dal Corriere della Sera
La cerimonia in spagna
A Mario Draghi il premio Carlo V:
«Difesa comune, welfare ed energia,
l’Ue cresca più rapidamente e meglio»
di Redazione Economia
L’ex presidente della Bce ha ricevuto il Premio Europeo Carlos V in una cerimonia presieduta dal re Felipe VI, presso il Monastero di San Jerónimo de Yuste, in Estremadura
L’ex presidente della Banca centrale europea ed ex premier italiano, Mario Draghi, ha ricevuto il Premio Europeo Carlos V in una cerimonia presieduta dal re Felipe VI, presso il Monastero di San Jerónimo de Yuste, in Estremadura. Alla cerimonia di premiazione erano presenti tra le altre autorità, il vicepresidente della Banca centrale europea, Luis de Guindos, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares e il ministro dell’Economia Carlos Cuerpo.
«Dobbiamo aumentare la nostra produttività»
L’Ue dovrà «crescere più velocemente e meglio» per far fronte ai cambiamenti, «e il modo principale per ottenere una crescita più rapida è aumentare la nostra produttività», ha detto l’ex presidente della Bce ed ex premier italiano nel discorso pronunciato dopo aver ricevuto il riconoscimento. «Oggi ci troviamo di fronte a questioni fondamentali per il nostro futuro. Con l’invecchiamento delle nostre società, aumentano le esigenze del nostro modello sociale. Allo stesso tempo, per gli europei mantenere alti livelli di protezione sociale e di ridistribuzione non è negoziabile», ha proseguito.
Un mercato Ue dell’energia
«Una maggiore produttività dipende dalla costruzione di un vero mercato europeo dell’energia», ha spiegato Draghi sottolineando che va ridotto il prezzo dell’energia. «Soffriamo di investimenti infrastrutturali lenti e non ottimali, sia per le energie rinnovabili che per le reti», e «abbiamo regole di mercato che non disaccoppiano completamente il prezzo dell’energia rinnovabile e nucleare dai prezzi più alti e più volatili dei combustibili fossili, impedendo alle industrie e alle famiglie di cogliere appieno i benefici dell’energia pulita nelle loro bollette». L’ex numero uno della Bce ha sottolineato che i prezzi elevati dell’energia «stanno portando a una riduzione degli investimenti in Europa» e «impediscono poi di rendere la produzione più digitale, poiché l’intelligenza artificiale è ad alta intensità energetica»
«L’Ue deve aumentare capacità di difesa»
«Dobbiamo anche far fronte a nuove esigenze: adeguarci ai rapidi cambiamenti tecnologici, aumentare la capacità di difesa e realizzare la transizione verde. E nel frattempo, il precedente paradigma che sosteneva i nostri obiettivi comuni sta scomparendo. L’era del gas importato dalla Russia e del commercio mondiale aperto sta svanendo», ha sottolineato l’ex numero uno della Bce.
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da www.huffingtonpost.it
14 Giugno 2024
Draghi ci spiega perché la Cina
è scorretta e i dazi servono. Scholz prenda appunti
di Luca Bianco
Le tariffe alle importazioni dei prodotti di Pechino (a partire dalle auto elettriche) non servono per fare un favore ai produttori europei. Sono una risposta geopolitica a una sfida geopolitica lanciata all’Europa e al suo benessere
“Non vogliamo diventare protezionisti in Europa, ma non possiamo essere passivi se le azioni degli altri minacciano la nostra prosperità”. Dal monastero spagnolo dove Carlo V si ritirò da eremita dopo trent’anni di dominio incontrastato del continente, Mario Draghi torna a parlare di ciò che l’Europa necessita per restare al passo delle sfide che la minacciano da tutte le direzioni. Incaricato dalla commissione Ue di redigere un report su come rendere economicamente competitivo il Vecchio Continente, l’ex premier mette in chiaro come le cose siano cambiate in peggio rispetto all’epoca della globalizzazione e del libero commercio su scala globale. L’Europa, tra i grandi sponsor e beneficiari di quegli anni d’oro, deve cambiare approccio. E lo deve fare su più livelli: sostenendo le imprese sul fronte dell’innovazione, in particolare dell’Intelligenza artificiale e stimolando la nascita di un mercato comune dei capitali e dell’energia. Ma soprattutto contrastando la concorrenza sleale di rivali come la Cina.
Da uno dei luoghi più remoti della penisola iberica, un paesino di appena mille anime chiamato Cuacos de Yuste, Mario Draghi striglia l’Europa e le ricorda che – al di là dei nuovi equilibri politici che si configureranno a Bruxelles e nelle varie capitali dopo il voto per l’Europarlamento – i problemi che dovrà affrontare da qui ai prossimi anni saranno inevitabilmente gli stessi. L’ex premier parla in occasione di un premio, il “Carlo V” consegnato dal re di Spagna Felipe VI, sull’altare del monastero di Yuste, lo stesso dove l’imperatore del Sacro romano impero si ritirò, nel 1556, dopo aver abdicato alla corona per dedicare il resto della sua vita alla preghiera. Prima di Draghi, ritirarono lo stesso premio giganti della storia europea, tra cui Jacques Delors, Mikhail Gorbachev, Helmut Kohl e Angela Merkel. Quest’anno è stato il turno dell’ex governatore della Banca centrale europea, premiato per aver “salvato la moneta comune, consentendo all’Europa di uscire più forte” dalla doppia crisi del debito sovrano che la colpì nei primi anni Dieci.
