Non sappiamo più educare i giovani (solo compiacerli)

da il Corriere della Sera
14 luglio 2021

Non sappiamo più educare i giovani

(solo compiacerli)

di Ernesto Galli della Loggia
È vano immaginare che il rimedio al fallimento possa essere una frigida pedagogia ad hoc sotto forma ad esempio dell’appena decretata introduzione dell’«educazione civica»
Più insopportabile di ciò che i giovani spesso fanno è la retorica che sui giovani si fa. Quella retorica, ad esempio, che a commento della recentissima decisione di estendere ai diciottenni il diritto di voto per il Senato ha fatto titolare a qualche giornale «Da oggi i giovani contano di più». Come se dopo la medesima estensione del diritto di voto per la Camera mezzo secolo fa qualcuno si fosse mai accorto che i suddetti giovani avessero cominciato a «contare di più».
Si pensa con questa retorica di risultare loro simpatici, di ingraziarseli. Ingraziarsi i giovani è divenuta infatti da decenni la parola d’ordine di un Occidente sempre più vecchio e sempre più preso dalla paura di esserlo. Compiacere i giovani è divenuto così il primo comandamento di chiunque intenda apparire al passo dei tempi e magari giovane anche lui: dal ministro dell’Istruzione al sindaco dell’ultimo borgo d’Italia che si farebbe impalare pur di non chiudere una discoteca da diecimila decibel.
Ma i giovani non dovrebbero essere adulati. Adularli, compiacerli, è il modo più sicuro per rovinarli: perché così li si rinchiude nell’informe in cui essi ancora consistono e dal quale invece devono essere aiutati a uscire, «e-ducati» (condotti fuori: ah la folgorante perspicuità della lingua latina!). Per l’appunto l’educazione non l’incensamento è il vero diritto che i giovani possono, e devono, accampare nei confronti della società.
Disgraziatamente è proprio ciò che le nostre società, a cominciare dalle famiglie, non riescono più a fare. Non sappiamo educare le nuove generazioni, dare loro una misura e un retroterra, e quindi un orizzonte di senso per l’oggi e per il domani; riempire di un contenuto positivo di attesa e di speranza gli anni d’apprendistato che esse vivono. Incapaci ormai di fare qualcosa del genere abbiamo creato uno spaventoso vuoto educativo.
Ed è per l’appunto su questo fronte che anche la scuola italiana registra il suo fallimento più visibile. Come dimostrano ogni giorno le cronache delle multiformi imprese di tante masse giovanili — con la loro insubordinazione distruttiva ma insieme con il loro evidente carico di disperazione — anche la scuola non riesce a dare ai propri allievi quella minima maturità e padronanza di sé, quella consapevolezza degli obblighi della convivenza sociale che sarebbero necessarie.
Ma è vano immaginare che il rimedio a tale fallimento possa essere una frigida pedagogia ad hoc sotto forma ad esempio dell’appena decretata introduzione dell’«educazione civica», una nuova pseudomateria in condominio tra tutte le altre materie. È vano immaginare che conoscere i diritti del cittadino, essere ammaestrati al rispetto della legge o circa le competenze delle Regioni possa davvero educare. Cioè formare una coscienza, introiettare un limite, plasmare un carattere, sapere che cosa è bene e che cosa è male. Una scuola che coltiva una simile illusione, che crede che la chiave dell’educazione sia l’insegnamento di «democrazia» è una scuola che in realtà ha smarrito il senso della propria natura e con essa la propria anima. Che rimane una sola: l’istruzione. La scuola è nata per istruire e dalla convinzione che l’istruzione in quanto tale abbia un potere educativo, che essa in quanto tale incivilisce.
Solo gli sciocchi o i demagoghi, infatti, credono che l’istruzione consista nell’assimilare un insieme di nozioni e basta. È invece tutt’altro.
Istruirsi, in realtà, vuol dire attraverso le nozioni appropriarsi di un retaggio. Vuol dire cioè stabilire un legame con quanto è stato pensato, conosciuto, scritto e fatto d’importante prima di noi e quindi farlo nostro. Vuol dire venire a contatto con i mille modi in cui si è presentato nel mondo l’umano e più o meno consapevolmente misurarci con esso, con esso alimentare la nostra riflessione su noi stessi far crescere la nostra personalità, costruire il nostro immaginario e, per usare un’espressione ormai inconsueta, il nostro mondo morale.
È in questo modo che l’appropriazione di un retaggio diviene la costruzione di un’identità. La nostra. E che di conseguenza riusciamo a non esistere più come fuscelli insignificanti gettati nel mondo , bisognosi per sentirci vivere di ubriacarci in una movida o di fare a botte per un nonnulla.
Istruzione, infine, vuol dire essere accompagnati nell’impresa che ho appena detto da un maestro (ogni insegnante deve sforzarsi di esserlo). Vuol dire cioè apprendere dall’esperienza viva che cosa può significare per noi un essere umano in carne e ossa — non la fantasmatica immagine sullo schermo di un computer — con il quale entrare in un contatto personale e diretto. Vuol dire sperimentare quale esempio di passione , di conoscenza e di verità la sua istruzione significhi per lui ed egli possa trasmetterci. Di tutto questo è fatta l’educazione che l’istruzione — e solo l’istruzione — è in grado di trasmetterci. È Leopardi, sono la storia e la matematica che insegnano ad essere cittadini di una patria libera e a rispettare gli altri, non l’educazione civica.
Ma perché allora pensiamo di ricorrere a un misero (e del tutto vano) succedaneo com’è per l’appunto la suddetta «educazione civica»? La risposta è semplice. Perché l’istruzione di cui fin qui ho parlato, che ha le sue radici nel passato (è il caso ad esempio dell’insieme delle materie cosiddette umanistiche) e non se ne vergogna, non è più da tempo quella che impartisce la nostra scuola. La quale, invece di opporsi all’ideologia sociale dominante fondata per intero sulla delegittimazione del passato, sull’attacco a tutti i suoi valori, sul discredito di ogni tradizione, accredita l’idea che nella scuola stessa ciò che davvero conta — e deve contare! — siano ormai solo le «competenze», gli human skills, il «mondo del lavoro», l’«inclusività», l’«educazione digitale» e sopra ogni altra cosa sempre e comunque una visione del mondo, una formulazione di qualunque cosa, di tipo formalistico, quantitativizzante e psico-scientista. Il tutto, come è ovvio, per l’entusiastico impulso di burocrazie senza principi e di ministri dell’istruzione di nessun peso mossi solo dallo spasmodico desiderio di far parlare bene di sé i giornali dell’indomani.

