Qatargate, la democrazia non si sente tanto bene, ma la giustizia non è l’unico rimedio

dalla Rassegna Stampa del Corriere della sera
Huffington Post, Foglio, Le Soir, manifesto

Qatargate,

la democrazia non si sente tanto bene,

ma la giustizia non è l’unico rimedio

di ALESSANDRO TROCINO
L’inchiesta belga sulla corruzione è una buona cartina di tornasole, utile perché proietta su un piano internazionale questioni che abbiamo dovuto affrontare a casa nostra, negli anni di Mani Pulite. La corruzione come fattore endemico, carattere nazionale, impulso predatorio, inclinazione favorita dalle norme, zona grigia incrociata inevitabilmente dalla politica. La magistratura come argine al malaffare, contropotere politico, lavacro morale, garante della legge formale o della giustizia sostanziale. I media come megafono delle procure, diffusori di gogne o contropotere garantista, cane da guardia della politica ma anche della magistratura.
Certi riflessi poco commendevoli, in una cornice molto più garantista, si notano anche a Bruxelles. Il protagonismo del magistrato Michel Claise, paladino anticorruzione e scrittore, protagonista di talk show, capace di frasi definitive e allarmanti come «la democrazia è fottuta». La pesca a strascico delle perquisizioni, la disinvoltura del considerare «flagranza» di reato la presenza di banconote e non come elemento di prova. Si sorvola su tutto, perché come i soldi inzuppati nei pouf di Danilo Poggiolini, i pacchi di denaro portati a spalle dal padre di Eva Kaili e trovati in salotto nelle borse di pelle sono un indizio molto spettacolare. Il corpo del reato, a forma prevalentemente di banconota da 50 euro, con le sue architetture rinascimentali, ha una sua evidenza. Non ha bisogno che si studino ologrammi e filigrane per far sospettare una qualche forma di corruttela, ben al di là della nostra sbandierata libertà di contante.
La mancanza di notizie, non diffuse dai magistrati belgi, è stata presa con sollievo in diversi ambienti ipergarantisti italiani. Molti si sono entusiasmati per la mancanza di riferimenti precisi negli atti giudiziari. Iniziali di nomi e un fantomatico e ignoto Paese corruttore. La stampa vorace ci ha messo poco a tradurre in nomi il camuffamento tecnico. Ma è davvero un valore da difendere lo sbianchettamento del nome di un Paese straniero accusato di corrompere eurodeputati? Forse ha un valore politico, saperlo, per potersi difendere meglio e per valutarlo, appunto, politicamente. L’Huffington Post vede un esempio anche per noi, in questa inchiesta: «L’Italia potrebbe ricavare una lezione dal Belgio: si possono fare le inchieste anche senza diffondere indistintamente le intercettazioni. Si possono intercettare le conversazioni degli indagati, che in questo caso sono state determinanti, senza che queste dalle procure arrivino all’esterno, a inchiesta in corso». David Carretta, sul Foglio, fa notare che il poco che è uscito, è probabilmente uscito perché le carte sono state inviate ai magistrati di Brescia che dovevano eseguire il mandato di arresto per la moglie e la figlia di Panzeri.
Enrico Costa, vicesegretario di Azione e deputato, chiede di rivedere la disciplina di diffusione delle carte giudiziarie: «L’articolo 114 del codice di procedura penale consente di pubblicare il contenuto letterale di atti come l’ordinanza di custodia cautelare. Secondo me, su questo punto, il legislatore ha fatto un errore in passato, perché attraverso la pubblicazione di quell’ordinanza si dribblano gli altri divieti: nell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, spesso vengono infilate le intercettazioni. Il risultato, quindi, è che i documenti che dovrebbero essere segreti e non pubblicabili neanche nel contenuto, possono essere addirittura riportati testualmente».
Che in Italia ci sia un uso ipertrofico delle intercettazioni è da verificare. Più probabile che ci sia un uso ipertrofico della fuga di notizie, soprattutto se inutili all’inchiesta. Il governo sta dando su questo segnali contraddittori. Il ministro Carlo Nordio vorrebbe rivedere la materia in modo restrittivo ma poi, nel decreto rave, «inventa» un reato (diciamo di gravità lievemente inferiore all’omicidio e alla corruzione internazionale) nel quale sono consentite. Ma poi le intercettazioni servono e come ha spiegato Angelo Bonelli, di Europa Verde, «il Qatargate non sarebbe mai emerso senza le intercettazioni, che voi state tagliando». Già, perché il vice di Nordio, Francesco Paolo Sisto, ha spiegato che bisogna risparmiare, visto che «spendiamo circa 200 milioni di euro l’anno per le intercettazioni».
