Attacco a Mattarella, quelle parole irricevibili

Maria Zakharova e Sergio Mattarella

 

 

dall’articolo di Barbara Tedaldi apparso su huffingtonpost.it del 14 febbraio 2025
Ma cominciamo dai fatti. Dieci giorni fa, in una lectio magistralis all’università di Marsiglia, il Capo dello Stato ha esortato a imparare dagli errori del passato e ripercorrendo il passaggio tra le due Grandi guerre ha ricordato che “fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi”: “anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura”. Di qui l’invito agli attori dei nostri giorni: “La strategia dell’appeasement non funzionò nel 1938. La fermezza avrebbe, con alta probabilità, evitato la guerra. Avendo a mente gli attuali conflitti, può funzionare oggi? Quando riflettiamo sulle prospettive di pace in Ucraina dobbiamo averne consapevolezza”. L’invito dunque era soprattutto all’Europa, a rifuggire dalla apparente comodità di un appeasement, che la relegherebbe in una condizione di “vassallaggio felice” al guinzaglio delle potenze del nuovo risiko internazionale.
Dieci giorni dopo, incassata la telefonata di un Donald Trump incline a chiudere il conflitto ucraino con un accordo con l’aggressore russo che passa sulla testa degli ucraini e dell’Unione europea, il Cremlino ha scelto un bersaglio grande e chiaro, fortemente europeista, e ha mirato. La portavoce del ministro degli Esteri Maria Zakharova, ha accusato Mattarella di “invenzioni blasfeme”. Il Presidente, per la portavoce russa, “ha fatto paralleli storici oltraggiosi e palesemente falsi tra la Federazione Russa e, come ha detto, con la Germania nazista, chiedendo che venga tenuto in considerazione il fallimento della politica occidentale dell’appeasement degli anni ’30 per la risoluzione della crisi ucraina”. Ma la Russia, ha voluto notare Zakharova “non solo è riuscita a cacciare il nemico (la Germania di Hitler n.d.r.) dal suo territorio, ma lo ha anche riportato indietro fino a casa, distruggendolo. E allo stesso tempo ha liberato l’Europa dal nazismo e dal fascismo”. Valutazione, quest’ultima, riconosciuta peraltro da Mattarella con gratitudine proprio pochi giorni fa nel Giorno della Memoria.
Ma perché aspettare dieci giorni a reagire, se le parole del capo dello Stato erano state considerate un affronto? Mattarella, intanto, non replica al Cremlino, ovviamente, ma fa trapelare di essere “sereno”. Anche perché al Quirinale si considera l’attacco quasi strumentale. E’ evidente infatti che Mattarella è stato ‘scelto’ dai russi per la sua posizione di europeista coerente e lineare di difesa dell’Ucraina. Una linea, quella del Presidente, interpretata fin dal primo giorno di quasi tre anni fa non per chissà quale affezione nei confronti di Kiev, ma per una semplice riflessione: l’aggressione russa ha rotto le regole del gioco, ha spazzato via il diritto internazionale che vieta di risolvere una controversia con l’invasione. Accettare la logica dell’invasione autorizzerebbe, d’ora in poi, qualunque Stato a invadere il suo vicino. Un ritorno a secoli bui.

Il testo integrale

del Discorso di Sergio Mattarella a Marsiglia

qui

***
da www.linkiesta.it
I rossobruni.

L’ignobile attacco della Russia a Mattarella,

e il letargo intermittente della sinistra

Mario Lavia
Soltanto le parole oscene del Cremlino contro il Presidente della Repubblica hanno convinto i partiti del campo largo a prendersela con la Russia, e a criticare i piani di Trump di appeasement con Putin
Quelli che difendevano più o meno furbescamente le ragioni di Vladimir Putin, oggi festeggiano la presunta “pax” di Donald Trump, che oltre a essere oscena, nemmeno è una cosa concreta semmai un castello di bubbole. C’è una coerenza nei putinian-trumpiani d’Italia: d’altronde Trump è il principale amico dello zar nel mondo. Escono in queste ore col sorriso sulle labbra populisti travestiti da pacifisti, utili idioti di Mosca e pupazzi prezzolati col pugno chiuso in segno di vittoria con l’aria di dire «ve l’avevamo detto», nuovi fascisti e vecchi brezneviani uniti nel farsi beffe della Resistenza degli ucraini e dei suoi alleati democratici, di Volodymyr Zelensky e di Joe Biden. I giornali di estrema destra, dalla Verità al Fatto, esultano.
A parte che forse è un po’ presto per far festa – la Russia non ha vinto la guerra perché non si è pappata l’Ucraina come voleva e l’Europa democratica non è morta – fa impressione la cinica arroganza di quelli che avevano capito tutto prima di tutti («Era chiaro che non poteva vincere nessuno», Massimo D’Alema) con la solita boria di quella buona parte della sinistra incatenata a una filosofia della storia da bar sotto casa. Filosofia misera, parafrasando Marx, che antepone le ragioni della forza a quelle ideali dentro il realismo falso e bugiardo del non voler ammettere che senza la Resistenza guidata da Zelensky le truppe del Cremlino sarebbero già in Moldavia o chissà dove: pericolo peraltro non scongiurato se il mondo civile dovesse cedere al presidente americano nel suo proposito di svendere alla Russia pezzi di Ucraina.
Se non ci fosse stato l’inaudito quanto delirante attacco di Mosca a Sergio Mattarella molto probabilmente né la sinistra italiana e neppure i riformisti ex terzopolisti che sul tema mai si spesero troppo, con rare eccezioni, avrebbero aperto bocca sui propositi trumpiani di regalare Donbas e Crimea al dittatore del Cremlino, arraffando per sé cinquecento miliardi sotto forma di terre rare. Senonché appunto ieri questi del campo largo si sono tutti palesati, da Elly Schlein a Italia Viva passando per l’eurodeputato Giuseppe Antoci, ché figuriamoci se Giuseppe Conte criticava di persona il Cremlino, per difendere il nostro Presidente della Repubblica che in splendido isolamento, o quasi, aveva detto a Marsiglia ciò che andava detto: Mosca reinterpreta oggi il ruolo di Berlino nel ’38. Sergio Mattarella, in quel discorso del 5 febbraio, aveva osservato giustamente che «furono guerre di conquista» quelle del Terzo Reich in Europa come lo è «l’odierna aggressione russa all’Ucraina». Lo stesso progetto.
Ci voleva il proditorio attacco di Maria Zakharova a Mattarella per svegliare il Partito democratico dal sonno in cui è piombato, per un’inspiegabile coincidenza da quando Mar-a-Lago detta legge, per far dire a Schlein che «la comunità democratica si riconosce pienamente nelle parole e nell’azione del Capo dello Stato», una comunanza di vedute (Putin come Hitler nel ’38) che non avevamo sentito dopo il discorso di Marsiglia. Meglio tardi che mai, certo. Prima di ripiombare nel letargo.
***
da www.repubblica.it
15 FEBBRAIO 2025

