Dio scommette tutto sul “piccolo resto”: ma c’è, e dov’è?

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Dio scommette tutto sul “piccolo resto”:

ma c’è, e dov’è?

Ogni giorno succede di tutto. Veramente di tutto.
Come si diceva una volta: scoperchiata la pentola, esce di tutto: marcio, violenza, imbecillità, un ininterrotto fluire di carnalità putrefatte.
E il papa quando parla parla al vento, o meglio parla a se stesso, ovvero a un vento che non è certo lo Spirito divino. I vescovi tacciono o straparlano, ben pochi dialogano con il mondo del Divino. I preti giovani o meno giovani, si aggrappano ai social talmente tecnologici che sorpassano anche i più esperti lasciandoli indietro, nudi nella loro ridicolaggine.
Non parliamo poi di una massa di rincoglioniti che credono di essere onniscienti solo perché aprono bocca usando il sedere, e succede che anche il leghista più ingenuo, ma tutto ventre, si trascina con il culo.
Non parliamo dell’attuale mondo politico: basta poco perché qualcuno, il più frustrato o mentecatto, salga sul carro dei vincitori, prendendo a calci ogni senso del dovere istituzionale. La coscienza è solo dei nobili. I barbari hanno solo quel bastone che faceva dire a Umberto Bossi: “Io ce l’ho sempre duro”, ma poi si è talmente afflosciato (il pene) da far coppia perfetta con il Porco d’Arcore, a cui il pene non funzionava più.
Si salva almeno qualche giusto?
Certo, un “piccolo resto” c’è sempre, per quel Volere divino che ama far cadere nella merda i potenti e i sapientoni (è profetizzato nel Magnificat), mentre lascia gli analfabeti razzisti, brutta razza brianzola, rotolarsi come porci nell’immondo stercume.
“Piccolo resto”, e penso alla sua derivazione: l’espressione è tipicamente biblica.
Rimango sempre affascinato, e anche sorpreso, quando i profeti dell’Antico Testamento parlavano di un “piccolo resto” di giusti, i cosiddetti ‘anawîm, l’emblema dei veri fedeli che non si appoggiano alla forza, al potere, alla ricchezza, ma confidano solo in Dio, distaccandosi dalla fiducia in sé e nelle realtà terrene. Sono i «poveri in spirito» delle Beatitudini di Gesù (Matteo 5,3).
Gli ‘anawîm s’identificano coi giusti e i fedeli, costituiscono il vero popolo di Dio, quel «resto» fiducioso cantato dai profeti come la presenza costante, anche in mezzo alle turbolenze della storia, di coloro che tengono alto il vessillo della fede. Sono loro, alla fine, il seme fecondo della salvezza nel terreno delle vicende umane e san Paolo li vede incarnati nella figura di Cristo: «da ricco che era, egli si è fatto povero per noi, perché divenissimo ricchi per mezzo della sua povertà» (2Corinzi 8,9).
Nel 1969 l’allora card. Joseph Ratzinger fece una lunga riflessione, che dopo più di 50 anni, assume il tono e il carisma della “profezia”.
Ecco la traduzione italiana delle parole di professore Joseph Ratzinger, rispondendo alla domanda di coloro che si chiedevano cosa sarebbe diventata la Chiesa in futuro durante la trasmissione radiofonica del 25 dicembre 1969
(…) Dobbiamo essere cauti nei nostri pronostici. Quello che ha detto Sant’Agostino è ancora vero: l’uomo è un abisso; nessuno può prevedere quello che uscirà da queste profondità. E chiunque creda che la Chiesa sia non solo determinata dall’abisso che è l’uomo, ma raggiunga l’abisso più grande, infinito, che è Dio, sarà il primo a esitare con le sue predizioni, perché questo ingenuo desiderio di sapere con certezza potrebbe essere solo l’annuncio della sua inettitudine storica. (…)
Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi. Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. La generosità, che rende gli uomini liberi, si raggiunge solo attraverso la pazienza di piccoli atti quotidiani di negazione di sé. Con questa passione quotidiana, che rivela all’uomo in quanti modi è schiavizzata dal suo ego, da questa passione quotidiana e solo da questa, gli occhi umani vengono aperti lentamente. L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi!
In che modo tutto questo influisce sul problema che stiamo esaminando? Significa che tutto il parlare di coloro che profetizzano una Chiesa senza Dio e senza fede sono solo chiacchiere vane.
Non abbiamo bisogno di una Chiesa che celebra il culto dell’azione nelle preghiere politiche. È del tutto superfluo. E quindi si distruggerà. Ciò che rimarrà sarà la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa che crede nel Dio che è diventato uomo e ci promette la vita dopo la morte. Il tipo di sacerdote che non è altro che un operatore sociale può essere sostituito dallo psicoterapeuta e da altri specialisti, ma il sacerdote che non è uno specialista, che non sta sugli spalti a guardare il gioco, a dare consigli ufficiali, ma si mette in nome di Dio a disposizione dell’uomo, che lo accompagna nei suoi dolori, nelle sue gioie, nelle sue speranze e nelle sue paure, un sacerdote di questo tipo sarà sicuramente necessario in futuro.
Facciamo un altro passo. Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. In contrasto con un periodo precedente, verrà vista molto di più come una società volontaria, in cui si entra solo per libera decisione. In quanto piccola società, avanzerà richieste molto superiori su iniziativa dei suoi membri individuali.
Scoprirà senza dubbio nuove forme di ministero e ordinerà al sacerdozio cristiani che svolgono qualche professione. In molte congregazioni più piccole o in gruppi sociali autosufficienti, l’assistenza pastorale verrà normalmente fornita in questo modo. Accanto a questo, il ministero sacerdotale a tempo pieno sarà indispensabile come in precedenza. Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica.
Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli, il processo sarà lungo e faticoso, perché dovranno essere eliminate la ristrettezza di vedute settaria e la caparbietà pomposa. Si potrebbe predire che tutto questo richiederà tempo.
Il processo sarà lungo e faticoso, come lo è stata la strada dal falso progressismo alla vigilia della Rivoluzione Francese – quando un vescovo poteva essere ritenuto furbo se si prendeva gioco dei dogmi e insinuava addirittura che l’esistenza di Dio non fosse affatto certa – al rinnovamento del XIX secolo. Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.
A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte”.
La Chiesa cattolica sopravvivrà nonostante uomini e donne, non necessariamente a causa loro, e comunque abbiamo ancora la nostra parte da fare. Dobbiamo pregare e coltivare la generosità, la negazione di sé, la fedeltà, la devozione sacramentale e una vita centrata in Cristo.
In sintesi:
«Avremo presto preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica. Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, proprio nella fase più drammatica della crisi, la Chiesa rinascerà. Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa. Perché non sarà più la Chiesa di chi cerca di piacere al mondo, ma la Chiesa dei fedeli a Dio e alla sua legge eterna. La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, passato attraverso un processo di purificazione. Perché è così che opera Dio. Contro il male, resiste un piccolo gregge».
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
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