Omelie 2024 di don Giorgio: III DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

15 settembre 2024: III DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 32,15-20; Rm 5,5b-11; Gv 3,1-13
A dir poco stupendo il primo brano della Messa: appartiene al primo Isaia, quello storico che è vissuto nel sec. VIII a.C. Il contesto storico in cui Isaia è vissuto e ha dovuto, per volere divino, svolgere la missione di profeta è particolarmente drammatico: il Regno di Giuda, quello del Sud con capitale Gerusalemme, era sotto la minaccia dell’impero degli Assiri, mentre sognava alleanze impossibili per liberarsi dal loro giogo.
Al capitolo 31 il profeta aveva messo in guardia dal cercare alleanze coi più potenti: «Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, pongono speranza nei cavalli e confidano nei carri numerosi». Il profeta garantisce che «cadrà l’Assiria sotto una spada che non è umana» e perciò può immaginare, per un futuro indeterminato, «un re che regnerà con giustizia e i capi che governeranno col diritto».
Notate subito l’insistenza dei profeti sulla giustizia e sul diritto, da intendere come volere divino, in quanto Bene Assoluto. Solo Dio è la Giustizia, i diritti sono fondati sul fatto che Lui è l’Unico Bene Necessario, per cui invece che di diritti dovremmo parlare di doveri. Simone Weil, una delle più grandi pensatrici francesi, morta nel 1943 a 34 anni, consumata anche da una vita vissuta nella più assoluta radicalità (il suo pensiero talora è anche difficile da capire, ma la sua vita ci lascia esterrefatti per una estrema povertà), fa notare che nell’antico mondo greco non c’era una parola che indicasse il diritto, ma c’era una parola chiamata “giustizia”: il diritto l’avevano inventato i romani, e se ne erano serviti per conquistare il mondo con la forza. Diritto dunque uguale a pretesa egoistica, a forza fisica, invece giustizia richiama alti valori che vanno oltre individualismi, egoismi, violenze. Pensate al presente: a parte Putin il criminale, il governo israeliano vorrebbe imporre uno Stato fondato non sulla giustizia ma sui diritti visti dalla parte del potere, della forza, della violenza.
Torniamo al testo di Isaia. Contiene un bellissimo progetto etico per il mondo politico e per una società finalmente coraggiosa, che si costruisce, senza timore, nella pace, conseguenza dunque di uno stato di giustizia. Ecco le sue parole: «Non si chiuderanno più gli occhi di chi vede e le orecchie di chi sente saranno attente. L’ignobile non si chiamerà più nobile né l’imbroglione sarà detto gentiluomo».
Dopo un intermezzo, estremamente curioso e fortemente provocatorio, ma del tutto realistico, in cui particolarmente si parla delle donne spensierate e baldanzose (un testo da leggere pensando anche all’oggi) si ritrova, nel brano di oggi, una profezia di speranza.
Nei testi profetici è facile trovare una alternanza di pagine cupe e di pagine luminose. Proprio perché è buio, occorre predicare la luce, dalla disperazione si passa alla speranza. Il problema drammatico è quando, come oggi, non si vede una via di uscita: nel campo ecclesiastico e nel campo civile e politico. Così buio che sembra impossibile che arrivi un’alba nuova, segno che sta arrivando un nuovo giorno.
Il profeta Isaia assicura: sarà Dio stesso e solo Lui a capovolgere le prospettive di una storia sempre segnata dalla paura e dalla sottomissione a potenze straniere. Dio immetterà il suo Spirito: ecco il segreto, la carta vincente di Dio. Dice il profeta: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto». Queste parole ci rimandano a un altro profeta, Ezechiele, che illustra i tempi della Nuova Alleanza. Lo Spirito di Dio modella una nuova società, fondata su un coerente ordine morale, fondato sulla giustizia e non sui diritti come pretese egoistiche. Una nuova società che conoscerà solo la parola “giustizia”, e non la parola “diritto”, che sarà sostituita dalla parola “dovere”.
E Isaia insiste, e anche noi dovremmo insistere: la Parola di Dio garantisce la pace, solo là dove c’è giustizia. «Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre». E pace significa abbondanza di raccolto poiché la steppa si trasforma in giardino così carico e ricco da sembrare una “selva”, parola da intendere in senso positivo, come ricchezza di vegetazione. E l’immagine continua: ci potranno essere dissesti e disavventure; tuttavia per questo popolo di agricoltori e di pastori ci sarà abbondanza di raccolti e di animali in libertà che non procureranno danni e non saranno rubati.
Sì, sono immagini che richiamano il sogno di un mondo più giusto e senza violenza. Ma, al di là dell’immagine che indica tuttavia la realtà anche concreta, sono convinto che anche i dissesti naturali sono dovuti non ai capricci della natura, ma ai capricci dell’uomo, le cui brutture, imbecillità, violenze, soprusi ricadono sull’ambiente naturale in cui viviamo. Una prova lampante è quanto sta succedendo oggi, in cui guerre e soprusi di potere, imbecillità anche di masse senza cervello hanno procurato conseguenze negative anche sulla natura, la quale sembra che giustamente ce la faccia pagare. Il mondo tornerà ad essere giusto e perciò tornerà in pace, anche la natura si rimetterà a posto, seguendo i suoi cicli naturali.
Il profeta continua: la garanzia di Dio ci chiede, insieme, il bisogno di una sua presenza “che viene dall’alto”, ed anche il nostro impegno a fare spazio alla giustizia divina.
Certo, noi fatichiamo a sentire queste proposte come risolutive. Ci sembra sempre che la giustizia sia parziale e frammentaria, un po’ sì ma non troppo, sì perché quando c’è troppa giustizia non vale viverla perché si è perdenti, e allora permettiamo una scelta più ragionevole, cercando privilegi, vantaggi, inserendosi in gruppi di potere, aggregandosi ai potenti. E così, popolo bue come siamo, votiamo i populisti più schifosi alla Salvini, un governo di incompetenti, di ladri, di farabutti con a capo una scemetta da quattro soldi. Quando ci si lamenta o ci si spaventa della mafia diffusa, dobbiamo davvero interrogarci se le radici del cercare favori e sviluppare interessi di parte non ci alleino di più alle stesse realtà prevaricanti che disdegniamo, conniventi con la stessa mafia.
Don Primo Mazzolari, altro prete dimenticato, anche perché la Chiesa istituzionale di oggi e la stessa società hanno ben altri modelli, tra cui una piccolissima se non invisibile visuale di quella fede che un tempo era testimoniata da grandi uomini e donne, diceva apertamente, anche provocando e facendosi contestare: “Giuda è in ognuno di noi”, “il ladro è dentro di noi”, “il fariseo è dentro di noi”, da qui parte una catena di giuda, di ladri, di farabutti, anche di credenti che tengono il piede in due scarpe, che convivono pacificamente con le peggiori perversioni mentali.
E se le chiese si sono svuotate è perché la gente non trova più una buona parola a cui attingere, perché, siamo sinceri, la gente sente il bisogno di una sorgente di acqua che disserti per la vita eterna. Una donna samaritana si è convertita attorno a un pozzo per le parole di un Maestro che faceva il Maestro. No, noi corriamo ai pozzi che perdono acqua, come diceva il profeta Geremia in nome di Dio: «Il mio popolo ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne piene di crepe che non trattengono l’acqua».

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