Non solo Def. Quattro ragioni egoistiche per cui i migranti sono fondamentali per l’Italia

www.huffingtonpost.it
14 Aprile 2023

Non solo Def.

Quattro ragioni egoistiche

per cui i migranti sono fondamentali per l’Italia

di Gabriella Cerami
Mettendo assieme i dati di Istat, Inps e fondazione Moressa si capisce perché l’immigrazione fa bene alla salute del nostro paese
Il lavoro dei cittadini stranieri vale 144 miliardi e incide per il 9% sul prodotto interno lordo del nostro Paese. Non solo. I lavoratori stranieri versano più contributi di quanti ne ricevono indietro sotto forma di pensione. Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat scelto da Matteo Salvini nel 2019 e che il governo vuole riconfermare in quest’ultimo giro di nomine, ha ammesso in un’intervista rilasciata il mese scorso che “l’immigrazione offre indubbiamente un importante supporto nella direzione del contrasto al calo sia della popolazione sia della natalità”. Parole pronunciate da chi è molto stimato da ambienti che fanno da sempre del contrasto all’immigrazione il loro cavallo di battaglia.
In fondo i numeri parlano chiaro e dai numeri non si può scappare: i migranti servono all’Italia. Servono perché lavorano, perché pagano le tasse, perché versano i contributi, perché tirano su il tasso di natalità. Come dimostra il Documento di economia e finanza del 2023 approvato dal governo Meloni, secondo cui se in Italia nei prossimi cinquant’anni ci sarà un aumento di cittadini stranieri del 33 per cento, il debito pubblico scenderà di quasi 30 punti percentuali. Se al contrario ci sarà un brusco calo di flussi in entrata, l’Italia potrebbe arriva ai limiti del default. Ciò porta Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, a dire che le imprese hanno una forte necessità di manodopera che può essere assicurata dagli stranieri: “È importante – afferma – che le scelte sulle politiche migratorie siano inquadrate anche nella prospettiva della crescita economica del Paese”.
È sufficiente andare a spulciare sul portale del governo, frutto della collaborazione tra il ministero dell’Istruzione, dell’Interno e del Lavoro, per leggere il Rapporto annuale della Fondazione Leone Moressa del 2022, l’ultimo a disposizione, secondo cui “per uscire dall’emergenza di mancanza di manodopera bisogna favorire l’immigrazione regolare”. Dunque vediamo nel dettaglio i dati già citati in parte in precedenza. Tra gli italiani, il 37,5% svolge attività qualificate e tecniche, contro il 7,8% degli stranieri. Al contrario, i lavoratori non qualificati (coloro che forniscono manodopera, come l’ha definita il segretario di Unioncamere) sono l’8,5% tra gli italiani e il 31,7% tra gli stranieri. Nonostante la concentrazione in fasce medio-basse, i lavoratori immigrati producono 144 miliardi di Valore Aggiunto, dando un contributo al Pil pari al 9%. L’incidenza sul Pil aumenta sensibilmente in Agricoltura (17,9%), Ristorazione (16,9%) ed Edilizia (16,3%). Tuttavia gli ingressi per lavoro in Italia (8,5 ogni 10.000 abitanti) rimangono a un livello molto più basso rispetto alla media Ue (29,8). Gli stranieri residenti in Italia sono oggi stabili a quota 5,2 milioni, l’8,8% della popolazione.
Particolare attenzione merita l’impatto fiscale. Nonostante la pandemia abbia determinato un calo nei redditi dichiarati da contribuenti immigrati (-4,3%), il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 28,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 26,8 miliardi) rimane attivo nel 2021 per +1,4 miliardi di euro. Gli immigrati, prevalentemente in età lavorativa, hanno infatti un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni. Ciò significa che i lavoratori stranieri contribuiscono in maniera significativa ad alimentare le casse del sistema pensionistico italiano.
A supporto di ciò ci viene in soccorso il presidente dell’Inps Pasquale Tridico: a fronte di 10,8 miliardi di euro di contributi versati (su 163 miliardi di contributi totali) i lavoratori extracomunitari percepiscono pensioni per 1,2 miliardi su un totale di 300 miliardi di euro. Se può sembrare propagandistico dire, come a volte si fa nel dibattito politico, che i migranti pagano le pensioni agli italiani, non è affatto sbagliato affermare che gli stranieri sono “contribuenti netti” dell’Inps: facendo due conti versano circa il 6,6% del totale dei contributi, ma ricevono appena lo 0,4% delle pensioni erogate dall’ente previdenziale. Questo perché gli immigrati presenti in Italia sono in gran parte in età lavorativa. E, come dice Tridico, si può fare ancora di più, occorre una strategia aggiuntiva per rafforzare la sostenibilità del sistema previdenziale: “Programmare la regolarizzazione di nuovi cittadini stranieri per coprire i posti di lavoro non sostituiti a causa dell’invecchiamento della popolazione residente”.
Va sottolineato però che, secondo molti istituti di ricerca, il loro lavoro viene troppo spesso sottopagato. Eppure contribuiscono non solo ad abbassare l’età anagrafica del nostro Paese ma anche a contrastare il calo delle nascite. Senza il supporto del lavoro degli immigrati, al di là del grande contributo sul piano della manodopera, il sistema Italia non reggerebbe.
Per tornare ai livelli occupazionali pre-covid, l’Italia avrebbe bisogno di circa 534 mila lavoratori. Considerando l’attuale presenza straniera per settore, il fabbisogno di manodopera straniera sarebbe di circa 80 mila unità. In prospettiva senza questo contributo così decisivo il debito pubblico aumenterebbe e si andrebbe incontro a un Paese con sempre più pensionati e meno lavoratori. Dunque le casse dello Stato, non ultime quelle dell’Inps, rischierebbero di saltare.

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