Nel Qatargate ci sono poi questioni che le inchieste giudiziarie non possono risolvere. Potrebbe la cara, vecchia, politica, se avesse intenzione di darsi una smossa. La registrazione degli incontri dei lobbysti, prevista solo in alcuni casi. La pubblicazione dei regali ricevuti. I viaggi premio come strumenti para corruttivi. Nella zona grigia delle lobby legali si annidano poteri di influenza che forse non sono giuridicamente sanzionabili ma sono politicamente micidiali. Un po’ il concetto espresso da Claise in un’intervista a Le Soir del 2020, nella quale si disperava: «Non si riesce più a sapere chi è cosa». Davvero. Una confusione che finisce per far vedere il marcio un po’ dappertutto e che riporta alla memoria l’indimenticabile brocardo di Piercamillo Davigo: «Non esistono innocenti, solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti».
A proposito di zona grigia, scrive giustamente Carretta: «Considerare tutta la zona grigia della lobby legale – contatti, email, pranzi, viaggi, conferenze – come potenziale corruzione o traffico di influenze significa negare ai portatori di interessi legittimi la possibilità di difenderli. Per essere totalmente impermeabili a influenze, i governi e i parlamenti dovrebbero isolarsi dalle realtà economiche o sociali su cui devono legiferare. Perfino da altri governi di paesi amici o avversari».
Peraltro, bisognerebbe uscire dall’ipocrisia, come ha scritto Alberto Negri sul manifesto: «Non è solo la lobby stracciona carica di sacchi di contanti coperta a Bruxelles: sono direttamente i nostri governi e capi di Stato». Il fondo di investimento del Qatar ha a disposizione una cifra stimata in 400 miliardi (cosa sono 1,5 milioni di contanti regalati a mo’ di mancia?). In cambio di qualche occhio chiuso, il Qatar si è già comprato mezzo mondo. Possiede Valentino, i magazzini Harrods, l’edificio Shard, gli hotel Savoy e Grosnevor House, la squadra del Paris Saint-Germain, il Bosco Verticale, la Torre Unicredit e praticamente tutta Porta Nuova a Milano. Ha quote di Porsche, Volkswagen, Deutsche Bank, Credit Suisse, dell’aeroporto di Heathrow. L’elenco è solo abbozzato.
Poi c’è la questione della pesca a strascico. Visentini, per esempio. A lui non sono stati trovati contanti e ha una lunga storia che il leader della Uil Pierpaolo Bombardieri difende, sul Foglio: «Conosco Luca, non ho rinnegato la sua amicizia come ho visto fare da altri pubblicamente. Non dubito di lui, lo conosco da 25 anni». Visentini è stato rilasciato, non gli sono state mosse accuse, dice Bombardieri: «Ma, dopo il tritacarne, non abbiamo visto lo stesso risalto per il rilascio. Anzi, continua a essere associato alla corruzione. Il giustizialismo è un problema del nostro Paese».
E Alessandro Figà Talamanca? Segretario di No Peace Without Justice, una delle associazioni che facevano parte della «galassia radicale», è coinvolto anche lui nell’inchiesta. Marco Perduca ha fatto parte di Npwj per 25 anni, fino al 2021. E sul suo blog dell’Huffington Post, racconta i molti anni di attivismo insieme, anche rischioso: «Niccolò ha sempre sfruttato le sue competenze, con visione politica, ma è anche un grande lavoratore, uno che quando s’impegna per qualcosa riesce a portare a casa gli obiettivi a cui concorre». Anche l’esponente radicale dice parole simili a Bombardieri: «Sono stato suo amico e resto tale».
Certo, nessuno può mettere la mano sul fuoco di nessuno. La carne è debole etc etc. Le cronache sono piene di persone apparentemente «normali» che improvvisamente prendono un martello e fanno strage. La storia è piena di gente che dopo una vita di passione si stanca e arraffa tutto quel che trova, con un’avidità feroce e disperata. Chi può dirlo?
Ha ragione Claise: «Non si riesce più a sapere chi è cosa». Anzi, di più: anche prima di questa inchiesta, non si è mai riuscito a sapere chi è cosa. Questi dannati umani sfuggono alle classificazioni. Perché, come ha detto Massimo Cacciari ad Alessandro Milan su Radio 24, nessuno nasce virtuoso. Lo si può diventare al limite. Anche a questo serve la scuola, anche a questo servono le leggi, anche a questo servono i giudici. Per il resto, dice il filosofo, «cosa vuole che me ne freghi di quattro mascalzoni che si fanno dare i soldi dallo sceicco del Qatar? Ci sono sempre stati e sempre ci saranno».
«La democrazia è in pericolo», dice Roberta Metzola. Vero. Ma la democrazia è sempre in pericolo, per definizione. È la sua forza, e la sua debolezza.

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