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ECONOMIA
13/08/2021
Nella lotta agli incendi
la fine dei Forestali non è stata d’aiuto
Bilancio in chiaroscuro della Corte dei Conti sulla riforma Madia. Sui roghi le maggiori criticità: poco personale, competenze frammentate e risparmi esigui
By Claudio Paudice
La mano criminale che prima appicca e poi specula, il caldo torrido, la mancanza di un adeguato sistema d’allerta. Sono tante le cause dell’ennesima grave emergenza incendi che da giorni sta mettendo in ginocchio il Sud Italia, distruggendo senza soluzione di continuità migliaia di ettari di bosco, fauna e flora, coltivazioni e specie a rischio, e mietendo vittime umane. Un “disastro abnorme”, lo ha definito Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, tra le aree più colpite dai roghi dolosi. Eppure tutti concordano nel riconoscere quella che è la madre di tutte le cause: l’assenza di prevenzione. Parola ostica e malvista in Italia, dove troppo spesso Stato ed enti locali preferiscono l’intervento emergenziale a quello regolare, curare più che prevenire. Un’abitudine poco edificante dell’agire pubblico, e non certo l’unica: mentre gli incendi stanno ancora minacciando le abitazioni in diverse zone del Mezzogiorno, è infatti già partito il consueto valzer delle responsabilità, disciplina nella quale la politica italiana ama cimentarsi facendo sfoggio di una particolare predilezione seppur fine a se stessa o al mero tornaconto di parte.
Il sottosegretario al Ministero dell’Interno Carlo Sibilia, in una intervista alla Stampa, ha scaricato tutta la colpa della gestione degli incendi sulle Regioni interessate, colpevoli di non aver fatto abbastanza nel prevedere quell’emergenza sistematica che, seppur con vigore variabile, puntualmente si ripresenta ogni estate cogliendo tutti alla sprovvista. È sulle Regioni, infatti, che ricade la maggior parte delle competenze nella prevenzione e lotta ai roghi. E a loro spetta redigere il piano di prevenzione regionale di concerto con le autorità interessate (vigili del fuoco, protezione civile, volontari eccetera). Allo Stato sta l’emanazione delle linee guida nazionali, ma pure l’intervento operativo attraverso i suoi uomini e mezzi in via sussidiaria, quando le emergenze sono particolarmente gravi. Proprio come quella di questi giorni.
Al di là delle criticità che ogni realtà regionale registra – la penuria uomini, mezzi e di un numero adeguato di presidi del territorio, un alto tasso di criminalità – come ha più volte spiegato Legambiente gli incendi restano “un fenomeno complesso” causato da innumerevoli variabili che spesso interagiscono tra loro. Per questo serve “un ripensamento delle strategie di gestione degli incendi, spostando l’attenzione, gli sforzi e gli impegni sempre più verso la prevenzione”, si legge nel documento di proposte (qui l’elenco) lanciate pochi giorni fa da Legambiente e dalla Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale.
Serve, insomma, un intervento da parte dello Stato per risolvere una serie di criticità che si trascinano da anni. L’ultimo “ritocco” normativo degno di nota risale alla legge Madia approvata dal Governo Renzi che ha soppresso il Corpo Forestale dello Stato, un tempo deputato sia alla prevenzione sia alla lotta attiva alle fiamme, fondato nel 1822 e sacrificato nel 2016 sull’altare della spending review. Secondo il Movimento 5 Stelle, sinistra e Verdi, gli incendi di questi giorni stanno facendo sentire la mancanza dell’ex Corpo Forestale, accusa prontamente rispedita ai mittenti da Teresa Bellanova, esponente renziana oggi viceministra alle Infrastrutture in quota Italia Viva. La controversa riforma – tuttora in vigore nonostante lo stesso Movimento 5 Stelle, in passato, avesse promesso di smantellarla – è quindi tornata al centro del dibattito politico, ma beghe di partito a parte, un dato è appurato: la riforma, secondo l’allora governo, doveva far risparmiare 100 milioni nei tre anni seguenti ma alla prova dei fatti ci si è fermati a meno di 30 milioni. Materia di preminente interesse dei soloni del rigore contabile, perché il cuore della questione è altrove: la soppressione del Corpo Forestale dello Stato, alla fine, è servita?
