Lega ladrona, leghisti complici!
da la Repubblica
Lega,
dalla laurea del “Trota” agli affari in Tanzania,
perché i giudici
hanno bloccato i conti del Carroccio
Dopo la condanna in primo grado per Bossi e per l’ex tesoriere Belsito, il tribunale di Genova ha confiscato 48 milioni al partito di Salvini. Il segretario: “Toghe ultra-rosse, peggio della Turchia”.
di MAURO FAVALE
15 settembre 2017
Non è certo il modo migliore per festeggiare il ventunesimo compleanno. Alla vigilia del raduno di Pontida, la Lega di Matteo Salvini che si candida a essere il traino del centrodestra nazionale si ritrova senza un euro in cassa. Ed è difficile che domenica, sul pratone del comune lombardo entrato di diritto nella mitologia del Carroccio, non si parli della decisione dei giudici di Genova che hanno congelato i conti del partito a pochi mesi dalla campagna elettorale. Intanto “la festa si farà – ha assicurato il segretario – anche se non ci sono i soldi per pagarla”. Ci penseranno i volontari, fanno sapere dalla Lega, ma intanto dall’Emilia alla Liguria alla Lombardia, da ieri i segretari regionali del partito non possono più prelevare nulla per pagare fornitori o stipendi. È il primo effetto della sentenza di primo grado che lo scorso 10 luglio ha visto la condanna di Umberto Bossi (2 anni e tre mesi), del figlio Renzo (1 anno e sei mesi) e dell’ex tesoriere Francesco Belsito (2 anni e sei mesi) per appropriazione indebita e truffa allo Stato. Il processo ha evidenziato le irregolarità nell’uso dei fondi pubblici ottenuti dalla Lega come rimborsi elettorali e il sequestro preventivo di 48 milioni rischia ora di mettere seriamente in crisi il Carroccio. “È un attacco alla democrazia”, ha protestato Salvini. “Non si può permettere che in uno Stato di diritto qualcuno venga imbavagliato. Senza uno straccio di foglio in mano bloccano un partito, su decisione di un singolo giudice. Ma neanche in Turchia. Qui siamo alle toghe ultra-rosse. Venite domenica a Pontida, sarà una giornata molto particolare”.
Ma il provvedimento di ieri non è certo un fulmine a ciel sereno. Piuttosto un atto ineluttabile, disposto dal tribunale che ha accolto le tesi della procura: secondo i pm, per Bossi “sostenere i costi della sua famiglia” con il patrimonio della Lega sarebbe stato “un modo di agire consolidato e concordato” di concerto col tesoriere Belsito. Un processo, quello contro la Lega, partito nel 2012, dall’esposto di un militante del Carroccio che interpellava la procura di Milano “in merito alla liceità dell’operazione in Tanzania e di molte altre operazioni finanziarie effettuate mediante denaro pubblico”. In quel periodo, già altre due procure, Napoli e Reggio Calabria, si stavano occupando della gestione dei soldi della Lega. E proprio su disposizione dei pm napoletani, nell’aprile del 2012 viene sequestrata alla Camera nella cassaforte di Belsito una cartellina rossa che riporta la dicitura “The Family”. Secondo i Pm, i documenti contenuti lì dentro provano che più di mezzo milione di euro del partito era stato utilizzato per le spese della famiglia Bossi: quasi 10mila euro sarebbero stati spesi per l’operazione di rinoplastica al figlio Sirio, oltre alle multe saldate a Renzo Bossi (che suo padre, nel 2008, definì il “Trota” declassandolo così da potenziale suo “delfino”) oltre alle spese per la ristrutturazione della casa di Gemonio. E sempre a proposito di Renzo, in quella cartellina c’erano le spese (77 mila euro) presso l’università Kriistal di Tirana dove i figlio del Senatür aveva ottenuto un diploma di primo livello in “Gestione aziendale”. Per la Lega fu un terremoto che portò alle dimissioni del fondatore dalla segreteria. E mentre l’iter processuale va avanti, nel 2014 il fascicolo riguardante la truffa e l’appropriazione indebita dei rimborsi elettorali disposti da Camera e Senato finisce per competenza territoriale a Genova. Dal capoluogo ligure, infatti, sono partiti i bonifici disposti da Belsito attraverso i conti della Lega verso Tanzania e Cipro per l’acquisto, tra l’altro, di quote di fondi e di diamanti depositati, poi, in una cassetta di sicurezza.
