Mario Delpini in… Perù!
Mario Delpini in… Perù!
Ho letto che il vescovo di Milano, Mario Delpini, dal 15 al 26 luglio si recherà in Perù in visita pastorale per incontrare i vescovi e le comunità che accolgono i cinque fidei donum diocesani, tre sacerdoti e una coppia di sposi.
Un dovere di pastore, o un modo per evadere da una diocesi oramai fuori controllo?
Difficile dirlo perché parlare del vescovo Mario Delpini mi risulta sempre più problematico, visto che la trottola sfugge ad ogni logica, forse perché è talmente immerso in un mondo diverso, sempre più irraggiungibile.
Caso psicopatico? Lo chiarirà qualche commissione specialistica nella materia.
Ma una cosa è certa: non ascolta nessuno, forse perché lui è l’ego che sa cosa fare, al di là di quella correzione fraterna, diciamo evangelica, che dovrebbe essere come la regola d’oro di ogni comunità.
Mi chiedo, e continuerò a chiedermi: questo vescovo che concetto ha di pastorale, relativamente al suo dovere di essere guida della diocesi a lui affidata?
In altre parole: qual è la sua diocesi?
Forse dovrebbe essere lui a rispondere, perché ogni nostra risposta sembra finire nel nulla.
Eppure mi sembra logico pensare che ogni diocesi abbia i propri limiti, imposti dai suoi confini. In altre parole, ogni vescovo dovrebbe darsi da fare (un fare che è sempre la conseguenza di un pensare) per quella località pur vasta come quella milanese che ha dei nomi e cognomi. Nomi di paesi e cognomi di persone che collaborano per quel pezzo del regno di Dio che è una diocesi, un insieme di parrocchie con le loro strutture. Immaginate allora la complessità problematica di una diocesi, che sembra quasi togliere il respiro, ma se penso ai grandi vescovi del passato che visitavano tutta la diocesi più volte (più di mille parrocchie!), con fatiche anche fisiche non indifferenti (pensate ai paesini della montagna visitati su muli abituati alla fatica), allora mi chiedo se il criterio pastorale di oggi abbia un senso o non sia un “mordi e fuggi”, solo una apparenza di presenza che dice poco o nulla come qualche goccia d’acqua che vorrebbe dissetare chilometri e chilometri di terra.
Il problema non è la diocesi in sé, grande o piccola che sia, ma sono i pastori che hanno perso ogni cognizione di vocazione pastorale. Fin da piccolo mi insegnavano il senso della fedeltà al dovere locale, tanto è vero che non comprendevo il perché un prete diocesano dovesse andare a insegnare religione fuori parrocchia, e non lo accettavo che lo dovesse fare per poter vivere. Più tempo passavo fuori parrocchia, più stavo male perché tradivo la mia fedeltà al mio posto. Uscivo malvolentieri, e tornavo con gioia alla mia comunità.
Oggi sembra che tutto sia all’opposto: i preti giovani escono con gioia dalla propria comunità, e vi tornano con un certo dispiacere. E se questo riguarda i preti di oggi, un sospetto mi viene, ovvero che siano educati male in seminario, forse perché dall’alto c’è un cattivo modello, quello di un vescovo trottola che fa di tutto anche per impiantare la pastorale diocesana altrove, nelle terre di missioni.
Una diocesi oramai in balìa di preti extra, provenienti da ogni angolo della terra, senza regole, e in balìa di un vescovo fuori controllo che favorisce l’uscita di preti milanesi per evangelizzare terre lontane. Tutto normale? A me sembra di no, anche per il semplice motivo – è sotto gli occhi di tutti – che si sta verificando, già da tempo lo è, un tale disordine che non si può più parlare di evangelizzazione normale, ma di sistemazioni personali alla faccia di una comunità che ha bisogno di pastori tutti d’un pezzo a cui stia a cuore anzitutto il bene del gregge.
Mario Delpini non capisce o non vuole capire (forse per un misto di imbecillità o di orgoglio) che sta facendo sì una rivoluzione, cosciente o non cosciente, ma nel senso che bisognerebbe cancellare ogni pagina del Vangelo per riscriverla a modo delpini, forse perché crede che così passerà alla storia, dopo naturalmente l’omelia funebre pronunciata davanti al cadavere puzzolente di Berlusconi nel Duomo di Milano.
Abbiamo un vescovo con la mente invertita, pastoralmente parlando: trasporta i preti della diocesi in africa e nel sud-america, e affida le parrocchie ambrosiane a preti extra che fanno e disfano secondo il criterio della convenienza. Potrei anche capire che dopo tot anni un prete extra possa anche inserirsi, ma a che serve prestare un prete per due o tre anni in parrocchie africane o sud-americane? A che serve, me lo dite?
Una diocesi dissanguata da un vescovo a dir poco imbecille, pastoralmente parlando!
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