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13 Novembre 2023
Talvolta i medici difendono i bimbi
dall’accanimento terapeutico dei genitori
di Gilberto Corbellini
Il dolore di padre e madre della piccola Indi merita rispetto. Ma niente e nessuno poteva salvarla: restava di risparmiarle altre sofferenze. E il governo italiano che prometteva cure e speranze è incommentabile
La piccola Indi Gregory è deceduta. Il dolore dei genitori di fronte alla morte di una bambina di otto mesi merita rispetto. Altrettanto rispetto meriterebbero genitori che in una condizione simile avessero fatto in modo, senza amare di meno la loro creatura ma, proprio perché vogliono il suo meglio, che la situazione avesse avuto fine prima possibile. Probabilmente io mi sarei trovato tra i secondi.
Si può leggere la vicenda della piccola Indi da diversi punti di vista. Incluso il fatto che i sentimenti di sofferenza e pietà delle persone diventano a volte un gioco politico di propaganda da parte di un governo, quello italiano, che non si risparmia il ridicolo; come quando racconta che la medicina italiana avrebbe potuto fare di più o addirittura curare la bambina, la quale era cittadina in uno dei paesi più all’avanguardia al mondo della scienza medica. La malattia è un errore innato a livello del metabolismo mitocondriale, per cui causa attacchi epilettici, malformazioni, ritardi dello sviluppo e la bambina era già nutrita artificialmente e la respirazione era assistita. La decisione dei medici, avvallata dal magistrato, non era per scaricarsi di un fardello, ma perché non c’era più alcuna possibilità e si era già entrati nei procedimenti delle cure palliative. Hanno pensato che quello fosse il bene e il miglior modo di rispettare la storia di quel corpicino.
Quando si ha a che fare con bambini, soprattutto piccoli e incapaci di autodeterminarsi, entra in gioco il principio del migliore interesse del paziente/bambino, e il dovere morale del medico è proteggere le creature da inutili sofferenze e dal trovarsi in un’apparente vita, in questo caso voluta dagli accanimenti dei genitori. Il cosiddetto “accanimento terapeutico” significa in realtà che i trattamenti sono “futili”, nulla di terapeutico. La ministra Eugenia Roccella dice che “anche uno che non guarisce ha diritto di essere curato” – certo, ma se lo chiede o se le cure non sono futili e non prolungano la sofferenza, secondo la legge italiana del 2017. Indi subiva trattamenti futili per cui era nel suo miglior interesse che fossero interrotti. Inoltre, la ministra dice di avere “fatto di tutto per salvarla” – cioè dice che se fosse stata portata in Italia sarebbe stata salvata. No comment.
È qualcosa che i medici di tanto in tanto devono fare, proteggere i bambini dai genitori, per esempio se genitori che usano farmaci omeopatici, e vogliono con questi curare un’infezione batterica, o dei genitori testimoni di Geova che non vogliono salvare un figlio praticando una trasfusione. I medici, di fronte all’ostinazione dei genitori, si rivolgono a un magistrato, che impedisce che si faccia del male e consente ai medici di procedere nell’interesse del minore. L’argomento vale anche per chi ha un ritardo mentale o un disturbo mentale che compromette l’autonomia. Ora, in assenza di una direttiva anticipata di una bambina di otto mesi, sarebbe crudele acconsentire che i genitori, nel nome di una speranza che non ha alcuna sostanza, ignorassero quello che razionalmente ma anche emozionalmente è il migliore interesse della loro figlia. Le malattie mitocondriali non si curano e sarebbe il caso di sensibilizzare il maggior numero di coppie a consultare genetisti e nel caso sottoporsi a test per evitare di far nascere bambini destinati a sofferenze e morte.
Pochi decenni fa questi bambini morivano molto rapidamente. La malattia è stata scoperta solo dieci anni fa all’Università di Bari. In mancanza di diagnosi e tecnologie di sostegno vitale, la condizione si aggravava molto precocemente per cui i genitori non avevano il tempo di affezionarsi o fissarsi ossessivamente sull’idea che esista da qualche parte qualche cura. Viene tristemente in mente che le madri di milioni di bambini che muoiono prima dei cinque mesi in Africa subsahariana, per malattie davvero curabili e che da noi non ci sono quasi più, non si affezionano a quei bambini e non nutrono alcuna speranza.
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