L’ex premier italiano però, dopo i ringraziamenti di rito, si getta a capofitto su ciò che l’Europa deve fare per uscire più forte dall’attuale fase di tensioni geopolitiche che la vedono spesso oggetto, più che soggetto, del suo destino. Draghi ricorda che per “mantenere elevati gli standard di protezione sociale dei cittadini europei” bisogna darsi una mossa, il prima possibile e su diversi fronti, tutti geopoliticamente centrali in questa fase. Se il Vecchio Continente cresce a una velocità inferiore rispetto ad altre regioni – il Pil procapite dell’Ue, in vent’anni, è cresciuto di un terzo rispetto a quello americano – è perché l’industria europea fatica sul fronte della produttività, dove sconta ritardi crescenti nel “settore tecnologico e nella digitalizzazione”. Un gap “che potrebbe allargarsi – avverte l’ex numero uno di Bce e Banca d’Italia – con il rapido sviluppo dell’Intelligenza artificiale”.
Da abbattere, in primis, è l’elevato prezzo dell’energia che le nostre imprese devono affrontare rispetto a quelle americane e di altri paesi. “Soffriamo la lentezza e il basso livello di investimenti nelle infrastrutture” sia per quanto riguarda la capacità produttiva di energie rinnovabili sia per la loro messa a sistema: “Reti energetiche sottosviluppate ci rendono incapaci di colmare la domanda energetica anche quando si registrano surplus produttivi in alcune parti d’Europa”. E con l’AI che richiederà progressivamente sempre più capacità di calcolo e dunque accesso ad energia a buon mercato non si può pensare di andare avanti senza “la costruzione di un mercato europeo dell’energia”. L’altro corno della ricetta Draghi per la competitività sono le politiche per l’innovazione: “In termini percentuali sul Pil, le imprese europee spendono circa la metà di quanto fanno quelle americane in ricerca e innovazione”. Questo si traduce in un gap di investimenti tra le due sponde atlantiche “che si aggira intorno ai 270 miliardi di euro l’anno”, tutto a favore degli States. Per aumentare in maniera concreta gli investimenti sia pubblici che privati in termini di innovazione e ricerca diventa fondamentale avere più Europa, e meno strategie nazionali: “Non avere un budget federale come quello degli Stati Uniti ci mette in posizione di svantaggio. Negli Usa la maggioranza della spesa per l’innovazione arriva dal livello federale. In Europa, invece, gli strumenti finanziari sono spaccati tra Bruxelles e gli Stati membri: solo un decimo della spesa in ricerca e innovazione è di provenienza Ue. E con un basso livello di coordinamento e di scelta delle priorità”.
Dal Nord Atlantico, l’attenzione di Supermario si sposta verso Oriente. “Oggi affrontiamo un’ondata di importazioni cinesi più economiche e talvolta più avanzate tecnologicamente”. Entro il 2030, avverte Draghi, la capacità produttiva della Cina per il fotovoltaico sarà il doppio del livello della domanda globale, mentre per le batterie elettriche sarà pari. “Ci sono ampie prove che parte dei progressi della Cina siano dovuti a consistenti sussidi ai costi, protezione commerciale e soppressione della domanda”. In particolare, come parte di questa strategia, “la crescita salariale cinese non ha tenuto il passo con la crescita della produttività, mentre i tassi di risparmio rimangono alti, lasciando i consumi domestici al solo 44% del Pil”. Tradotto in parole povere: Pechino non consente un aumento del potere d’acquisto dei suoi cittadini a una velocità pari alla crescita della produttività delle proprie imprese. Tenendo così sotto controllo la domanda interna, e facendo dunque riversare una marea di prodotti a prezzi sempre più stracciati – veicoli e tecnologie green – verso lidi esteri, tra cui l’Europa.
Ecco perché l’Europa deve cambiare radicalmente approccio a livello commerciale: “Non vogliamo diventare protezionisti, ma non possiamo essere passivi se le azioni degli altri minacciano la nostra prosperità”. La strategia di Draghi si caratterizza in tre punti fermi. Primo: “Cercare di riparare i danni all’ordine commerciale multilaterale, incoraggiando tutti i partner disposti a riaffermare il commercio basato su regole”. Secondo: “Incoraggiare gli investimenti esteri in entrata, in modo che i posti di lavoro rimangano in Europa”. Ma soprattutto, come terzo punto, quello più radicale rispetto al passato, “l’uso di sussidi e tariffe”. Bisogna procedere con i dazi, seguendo l’esempio americano e come iniziato a fare dalla commissione Ue questa settimana proprio contro le auto elettriche importate da Pechino. Ma il ritorno del protezionismo non dovrà essere una strategia per avvantaggiare i nostri produttori senza badare a sprechi e inefficienze: “L’uso di tariffe e sussidi dovrebbe essere coerente con la massimizzazione della crescita della produttività. Ciò significa – avverte l’ex premier – evitare incentivi perversi che minino l’industria europea”. Nonché “distinguere le vere innovazioni dalla concorrenza sleale e dalla soppressione della domanda”. Le tariffe “devono essere bilanciate dagli interessi dei consumatori”. Insomma, dopo il debito buono, è arrivato anche il tempo del protezionismo buono.
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