Omelie 2022 di don Giorgio: QUINTA DI PASQUA

15 maggio 2022: QUINTA DI PASQUA
At 4,32-37; 1Cor 12,31-13,8a; Gv13,31b-35
Diciamo subito che il primo brano della Messa, tolto dal libro “Atti degli apostoli”, scritto da Luca, autore del terzo Vangelo, non è di facile interpretazione, anche se è forse il brano più noto, in quanto è diventato come l’emblema del comunismo, che avrebbe anticipato quello di Carlo Marx, che potrei definire un grande sognatore di una società ideale, in cui tutti dovrebbero essere uguali anche nel possesso dei beni materiali, essendo i beni materiali giustamente di destinazione universale. Nessuno dovrebbe dire “questo è mio”, avendo l’uomo nessun diritto a possedere qualcosa della terra, che è un bene a destinazione universale, perciò di tutti.
Sì, Carlo Marx è stato un idealista, un sognatore, visto che il comunismo reale, storico, non quello idealista, è sempre stato un fallimento deleterio. Se l’erede di Carlo Marx è stato uno come Stalin, oppure il Putin di oggi, allora dobbiamo dire che Carlo Marx ha partorito dei mostri.
Se è vero che i comunisti nostrani, essendo gente pratica, alle prese con problemi esistenziali di tutti i giorni, se ne fregavano delle teorie filosofiche marxiste (neppure le conoscevano), ma lottavano per un mondo più giusto, nel campo soprattutto lavorativo, dimenticavano però l’aspetto direi più importante, ovvero che si è spirito, oltre che corpo e psiche.
Era la sofferenza di Simone Weil (aveva fatto diverse esperienze nel campo lavorativo), la quale si preoccupava anche dello stato diremmo spirituale degli operai, nel senso che si era accorta che il lavoro disumano creava operai disumani. La sua preoccupazione, oltre che lottare per un lavoro più umano, era anche quello di risvegliare negli operai la coscienza o lo spirito o l’intelletto. E voi pensate che i sindacalisti abbiano e stiano facendo questo, ovvero ridare all’operaio il proprio intelletto?
Soffermiamoci ora sul primo brano. Ecco, ci pone una domanda: che cosa ha fatto sì che i primi cristiani mettessero i beni in comune, ovvero che cosa li ha spinti a farlo? qual è stata la vera ragione?
Prima di rispondere, vorrei chiarire anzitutto il brano, che, come dicevo all’inizio, non è di facile interpretazione. Anche qui mi faccio aiutare da Carlo Maria Martini, il quale (non dimentichiamo che era un grande esegeta, ovvero un famoso conoscitore della Bibbia) ha specificato che non si trattava da parte dei primi cristiani di una rinuncia totale alla proprietà privata, ma della disponibilità a mettere i propri beni soprattutto materiali a servizio degli altri, per venire incontro alle necessità dei bisognosi, quando la situazione lo richiedeva.
Verrebbe quindi spontaneo esclamare: Era veramente esemplare, ammirevole, la disponibilità d’animo dei primi cristiani! Quasi un istinto naturale – frutto della fede nel Cristo risorto – in forza del quale, davanti al bisogno immediato o alla richiesta di aiuto (pensate in caso di emergenza), non si fermavano a pensare due volte prima di intervenire.
Dunque, non una rinuncia radicale ai propri beni, ma una grande immensa disponibilità a rinunciarvi di fronte a un caso di necessità.
Vorrei specificare una cosa. Rinunciare di colpo a tutto ciò che si ha può essere una scelta coraggiosa, anche eroica: pensate al gesto di San Francesco di Assisi; pensate anche ai monaci che, quando entrano in un convento, rinunciano a tutto ciò che hanno.
Ma io ritengo più importante avere una continua disponibilità interiore a rinunciare a qualcosa di ciò che si ha, man mano si offre una opportunità, e questa opportunità richiede una particolare attenzione, e una particolare apertura interiore.
Anzi, può succedere che nella vita io abbia fatto un gesto estremo: ho rinunciato a tutto per una certa causa, ma ecco la domanda: se mi capitasse poi di aiutare una persona bisognosa che faccio?
Avere cose, e nello stesso tempo essere disposto a rinunciarvi man mano si offrono occasioni per fare del bene, credo che questo sia l’atteggiamento del vero credente.
Notate: si parla di costante atteggiamento interiore, di continua disponibilità che impegna il nostro essere, di apertura sempre pronta per gli altri.
Questo è un atteggiamento interiore che dovrebbe caratterizzare ogni giorno la fede del vero credente. Atteggiamento che poi si traduce in gesti concreti: vedo un povero e lo aiuto, vedo una persona in difficoltà, e la soccorro.
Dunque, secondo l’interpretazione acuta di Carlo Maria Martini, i primi cristiani non mettevano tutto in comune, ma erano prontamente disposti ad aiutare, man mano si offriva loro una necessità per qualche emergenza.
Insisto. Dare tutto in un momento di euforia può essere un gesto plateale, ma essere interiormente disposti ad aiutare i bisognosi man mano bussano alla nostra porta, è qualcosa di ancora più impegnativo.
Ma qui entra in scena la domanda: qual è la vera motivazione per cui sono disposto interiormente ad aiutare chi ha bisogno?
Già l’ho anticipato, dicendo che questa disponibilità interiore di apertura agli altri è frutto della Fede nel Cristo risorto. Chiariamo.
Anche un ateo può fare del bene, ma a me fa paura quando sento parlare di filantropia. Mi sembra che sia una parola che sa troppo di pelle: come aiuto autenticamente una persona? dando solo qualcosa che la possa far star meglio fisicamente?
Ogni aiuto materiale deve essere accompagnato da un aiuto del tipo spirituale. Chiarisco. Aveva ragione Simone Weil: non solo bisogna lottare per rendere un mondo più umano, ma attenzione quando si parla di giustizia: la giustizia deve essere intesa in senso più ampio: dare all’essere umano la possibilità di vivere anche e soprattutto come essere.
Non basta aiutare materialmente una persona, anche se è talora necessario: occorre ridare alla persona la sua dignità interiore.
Perché, ecco la vera domanda, gli operai quando raggiungono un certo benessere materiale perdono, come si dice, la testa? Forse una volta erano materialmente poveri, costretti a duri disumani lavori, ma avevano una certa dignità interiore. E oggi? Da comunisti sono diventati berlusconiani e leghisti. Borghesi nell’animo e nel corpo. Panciroli, fino ad essere razzisti, egoisti e menefreghisti anche nelle emergenze più drammatiche.
Giusto sì elevare il livello materiale della vita, ma ancor più giusto elevare il livello culturale, e ancor più sacrosanto elevare il livello spirituale.

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