Di recente la Corte dei Conti ha analizzato lo stato d’attuazione del decreto 177 approvato nel 2016 e a fine luglio ha diffuso i risultati. L’indagine si concentra su tutti gli aspetti della legge che ha smembrato il Cfs ma quelli più interessanti, e più critici, riguardano il riparto di ruoli, uomini e competenze nella complessa attività di lotta agli incendi boschivi.
La legge Madia, com’è noto, ha riorganizzato il Corpo Forestale dello Stato (che per inciso non ha nulla a che fare con le guardie forestali) riassegnandone le competenze: per quel che riguarda i roghi, all’Arma dei Carabinieri sono andati i compiti della prevenzione, repressione delle violazioni e monitoraggio del territorio, e ai Vigili del Fuoco quello dello spegnimento. Una frammentazione dei ruoli, prima riconducibili sotto un unico Corpo, che all’inizio di certo non ha agevolato il coordinamento nella gestione delle emergenze. Tant’è che ad aprile 2017 Arma e Vigili del Fuoco hanno dovuto sottoscrivere un protocollo d’intesa per chiarire bene cosa spettava fare all’uno e all’altro corpo. E un altro è stato firmato nel luglio 2018 tra VVFF, Carabinieri e Ministero dell’Ambiente. Una lunga serie di interlocuzioni e di accordi tra diversi soggetti – incluse le Regioni, come già avveniva precedentemente – “tuttora in corso” rivelatasi necessaria “in conseguenza delle modifiche introdotte” per “il perfezionamento e l’aggiornamento delle intese, protocolli, convenzioni, certamente utili a un più efficace esercizio delle nuove attribuzioni”.
Gli effetti di una complicazione nella gestione delle competenze dovuti alla rottamazione del precedente modello si ripercuotono subito su una attività assolutamente cruciale nel sistema di prevenzione: la raccolta dei dati. Secondo il Ministero delle politiche agricole, alle cui dipendenze era il fu Cfs, oggi il raffronto statistico sugli incendi boschivi non è per nulla agevole, “in quanto persistono divergenze tra i Carabinieri e i Vigili del Fuoco sulla repertazione dei singoli eventi nonché sulle superfici percorse dal fuoco”. Anche l’operatività dell’azione di spegnimento sembra aver subito un duro contraccolpo dalla riforma renziana, a detta del Mipaaf: “L’impatto del cambio di competenze sembra aver grandemente influito” sui tempi di reazione agli incendi, “rallentando la prima valutazione oculare del grado di pericolosità delle fiamme”, e quindi una corretta valutazione dei mezzi e uomini necessari all’intervento. “La capillarità della presenza dei Comandi Stazione Forestali, fino al 31 dicembre 2016, consentiva tempi di reazione molto brevi, più rapidi di quelli necessari oggi per l’arrivo delle squadre di Vigili del Fuoco con l’attuale organizzazione”, a causa della complessa mobilità nelle aree montane e forestali. I ritardi nel corretto apprezzamento dell’entità dei roghi – ritardi smentiti dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco – sarebbero secondo il dicastero dell’Agricoltura causa di effetti a catena, come l’ampliamento della superficie interessata e l’intensità stessa delle fiamme, che costringerebbero gli uomini impegnati nello spegnimento a ricorrere maggiormente a mezzi aerei, al posto del più efficace intervento da terra.
