da La Repubblica
13 NOVEMBRE 2023
Dominique de Villepin:
“Il terrorismo non si sradica con gli eserciti,
per ogni bomba su un’ambulanza a Gaza
nascono decine di miliziani”
dalla nostra corrispondente Anais Ginori
Intervista all’ex premier francese che, parlando del conflitto in Medio Oriente, torna sulla posizione espressa nel discorso all’Onu quando la Francia si oppose all’intervento in Iraq. “Serve un cessate il fuoco, anche per spingere Netanyahu a chiarire i suoi obiettivi militari. E bisogna intensificare la risposta diplomatica”
PARIGI – “Il terrorismo non si vince militarmente”. Dominique de Villepin torna sulla posizione che espresse nel suo famoso discorso all’Onu per comunicare il no della Francia all’intervento americano in Iraq. “Sto parlando da amico di Israele, così come nel 2003 ho parlato da amico degli Stati Uniti”, premette l’ex premier durante un incontro avvenuto martedì scorso, a un mese esatto dall’attacco di Hamas. Villepin si unisce alle voci che chiedono una pausa umanitaria, e immagina nel medio periodo un’amministrazione transitoria di Gaza affidata ad alcuni Paesi arabi e all’Onu con il doppio mandato di proteggere i civili della Striscia ma anche gli israeliani dai pogrom di Hamas. L’urgenza, dice, è sospendere bombardamenti indiscriminati e la strategia dell’assedio. Villepin usa un’immagine forte: “Per ogni bomba su un’ambulanza a Gaza, nascono decine di terroristi. Abbiamo bisogno di una strategia politica per uscire dalla spirale della violenza e della vendetta”.
Israele ha il diritto di difendersi e quindi quale dovrebbe essere la risposta?
“È necessario un cessate il fuoco. Questa pausa dovrebbe permettere di fare due cose. In primo luogo, alleviare le sofferenze della popolazione civile, soddisfare i bisogni di persone che stanno letteralmente morendo di fame e di sete. Ma c’è un secondo scopo in questa pausa: incoraggiare Benjamin Netanyahu a fissare obiettivi militari più precisi, più chiari e più responsabili per il suo esercito”.
Cosa significa concretamente?
“I bombardamenti indiscriminati e l’assedio assoluto di Gaza costituiscono ora possibili crimini di guerra. E la comunità internazionale non può sostenere una simile strategia. Penso che Israele debba quindi adattare i suoi obiettivi di guerra. Debellare completamente Hamas è un’illusione. L’unico obiettivo militare credibile mi sembra essere l’eliminazione dei responsabili di Hamas e dell’orrore del 7 ottobre. Questo significa fare più incursioni sul campo. Certo, è più pericoloso per l’esercito israeliano”.
Lei dice che debellare Hamas è un’illusione ma che bisogna colpire i terroristi. Qual è la differenza?
“La barbarie terrorista di Hamas, che si è scatenata il 7 ottobre contro israeliani innocenti, si inserisce in una storia più lunga. Dobbiamo condannarla in ogni modo ma capire quale è la migliore soluzione. E io sono convinto che non si sconfigge il terrorismo con le bombe. Una volta entrato nei cuori e nelle menti delle persone, ha tendenza a proliferare. E per ogni bomba che cade su un’ambulanza o su una scuola di Gaza, nascono decine di potenziali terroristi. È questo che dobbiamo capire. Lo dico da oltre vent’anni: la guerra contro il terrorismo non si vince con gli eserciti”.
Il tempo le ha dato ragione sulla guerra in Iraq. Ma allora c’erano i massacri di Saddam, come oggi i pogrom di Hamas.
“Gli americani hanno insistito con Israele sull’importanza di imparare le lezioni della storia e di non seguire la strada intrapresa all’indomani dell’11 settembre. Ora sappiamo che queste guerre d’intervento come in Afghanistan, Iraq e Siria portano solo altro caos e hanno come unico esito il ritiro nel più o meno breve periodo. La comunità internazionale ha una ragione in più per spingere in questa direzione, dal momento che la strategia di Israele comporta un alto rischio di prolungare la guerra e di aggravare il terrorismo. Per non parlare del fatto che questa battaglia dovrà essere combattuta anche in casa, perché c’è il rischio che i fronti interni si accendano a causa di incomprensioni. Ecco perché dobbiamo essere pienamente mobilitati di fronte all’aumento dell’antisemitismo in Francia, Germania e altri Paesi europei”.
Capisce il punto di vista di tanti israeliani che non vogliono più vivere con i terroristi pronti a colpire?
“Ci vogliono coraggio, audacia, immaginazione e, naturalmente, pragmatismo. Parlo da amico di Israele, proprio come nel 2003 parlavo come amico degli americani. Chi erano allora i loro veri amici? Quelli che sostenevano la guerra a tutti i costi? O non era forse la Francia, che per realismo e amicizia disse loro: non fate questa sciocchezza? Ebbene, lo ripeto oggi, e i Paesi europei devono rendersene conto: non si sta aiutando Israele, non si sta dando un buon consiglio per incoraggiarlo in questa politica di forza, perché porta in un vicolo cieco e a lungo termine ci condurrà in una battaglia fronte contro fronte, Occidente contro il resto del mondo. Una prospettiva terrificante”.
E quindi: cosa propone?
“In questo contesto, dobbiamo essere consapevoli dell’importanza di intensificare la nostra risposta diplomatica. Abbiamo bisogno di un’azione molto più forte, guidata da due principi che uniscono tutti gli europei: pace e giustizia. La pace non può essere raggiunta solo con la forza, ma richiede una strategia politica. E non ci può essere giustizia senza la creazione di uno Stato palestinese”.
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