro che le rappresentazioni sublimate e perciò giustificate dei nostri egoismi e delle nostre passioni. Tutto il mondo è diventato un grosso idolo, ed è qui la nostra casa comune.
Non è certamente facile far rientrare l’uomo moderno in se stesso, ovvero nel suo essere, in quanto si è fatto una cosa sola con i propri idoli, che sono “fuori” di noi, ma condizionano il nostro essere interiore.
Di nuovo lancio l’invito: rileggete e meditate il primo brano della Messa, e resterete colpiti anche da queste parole del profeta: «Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: “Questa è la strada, percorretela”, caso mai andiate a destra o a sinistra».
Notate: prima si parla di “pane dell’afflizione” e di “acqua della tribolazione” – pane e acqua sono elementi sostanziali della nostra realtà esistenziale – che poi si trasformeranno in nutrimento vitale e abbondante, ma sempre dal punto di vista spirituale.
Infine, pensando al maestro, sempre presente anche se in modo invisibile – è la parola di Dio, scritta però nella nostra più intima realtà, quella dello spirito – là dove la religione non può entrare senza fare danni, là dove Dio è l’Essere purissimo, mi collego con il brano del Vangelo di oggi.
Tra gelosie e invidie di discepoli al seguito di leader
In realtà, il brano del Vangelo inizia con un dato di cronaca, per poi allargarsi ad una discussione vivace tra i discepoli di Giovanni Battista e lo stesso Precursore a proposito del nuovo astro nascente, Gesù di Nazareth.
Infatti, i discepoli del Battista erano invidiosi, gelosi di colui a cui il loro maestro aveva dato testimonianza, come se Gesù stesse occupando i loro spazi di apostolato.
I discepoli, purtroppo, sono fatti così: stravedono per il loro maestro, e non importa tanto il suo insegnamento, quanto invece la sua figura, che diventa così un personaggio, un leader da seguire, accettando a priori ciò che insegna.
Ma Giovanni aveva già anticipato tale rischio, ovvero di essere frainteso, e aveva pubblicamente annunciato: “non sono io il Cristo”, ma “sono stato mandato avanti a lui”. Ma, come al solito, presi dal fanatismo, i seguaci dimenticarono subito le parole di Giovanni, così come, lungo i secoli, i successori dei discepoli di Gesù dimenticheranno le parole del loro Maestro, correndo dietro ad una varietà impressionante di pseudo-maestri.
Anche quella della Chiesa è una triste storia di discepoli fanatici, spinti ad esserlo da leader abili nel manipolare la mente dei più deboli.
Non sto dicendo che tutti i maestri-leader hanno insegnato cose cattive, dico solo che i loro adepti prendono la loro dottrina come se fosse il Vangelo in assoluto, o il Tutto della Verità, quando invece dovremmo capire che ogni maestro insegna solo una parte del Tutto. In ogni caso, come ha detto Gesù, nessuno dovrebbe sentirsi o farsi chiamare “maestro”. Siamo tutti al servizio della Verità, e la Verità appartiene a nessuno. Servire la Verità è anche educare i propri seguaci ad amare la verità, e non il leader, che, se si fa chiamare così, è perché si crede il detentore della Verità.
Per evitare questo rischio, ma anche per una naturale personale predisposizione, personalmente non mi sono mai legato a nessun leader religioso. Affascinato sì, ma dal Tutto della Verità, che si può scoprire nelle più piccole cose, e talora e spesso nella saggezza popolare.
Neppure Cristo ha detto tutta la Verità ai suoi discepoli, che non ne sarebbero stati capaci, ma ha affidato tale compito allo Spirito santo che, con la proverbiale pazienza divina, avrà tutto il tempo possibile, finché durerà questo mondo, di portare l’intera Umanità verso la pienezza della Verità. Ciò che chiede a ciascuno di noi è di essere disponibili, nella mente e nel cuore, e di non fasciare la testa o di farla fasciare dalla religione.
Adesso, possiamo comprendere dove stia il vero rischio che possono rappresentare i vari Movimenti ecclesiali, solitamente guidati da leader idolatrati da adepti, a loro volta manipolati dai leader. È un circolo vizioso da cui è difficile uscirne.
Una vera malattia dello spirito
Don Angelo Casati, prete milanese di 86 anni (tra l’altro è stato parroco a San Giovanni di Lecco), noto per le sue lucide omelie, commentando il brano di oggi scrive: «L’insegnamento di Giovanni il Battezzatore, da che cosa è provocato se non da questa malattia dello spirito, quasi un cancro della religione, delle religioni, dei movimenti religiosi e cioè l’idolatria dei capi, il fanatismo, l’ubriacatura delle appartenenze?».
Su che cosa si mettono a discutere i discepoli di Giovanni? Che cosa fa problema? Don Angelo risponde: a far problema è la concorrenza. «Ma, per chi ha a cuore Dio, non dovrebbe forse interessare solo questo: che a qualcuno si apra un sussulto nel cuore, nella mente, nello spirito? Che la gente si orienti a Dio? No, il problema è che l’altro gruppo diventa più numeroso del nostro, che il loro leader ha più fama e più consensi del nostro, che fa più proseliti del nostro. Misuriamo gli ascolti. Ma dov’è finito Dio? Al posto di Dio c’è il leader, c’è il movimento, c’è l’istituzione».
Continua don Casati: «E termina, Giovanni, con una frase folgorante: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire”. Frase folgorante, ma, confessiamolo, poco ricordata, e di conseguenza poco praticata: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire”. Immaginate che sconcerto se dicessimo è bene che la chiesa diminuisca, che si guardi un po’ meno alla chiesa, che i suoi esponenti siano un po’ meno sotto i riflettori, che non ci sia una loro sovrapposizione mediatica, perché invece sotto i riflettori sia lui, sia Gesù! Non siamo infatti noi la salvezza del mondo. Non lo era Giovanni il battezzatore, tanto meno noi. E se avessimo il coraggio di proclamare – questa sì sacra proclamazione perché evangelica – che noi siamo (proclamiamolo!) relativi, la chiesa è relativa, cioè è in funzione in vista di un altro, non è lei un assoluto, l’assoluto è l’Altro, è Dio e il suo Messia, Gesù di Nazaret».
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