Uno degli aspetti più critici, tuttavia, è dato dalla riassegnazione degli ex Forestali alle altre forze armate e di polizia. Com’è noto, su 7782 unità, quasi l’intero organico (il 92%) è confluito nell’Arma dei Carabinieri mentre nei Vigili del Fuoco sono state allocate solo 390 persone, pari al 5% del precedente organico. Un numero già esiguo che, nel passaggio dalle intenzioni ai fatti, è risultato addirittura inferiore, visto che tra congedi, dimissioni e contenziosi gli ex Forestali transitati nel Corpo dei pompieri si aggirano intorno alle 240 unità, con un ammanco di circa il 40% del personale previsto. La Corte dei Conti su questo punto è netta: ”È decisamente probabile, se non addirittura provato, alla luce di tutto quanto emerso, che la iniziale stima di 390 unità da dedicare alle funzioni AIB (antincendio boschivo, ndr) sia stata errata per difetto”. Non solo: “Il tema della ripartizione e del corretto impiego del personale forestale transitato ai Vigili del Fuoco rappresenta l’aspetto più problematico dell’intera riforma e abbisogna certamente di interventi correttivi”. Basti pensare che in alcune Regioni del Sud Italia, quelle peraltro flagellate dai roghi di questi giorni, sono transitate dai Forestali ai pompieri meno di dieci unità complessive. Secondo il Dipartimento dei Vigili del Fuoco “le risorse umane concretamente acquisite sono risultate insufficienti nel numero e comunque dislocate territorialmente in maniera non uniforme e non conforme alle reali necessità”, nonostante l’organico dell’ex Corpo Forestale fosse già carente di suo.
L’indagine della Corte dei Conti, nel riconoscere l’indubbia complessità della legge Madia e diversi sforzi virtuosi assunti dalle amministrazioni coinvolte, tanto dai Vigili del fuoco tanto dai Carabinieri, raccomanda una serie di provvedimenti per porre rimedio alle criticità create dalla riforma sul tema della lotta agli incendi boschivi. Come una diversa e corretta distribuzione degli uomini sul territorio, l’aumento dei presidi rurali nelle aree marginali e protette, il miglioramento di accordi e intese tra le autorità coinvolte, a partire dalle Regioni, l’incremento delle attività di addestramento e formazione, e in sintesi una maggiore e più chiara collaborazione tra i due corpi che si sono spartiti le competenze del fu Corpo forestale. Questo perché la lotta agli incendi è fatta “da un complesso insieme di uomini e mezzi appartenenti a diverse e distinte organizzazioni che, in condizioni di grave emergenza, devono attivarsi e funzionare all’unisono nel rigoroso rispetto di procedure chiare e razionali”.
Ma soprattutto perché, si legge nelle conclusioni, gli aspetti più critici della riforma “riguardano la constatata, iniziale frammentazione della flotta antincendio e del relativo personale specializzato, nonché la minore quantità e mobilità delle squadre a terra dei Vigili del fuoco, ambedue indotti da fattori, alcuni dei quali strutturali ed altri contingenti”, al netto delle competenze che Vigili e Arma stanno cercando in tutti i modi di non dissolvere, ma che a detta di associazioni ambientaliste e degli ex Forestali inevitabilmente andranno in parte disperse. E anche secondo il Ministero dell’Agricoltura, l’ovvio quanto necessario ripianamento degli organici non basterà da solo a sanare le criticità emerse nei quattro anni e mezzo trascorsi dalla soppressione del Cfs, dal momento che i nuovi assunti non avranno comunque “quel necessario trasferimento di esperienze tecniche maturate sul campo negli anni, poiché chi ne detiene in abbondanza veste altra divisa e milita in altra Amministrazione”.
Su questo punto la magistratura contabile sembra essere d’accordo: c’è stata una “frammentazione delle migliori pratiche consolidatesi nel patrimonio professionale degli appartenenti al Corpo Forestale ed un loro reimpiego non sempre consono alle previsioni normative”. Le criticità derivanti dalla riforma da tempo contestata aspramente dagli ambientalisti insomma restano, ma resta anche un punto di domanda per i soloni dei tagli purchessia: per far risparmiare allo Stato meno di un milione di euro al mese, valeva la pena sopprimere un Corpo con più di duecento anni di storia e un indiscusso e universalmente riconosciuto patrimonio di conoscenze e competenze, con tutte le incognite e le difficoltà di coordinamento che ne sono derivate?
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