Su questo episodio è tornato anche Matteo Renzi che ha attaccato Salvini: “Tutti i giorni la Lega fa la morale a Roma ladrona ma nessuno che dica che c’è un partito che ha rubato i soldi del contribuente. La Lega deve dare 48 milioni di euro del contribuente”. Secca la replica del segretario del Carroccio: “Renzi è un povero bugiardo arrivato alla fine del suo percorso che ha perso ormai ogni consenso. Sembra di essere su Scherzi a Parte, ormai siamo alla follia. Per la scelta politica di un singolo giudice ci sono milioni di persone che rischiano di stare senza voce né rappresentanza”.
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da la Repubblica
14 settembre 2017
Blocco fondi Lega Nord,
Salvini:
”Per la prima volta giudici
mettono fuori legge un partito”
”Oggi, per la prima volta nella storia della Repubblica, i giudici stanno bloccando l’attività di un partito politico”. Così il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, in una conferenza stampa a Montecitorio nel corso della quale ha commentato la sentenza del tribunale di Genova relativa a irregolarità dell’utilizzo di fondi pubblici da parte del Carroccio della gestione Belsito con Bossi 9 anni fa
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da La Repubblica
14 settembre 2017
Renzi attacca Salvini:
”La Lega smetta di rubare, ha truffato l’Italia”
Matteo Renzi, alla festa dell’Unità di Frascati, accusa il Carroccio: “Tutti i giorni la Lega fa la morale, dicono Roma ladrona, ma mi sembra che nella Capitale si siano trovati bene. Hanno rubato i soldi dei contribuenti, devono dare 48 milioni di euro allo Stato”. Il segretario del Pd prosegue poi con un attacco frontale a Matteo Salvini: “E’ ovunque, in tutti i talk show, tranne che a Bruxelles e a Strasburgo”
Video di Marco Billeci
Tutto già visto e replicato. Ogni volta che qualche partito, o esponente politico, finisce nel tritacarne della magistratura (sempre più spesso a ragion veduta) immediatamente si innalza il grido di magistratura politicizzata, di procure e giudici al servizio dei “poteri forti” e compagnia cantando. Il ritornello è noto: “visto che non riescono a batterci democraticamente, ricorrono alla prepotenza della macchina giudiziaria per eliminarci”. Eppure in questo caso, un minimo di pudore e di discrezione non guasterebbero, considerato che la lega (come del resto il MSI), non sarebbe mai riuscita a diventare un partito di primo piano nel ventennio del bunga-bunga berlusconiano, se non avesse approfittato dello scandalo di tangentopoli e dei suoi effetti politici, che aveva portato allo smantellamento del cosiddetto “arco costituzionale”. Non per niente in quei giorni venne partorito lo slogan “Roma ladrona”. Eppure il “giornalista” Matteo Salvini, se facesse bene il suo mestiere, anziché perdere tempo a giocare a fare il leader di partito, saprebbe con certezza che l’inchiesta sulla gestione sciagurata dei cospicui rimborsi elettorali, che ha già portato alla condanna dei Bossi, padre e figlio, e dell’ex tesoriere Belsito, è partita dalla denuncia di un militante, e quindi dal fuoco amico della sua presunta base elettorale. Ma la memoria è uno strumento che spesso non è contemplato tra le prerogative di segretario politico, altrimenti l’ineffabile Matteo non cercherebbe alleanze e consensi nella destra nazionalista e i parafascisti di ogni risma e nazionalità. Se non altro in omaggio alla sua militanza ideologica, che, agli albori del colpo di fulmine per la Padania (per cui abbandonò gli studi) l’aveva spinto a schierarsi nei ranghi della sinistra oltranzista del movimento. O forse, non ricorda di essere stato capolista della corrente dei Comunisti Padani nella farsa delle elezioni del “Parlamento della Padania”?