Omelie 2012 di don Giorgio: Quinta domenica di Avvento – rito ambrosiano

16 dicembre 2012: Quinta domenica di Avvento

Is 30,18-26b; 2Cor 4,1-6; Gv 3,23-32a

Nell’omelia della seconda domenica di Avvento avevo detto che, a parte Gesù Cristo, che è l’Atteso per eccellenza, tre sono i personaggi dominanti in questo periodo: il profeta Isaia (sempre suo il primo brano della Messa), Giovanni il Battista e Maria, la madre di Gesù.
Tutti gli studiosi moderni concordano nel sostenere l’importanza della figura di Giovanni, tanto è vero che non riusciremmo a comprendere del tutto Gesù senza il suo precursore. Mentre si hanno forti riserve sulla storicità dei fatti riguardanti l’infanzia di Gesù, così come sono narrati dai due evangelisti Matteo e Luca, anche se il libro appena uscito di papa Ratzinger tenta di fugare questi dubbi (non dimentichiamo che i libri che scrive il papa non sono dogmatici nel vero senso della parola: un conto quando il papa parla da papa, un conto quando scrive o parla da teologo), gli esegeti invece non hanno dubbi sulla storicità di Giovanni, dandogli, ripeto, un grande rilievo, che ci aiuta a inquadrare la stessa figura del Messia. Giovanni ha dato l’avvio alla missione terrena di Gesù, non solo perché l’ha annunciato, benché non avesse idee chiare su chi fosse in realtà, ma soprattutto perché ha condizionato la scelta del Messia stesso, come vedremo.
Diciamo subito che la figura di Giovanni non è descritta allo stesso modo, con le stesse caratteristiche e con la stessa intensità nei quattro Vangeli. Il quarto Vangelo poi non lo presenta come il battezzatore di Gesù, bensì come il testimone che lo dichiara “agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” e che viene a “battezzare con lo Spirito Santo”.
Inoltre non dimentichiamo che, quando Matteo, Marco, Luca e Giovanni hanno messo per iscritto i Vangeli, c’erano ancora i cosiddetti “battisti”, i seguaci del Battista, da loro considerato il Profeta, o il nuovo Elia, o addirittura il Messia. Si erano riuniti come in una setta tale da creare dei seri problemi alla primitiva comunità cristiana. Ecco perché, nelle narrazioni evangeliche, troviamo la preoccupazione della Chiesa nascente di ridimensionare la figura di Giovanni, mettendo in evidenza la sua missione di precursore, o di testimone. L’immagine della lampada usata da Gesù è molto chiara, e anche provocatoria: “Egli (Giovanni) era la lampada che arde e risplende… Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni”. Nel Prologo del quarto Vangelo troviamo: Giovanni Battista “non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”. Nel brano di oggi Giovanni dichiara esplicitamente: “Lui (il Cristo) deve crescere, io, invece, diminuire”. Tale ridimensionamento, pur necessario, della figura del Battista ha diminuito,  di conseguenza, l’importanza che invece Giovanni ha avuto nella sua missione di preparare il popolo alla grande conversione in attesa del Messia. Gli esegeti moderni, ripeto, concordano nel dire che la figura di Giovanni ha inciso moltissimo sul ministero di Gesù.
Anzitutto, evitiamo di soffermarci in modo eccessivo sull’aspetto esteriore di Giovanni: sul suo modo di vestire, di mangiare e di predicare, dimenticando che questo faceva parte del contesto di una sua precisa scelta: quella di vivere nel deserto. Ed è qui che vorrei ora chiarire qual è stata la vera missione di Giovanni che inciderà poi sul percorso del Messia.
Giovanni è stato l’ultimo grande profeta dell’Antico Testamento che ha ricevuto la missione di preparare il Nuovo. Per queste riflessioni mi faccio aiutare da un libro davvero interessante, “Gesù – Un approccio storico”, scritto da don Antonio Josè Pagola.
Come tutti i grandi profeti, anche Giovanni si è reso conto della crisi profonda in cui si trovava il popolo eletto. Non si è limitato a condannare alcune mancanze o infedeltà all’Alleanza, ma ha concentrato il suo sguardo profetico alla radice di tutto: il peccato e la ribellione d’Israele.
Il precursore Giovanni solitamente viene dipinto come un profeta rude, quasi rozzo, irruente nella denuncia dei malanni socio-religiosi del suo tempo. Ma stiamo attenti. Giovanni è stato un profeta lucido, intelligente, nel senso che ha saputo cogliere la drammatica realtà del popolo eletto, ormai alla deriva. Commenta il prete spagnolo: «La sua diagnosi è precisa e sicura: la storia del popolo eletto è arrivata al fallimento totale, il progetto di Dio è stato vanificato; la crisi attuale non è una tra le tante, è il punto finale cui si è giunti con una lunga catena di peccati. Il popolo si trova ora di fronte alla reazione definitiva di Dio». Ecco perché Giovanni usa immagini molto espressive: “l’ascia posta alla radice degli alberi”, “razza di vipere”. Oramai i rattoppi non servono più: occorre una purificazione radicale, diciamo meglio: una conversione radicale. Si deve cambiare strada.
Occorre cambiare anzitutto la mentalità: il testo greco usa “metanoia”, che significa “cambiamento del modo di vedere le cose”. Il tempio stesso è corrotto; non è più luogo santo, i sacrifici di espiazione che vi si celebrano sono inutili; si richiede un nuovo rito di purificazione radicale, non vincolato al culto del tempio. È corrotta persino la terra in cui Israele vive; bisogna andare nel deserto, al di fuori della terra promessa, per entrare di nuovo in essa ma come un popolo rinnovato radicalmente.
