Omelie 2019 di don Giorgio: DOMENICA DELLE PALME

14 aprile 2019: DOMENICA DELLE PALME
Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Duplice volto
Un duplice volto caratterizza la liturgia di questa domenica, per cui possiamo parlare di: Domenica delle Palme o Domenica della Passione.
Possiamo meglio dire che l’ingresso di Gesù nella città di Gerusalemme introduce la passione e la morte di Cristo. In realtà, l’entrata di Gesù nella Città santa è narrata dagli evangelisti anche con note che già prefigurano la Settimana santa. Basterebbe pensare alla incomprensione e alla contestazione da parte dei capi giudei alla vista della folla che osanna al misterioso personaggio di Nazaret.
L’entrata riletta dagli evangelisti e dalla Chiesa
Ma occorre subito dire che la rilettura dell’episodio in senso prefigurativo da parte degli evangelisti è stata poi ripresa dalla Chiesa primitiva, che ha certamente contribuito a enfatizzare l’evento (forse ristretto in una cerchia di curiosi), aggiungendovi una carica ancor più simbolica.
Poi col tempo la Chiesa, com’è nel suo stile, ha riletto l’entrata di Gesù in Gerusalemme soffermandosi, lo fa ancora oggi, su elementi folcloristici, prendendo un aspetto, quello dell’ulivo, facendone addirittura un’occasione per parlare della pace, fraintendo le parole del profeta Zaccaria che, a differenza nostra, abituati come siamo a ”socializzare” anche il più intimo pensiero divino, aveva della pace, come del resto tutti i veri profeti di Dio, quella intuizione che, se non attinge nel profondo dell’essere divino, è destinata a estinguersi tra banali manifestazioni esteriori.
Se vogliamo semplificare al massimo il suo significato teologico o mistico,  possiamo dire che l’entrata descritta come trionfale di Gesù nella Città santa è da leggere e rileggere come un “segno”, ovvero una “rivelazione” di quel Cristo della fede che, proprio nella condanna a morte, si manifesta nella sua realtà essenzialmente divina.
Ed è su questo aspetto che vorrei invitarvi a riflettere, anche per vivere al “meglio”, da credenti nello Spirito santo, lo spirito più autentico della Settimana santa, che inizia già oggi, ma che culminerà poi nel Triduo pasquale.
La Settimana santa
Anche la Settimana santa è caratterizzata da un duplice volto: in che senso?
Noi cristiani siamo ancora convinti che la risurrezione di Cristo sia la conclusione della sua passione e della sua morte, che Dio ha premiato con la risurrezione del figlio incarnato. Siamo cioè ancora convinti che “prima”, in senso cronologico, ci sono i giorni della passione e della morte di Gesù, e “poi”, sempre in senso cronologico, c’è il grande giorno della risurrezione.
Attenzione: è proprio nel “prima” e nel “poi”, intesi in senso cronologico, che sta quella credenza che separa nel susseguirsi del tempo, il “prima” e il “poi”, un Mistero che, in quanto Divino, quindi Eterno ovvero fuori del tempo, non può essere distinto in due momenti o in una successione di momenti temporali, ovvero legati al tempo.
Anche la liturgia della Settimana santa non sembra darci l’idea che si tratti di un’unica realtà in cui la vita e la morte si intrecciano, si richiamano e si risolvono nell’Eterno, già qui sulla terra.
So di aver già detto queste cose commentando il miracolo di Lazzaro. Ma conviene tornarci sopra, visto che, come abbiamo già detto, il miracolo è letto da Giovanni come prefigurazione della risurrezione di Cristo.
Il “prima” e il “dopo”
Nel “prima”, ovvero nella precarietà talora sopportata di una esistenza martoriata o maledetta, sembra esaurirsi tutto il tempo che abbiamo da vivere, cioè a nostra disposizione, in attesa del “dopo”, ovvero di ciò che la religione ci promette nell’altra vita. Quindi, c’è una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”. Il “prima” è vissuto in attesa o in vista del “dopo”. Prima c’è la vita terrena, e dopo la vita eterna.
Questo modo di vedere e di vivere l’esistenza terrena, tanto più che non è qualcosa di personale, ma una specie di dogma religioso,  è qualcosa di assolutamente fuorviante e deleterio.
Siamo quasi cresciuti nella convinzione, perché ce lo hanno fatto credere, che questa vita fosse divisa in due tempi: il suo aspetto esistenziale che si esaurisce nel “prima”, ovvero per tutto il tempo che siamo su questa terra, e quel “dopo”, che inizia dopo la nostra morte fisica.
Eppure, basterebbe pensare alla visuale teologica o mistica del quarto Vangelo, che ci presenta già nel dolore o nella realtà drammatica di questa esistenza terrena, una presenza di quella gloria divina, che non è gioia fisica, ma vita eterna.
Secondo gli studiosi della Bibbia la crocifissione di Cristo è vista da Giovanni come luce o gloria divina: il fatto poi che Cristo, mentre muore, dona lo Spirito santo, anticipa non solo la sua risurrezione ma anche la pentecoste.
Riflessioni
Proviamo a riflettere.
Partiamo dalla Liturgia che ci fa vivere ogni anno il Mistero pasquale: si torna sempre daccapo; dopo la festività pasquale, sembra che tutto torni come prima, ovvero che si torni nella normalità del precariato, con tutti i suoi guai e le sue contraddizioni.
Prima, e poi… in un susseguirsi di tempi che non si incrociano nel profondo. Sì, perché, già il Mistero pasquale, se fosse vissuto non come due tempi, il prima e il poi, ma nell’unicità della realtà divina, già qui, in questa esistenza complicata e complessa, di sofferenza e di speranza, potremmo trovare la realtà dello Spirito che è semplice per natura, ovvero che semplifica la complessità inestricabile del nostro vivere, che è un insieme di prima e di poi, di un poi che la Chiesa assicura sarà quell’aldilà che ora è solo una promessa.
Ma non sarebbe già un vivere meglio, se riuscissimo o se qualcuno ci aiutasse a scoprire la presenza, già ora, di quel seme di risurrezione, che dà un altro senso alla nostra esistenza?
Non abbiamo bisogno di promesse, ma di anticipi di quella risurrezione, nella interiorità del nostro essere, dove Dio è già l’eterno Risorto. Qui, e ora.

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