14 gennaio 2024: SECONDA DOPO L’EPIFANIA
Is 25,6-10a; Col 2,1-10; Gv 2,1-11
Diciamo subito che il primo brano della Messa con tutta probabilità è stato scelto dalla Liturgia in riferimento al racconto del miracolo di Cana.
Infatti, il profeta Isaia (siamo nell’ottavo sec. avanti Cristo), parla al futuro quando il Signore apparecchierà sul monte Sion un pranzo regale, al quale saranno invitati tutti i popoli: un banchetto di cibi succulenti, di vini eccellenti, di carni prelibate, di vini raffinati.
Sarebbe interessante, ma non è il momento, soffermarmi sulla ricca simbologia del banchetto, visto nel suo aspetto di comunione con Dio.
Il banchetto è segno di ospitalità e di universalità. Così nei testi dei profeti, i quali vedevano nel banchetto il segno di quell’alleanza che andava al di là di un privilegio, riservato agli eletti. Quindi, un’alleanza non più tra il Dio del Vecchio Testamento con il popolo ebraico, un’Alleanza diciamo esclusivista, ma tra il Figlio di Dio e l’umanità, un’alleanza che include tutti i popoli della terra.
Diciamo una cosa, ed è una constatazione: se nel passato è stato difficile, e lo è ancora, per la stessa religione parlare di universalità, che cosa possiamo pretendere da un mondo politico che parla solo di amor patrio, come se contasse solo la nazione a cui si appartiene, chiudendo le porte a qualsiasi cosiddetto “forestiero” o a qualsiasi altra nazione, dimenticando che è nel Tutto che si può raggiungere quell’equilibrio che fa parte dell’universo: già la parola “uni-verso” lo dice: “verso l’uno”.
Siamo ancora lontani, forse anni luce, da quel Disegno o Pensiero divino per cui il Creato deve ricomporsi nella sua universalità, ovvero deve tornare all’Uno da cui è uscito.
Siamo tutti necessariamente venuti dall’Uno divino, a cui tutti torniamo necessariamente. Che significa “necessariamente”? È nel nostro stesso essere in quanto spirito che vi è questa esigenza, diciamo anche tensione verso l’Uno, e mentre si è in cammino verso l’Uno necessariamente si ricompone l’armonia, l’ordine, per cui ogni particolare torna al suo posto, in quella essenzialità che è lo stesso Disegno divino.
Ma l’uomo che fa? Divide, separa, scompone, disgiunge, secondo la legge diabolica, che è appunto divisiva, di frammentazione, di moltiplicazione dei particolari (lo stesso termine “diavolo” significa “colui che separa”).
Sì, la stessa religione ha sempre creato seri gravi problemi, imponendo ciascuna, un proprio dio, che, essendo carnale cioè strutturale, istituzionale, dogmatico, non fa che dividere, separare, frantumare l’idea di un unico Dio, Sommo Bene.
Il cosiddetto campanilismo religioso ha sempre fatto danni, e quando gli stessi parroci spingono a chiudere i fedeli entro i confini della propria parrocchia, incidono sulle istituzioni civili, che dicono di amare il loro piccolo territorio, pensando però grettamente.
E attenzione agli equivoci: non confondiamo il proselitismo, ovvero quel correre altrove per annunciare la buona novella ai popoli pagani, con l’apertura universalistica del messaggio cristiano. Per millenni la Chiesa istituzionale apriva sì le proprie porte, ma per attirare più gente nel proprio ovile, inteso come struttura religiosa.
Contano anche le strutture religiose, ma senza farne un fine. Sono mezzi, e solo mezzi, che possono aiutarci a scoprire dentro di noi la presenza del Divino, che è purissimo Spirito, perciò al di fuori di ogni schema o struttura.
Che io sia cattolico o islamico o ebreo, o ateo o agnostico, tutto è relativo all’Assoluto, che, come dice la parola “assoluto”, è sciolto, libero da ogni condizionamento o legame. E la parola “religione” significa proprio “legame”.
Esigerebbe troppo tempo la spiegazione del brano che fa parte della Lettera che Paolo ha scritto ai cristiani di Colossi. Solo una riflessione. L’Apostolo mette in guardia da “inganni” che vengono proposti “con argomenti seducenti”. E possiamo difenderci dagli inganni, perché Dio ci ha arricchito “di una piena intelligenza” che ci permette di “conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: in lui, scrive Paolo, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”. Attenzione: Cristo, non in quanto storico, ma in quanto Logos eterno.
Vorrei insistere nel dire che la Fede, di cui parlava Cristo, capace di spostare le montagne, non è quella emozionale o religiosa, fatta di riti, di reliquie, di devozioni più o meno superstiziose, ma è quella speculativa, ovvero che riguarda l’intelletto, quella che attinge alla sorgente della Luce. Dunque, una fede essenzialmente spirituale.
Anche e soprattutto il terzo brano, che è il racconto del miracolo di Cana, esigerebbe più tempo: solo qualche riflessione su due parole in particolare: la parola “ora” e la parola “segno”.
Partiamo dalla seconda parola, “segno”, ed è con questa parola che l’evangelista Giovanni ci aiuta a capire il “senso” di ogni intervento di Cristo. Ovvero, ogni miracolo va colto al di là del fatto in sé, che potrebbe portarci lontano dal senso profondo che è contenuto nel gesto di Cristo. Direi di più. Sappiamo che ogni cosa ha una sua simbologia. Noi viviamo in un contesto di simbologie, che però sfuggono agli sguardi carnali di una società che bada solo all’aspetto esteriore o formale di ciò che succede. Possiamo dire che Dio ha posto ovunque semi o germi divini, da cogliere con gli occhi dello spirito. Ogni evento normale o quotidiano, le stesse vicende tragiche della storia, parlano “divino”.
L’altra parola, “ora”, in bocca a Gesù (“Non è ancora giunta la mia ora”) va intesa al di là di ciò che appartiene al “crònos”, al tempo che passa: richiama l’eternità o quel momento divino, fuori del tempo, anche se “nel tempo”, che chiamiamo grazia. La parola “ora” la troviamo poi nel colloquio di Gesù con la donna di Samaria: “Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”.
Dunque, l’Ora è quella dello Spirito, e allora capiamo perché Gesù a Maria, sua madre, dice, quasi rimproverandola di volerla anticipare, che l’ora della croce non è ancora giunta. L’ora della croce, quando Gesù, morendo, donerà all’umanità il suo Spirito divino. Ma Gesù non si contraddice, quando dice alla samaritana: “L’ora è questa…”, quasi fosse già presente.
Non dimentichiamo che i Vangeli sono stati scritti, riletti e meditati nelle quotidiane assemblee liturgiche dopo che Gesù era risorto.
A maggior ragione noi credenti, dopo duemila anni di Cristianesimo, dovremmo oramai essere esperti nel cogliere e nel vivere l’ora dell’Eterno presente. E invece… siamo disperatamente aggrappati a pretese di miracoli per di più carnali e illusori.
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