La stessa Alleanza è stata spezzata dal peccato d’Israele. Inutile quindi appellarsi al privilegio di essere popolo eletto. A nulla serve sentirsi “figli di Abramo”; Dio può trarre figli di Abramo perfino dalle pietre sparse nel deserto. Il popolo ha bisogno di una purificazione totale per ristabilire l’Alleanza. Il “battesimo” che Giovanni offre è più che un semplice rito: richiede un pentimento radicale per ottenere quel perdono di cui Israele ha bisogno.
Già da qui potete comprendere la lucidità della diagnosi radicale contenuta nella predicazione di Giovanni. Ecco perché Gesù stesso rimarrà conquistato da tale visione grandiosa del suo precursore. Ma Giovanni non ha voluto essere un catastrofista, non ha inteso sprofondare il popolo nella disperazione; al contrario, ha chiamato tutto il popolo a recarsi nel deserto per vivere una conversione radicale. La nuova liberazione di Israele deve avere inizio là dov’era cominciata. Il Battista chiama la gente a collocarsi simbolicamente al punto di partenza, prima di attraversare il fiume per entrare poi di nuovo nella terra promessa e accogliere l’imminente arrivo di Dio.
Gli storici dicono che probabilmente Giovanni pensava ad un processo dinamico con due tappe ben differenziate. Prima tappa: quella della preparazione, con il Battista come protagonista e il deserto come scenario. Seconda tappa: avrebbe avuto luogo già all’interno della terra promessa; suo protagonista non sarebbe stato il Battista, bensì una figura misteriosa che Giovanni designa come “il più forte”.
Al battesimo di acqua farà seguito un “battesimo di fuoco” che trasformerà il popolo in maniera definitiva e lo condurrà ad una vita piena.
Ed è qui, in questa seconda tappa, che succederà l’imprevisto, ciò che neppure il Battista poteva immaginare. Se nella prima tappa Giovanni è stato ineccepibile nella sua diagnosi radicale, ha peccato forse di presunzione anticipando ciò che sarebbe stata la seconda tappa. Comunque, subito si è accorto appena il Messia, apparso pubblicamente sulla scena, darà inizio alla buona Novella. Dalla fortezza di Macheronte, dove era stato rinchiuso da Erode, Giovanni invia due discepoli per interrogare Gesù sulla sua identità: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E Gesù risponde citando le parole messianiche di Isaia: “Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”.
Ed è qui la grandezza di Gesù Cristo. Ha preso l’input lanciato da Giovanni, e ha poi innestato la sua Novità. Giovanni ha iniziato il lavoro di rinnovamento radicale portando il popolo nel deserto, ma Gesù darà a tale rinnovamento l’inaspettato, lasciando il deserto per percorrere in lungo e in largo la Palestina, la terra promessa, per annunciare non tanto il giudizio di fuoco di Dio, ma rivelando a tutti, a iniziare dai più bisognosi, dai più piccoli, la misericordia di Dio. Giovanni ha fatto benissimo a scuotere la coscienza del suo popolo. Ora però si trattava di offrire al nuovo popolo un nuovo volto di Dio. Dio è amore, perciò il Figlio Gesù distribuisce a piene mani la bontà di Dio, a tutti: ebrei e non ebrei, chiedendo a ciascuno un segno di fede. Aveva ragione Giovanni nel decentrare il luogo di culto dal tempio ormai corrotto al deserto, luogo di purificazione, ma ora Gesù lancia un’altra sfida: il vero tempio è lui, il vero tempio è ogni essere umano.
Luca, nel Vangelo dell’Infanzia, mette a confronto le due nascite miracolose, quella del Battista e quella di Gesù, per far risaltare anche la loro differenza. Ma Giovanni e Gesù saranno uniti dalla stessa sorte: il martirio. Giovanni è stato decapitato nel carcere per aver denunciato la corruzione del potere, Cristo sarà messo a morte per aver denunciato la corruzione della religione ebraica. Certo, Cristo è andato oltre. Giovanni è morto nella religione ebraica, Cristo è morto “fuori” della religione ebraica. Se Giovanni è stato superato dal Messia, la sua missione profetica di precursore è stata però determinante e incisiva. Giustamente, perciò, in Avvento, la figura di Giovanni merita una importanza particolare. Come in ogni avvento. Anche in questo che stiamo vivendo: anno 2012.
Lungo la storia della Chiesa c’è stato bisogno di profeti, duri come il Battista, e c’è stato bisogno di profeti dell’amore di Dio. C’è chi ara, e c’è chi semina. C’è chi toglie le sterpaglie, e c’è chi pianta. Ogni profeta è figlio del momento, ed è pronto a lasciare il posto al Veniente, l’Inatteso, l’Imprevedibile. Questo avviene anche nella società civile. Mi auguro che dopo l’austerità imposta dal governo Monti venga un governo che restituisca agli italiani la voglia di vivere, nella speranza che il popolo, dopo essere stato condotto nel deserto, abbia capito la lezione, ovvero che l’essenzialità è il segreto della propria rinascita. 

1 Commento

  1. lina ha detto:

    Mai, come in questi anni in cui nella Chiesa c’è confusione, ho avuto nostalgia di una figura pura e schietta come S.Giovanni Battista!

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