5 Commenti

  1. Beatrice ha detto:

    I “potenti di turno” temo non siano proprio Berlusconi, Salvini e Meloni, e neppure i 5 Stelle incompetenti o il PD senza identità e tutto fuorchè di sinistra, i veri potenti – diversamente dai vari duces di ogni colore del passato – sono i grandi capitalisti dell’energia e delle reti comunicative che in maniera falsamente democratica consentono a tutti noi di parlarci e di scannarci a vicenda, mentre essi gestiscono le sorti del mondo a solo ed esclusivo loro guadagno, proprio cercando di far credere che ogni fiducia nella storia e nel passato non conti più nulla

  2. Andrea ha detto:

    Ben detto cara Martina, condivido pienamente e aggiungerei che siamo schiavi del “troppo che sommerge”

  3. Luigi Egidio ha detto:

    Non mi preoccupa chi non è capace di educare perchè magari non ne ha le capacità. Temo chi cerca di compiacere ai potenti di turno che si chiamino Salvini, Meloni o Berlusconi pur avendo le capacità di educare mettendoli in guardia dai pericoli che comportano questi compiacimenti. Il compiacimento del capo è stata la forza del fascismo. Duce duce tu sei la luce. C’è cascato il giovane frate David Maria Turoldo. Ci stanno cascando non solo tanti giovani, ma adulti e anziani. La popolarità del trio sopranominato è legato a questo filo sottile che unisce i fuscelli che sono il simbolo del fascismo e che uniti ne hanno fatto la sua forza. Cosa chiedono? Spirito di sacrificio che è la mistica fascista di tutti i tempi che ha ereditato mio papà portandolo ad una morte prematura. Poi c’è l’eternità che ti priva delle gioie del presente e sempre del presente non gli fa vedere le sofferenze che hanno vicino. Poi c’è la purezza che s’inventa razze che non esistono o che viene usata come discriminazione come per gli omosessuali. Ed infine la redenzione che cerca di alterare i fatti della storia dicendo che il fascismo ha fatto cose buone. Questo è quello che c’è da temere prima che risorgano sotto nuove vesti fascismi, nazismi, comunismi sovietici, cristianità inquisitrici …

  4. Martina ha detto:

    Il discorso è esteso, generale e lo si vede ovunque.
    Partendo da questi genitori che non sanno più come fare a accontentare i capricci dei figli oppure genitori che educano bene e si ritrovano i figli rivoltarsi contro perché la società devia.
    Non si sa più educare e avendo tutto si pretende sempre di più. Chi dovrebbe educare si abbassa a livelli prettamente stupidi pur di piacere, pur di avere un seguito.
    Mancano oramai le basi. Manca l’essere mentre c’è troppo avere.
    Nell’articolo si parla anche di educazione civica ma non dovrebbe essere tutta rivolta al bene comune?

  5. Andrea ha detto:

    Perfino la Chiesa, nel campo della musica sacra e liturgica, pur di essere compiacente verso le generazioni di giovani del momento, ha rinunciato alla sua profondità e al ruolo educativo “elevato” che ha sempre esercitato: dalle formazioni corali polifoniche e all’uso del re degli strumenti, simbolo di civiltà musicale cristiana (Organo), alle scemenze musicali degli ultimi decenni, con canzonette di bassissimo livello ed utilizzo di strumenti impropri (anche infischiandosi del Sacrosanctum Concilium sulla Musica Sacra, contenuto nel Concilio V. II). Per non parlare poi del Gregoriano quasi dimenticato… eh sì che in passato, pur con un livello di istruzione assai più basso, si coinvolgevano i fedeli in attività che, unitamente alla dimensione cultuale, creavano occasioni di cultura e socialità. Con i mezzi di diffusione della conoscenza attuali, in teoria, dovrebbe essere ancora più rapido uno sviluppo positivo, invece accade l’esatto opposto. Anche questo è un esempio di vuoto educativo, occasione che si continua a perdere, rinunciando a trasmettere i valori di una Tradizione con la T maiuscola che non solo raccoglie grandi esempi dal passato, ma che dovrebbe continuare ad innovarsi, nel rispetto di quella civiltà cristiana che è stata la culla della massima espressione di ogni forma d’arte.

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