Attacco a Mattarella,

quelle parole irricevibili

di Stefano Folli
È dai tempi dell’Unione Sovietica che una personalità occidentale non veniva insultata con tanta insolenza. E si tratta di un capo di Stato
È difficile avere ancora dubbi su quale cruciale passaggio della storia europea stiamo vivendo. Ma se qualcuno andava ancora convinto, il brutale attacco al presidente Mattarella dal ministero degli Esteri russo — per bocca della portavoce — ha ottenuto il suo scopo. È dai tempi dell’Unione Sovietica che una personalità occidentale non veniva insultata con tanta insolenza. E si tratta di un capo di Stato, non di un esponente di governo, depositario del potere esecutivo.
Colpendo il presidente della Repubblica si colpisce con fredda determinazione l’intero popolo italiano e le sue istituzioni. Su questo punto la reazione delle forze politiche, almeno nella loro grande maggioranza, è stata pressoché unanime nell’esprimere vicinanza e solidarietà a Mattarella.
Ma perché tanto astio e tanta violenza verbale? Tutto si può credere, tranne che si tratti di un fatto casuale. Il capo dello Stato è stato molto netto nel condannare negli ultimi tre anni l’aggressione all’Ucraina. Lo ha fatto in termini inequivocabili, con un linguaggio inusuale rispetto alle cautele della diplomazia. Forse perché ha visto nell’invasione russa qualcosa che va oltre le caratteristiche di una crisi come altre conosciute in passato.
La condanna è molto dura perché Mattarella ha letto nella determinazione militare di Mosca il connotato di una crisi esistenziale in grado di minare l’Europa nelle sue fondamenta. E non ci si riferisce in questo caso all’Unione con le sue fragilità e incertezze.
Qui è proprio l’Europa con la sua storia e i suoi valori a essere minacciata: l’Ucraina è una nazione che ha resistito in modo eroico, ma si è rivelata anche un simbolo. Quello che le è capitato può investire nel prossimo futuro altri Paesi più o meno limitrofi della Russia. Gli argomenti saranno sempre gli stessi: troppa pressione sui confini, gli intrighi della Nato, le manovre della Cia per destabilizzare questa o quella capitale.
L’unico vero obiettivo che in questo momento si pone Putin consiste nell’ottenere la piena legittimazione dell’Occidente per i comportamenti passati e per quelli futuri. Certo, vuole fare la pace alle sue condizioni territoriali e forse ha trovato in Trump l’interlocutore più accomodante che potesse desiderare. Ma c’è dell’altro: fare in modo che l’America riconosca alla Russia, appunto, il diritto di agire con ogni strumento per garantire i propri criteri di sicurezza.
Questo è il momento in cui si entra nel cuore delle trattative, quelle in cui gli europei sono tenuti ai margini anche per loro responsabilità. Ebbene, le accuse più volte rinnovate da Mattarella, che arrivano a suggerire un parallelo tra le mire di Mosca oggi e quelle di Berlino negli anni Trenta, equivalgono a un cuneo messo di traverso rispetto all’operazione “pace con legittimazione” che sembrerebbe a buon punto.
Si dirà: anche altri governi europei hanno usato espressioni forti contro l’espansionismo russo. I baltici, per esempio, che esprimono il “ministro degli Esteri” dell’Unione. Il cancelliere tedesco ancora in carica, Scholz. In vari momenti, l’esecutivo inglese.
Perché proprio l’Italia nella persona del capo dello Stato? Si può azzardare una risposta. La buona ragione è che il Paese occupa, e non da oggi, una posizione di rilievo. Con Giorgia Meloni ha sempre tenuto una linea atlantica e finora non l’ha smentita nemmeno di fronte ai passi iniziali, certo clamorosi, della presidenza Trump.
Al tempo stesso non mancano le contraddizioni. La stessa Meloni, pur essendo leale a Bruxelles, non nasconde il suo scetticismo verso questa Europa. E uno dei partiti del centrodestra, la Lega, ha un leader riconosciuto come filo-russo, addirittura più trumpiano di Trump sulla via di Mosca. Inoltre le tendenze cosiddette pacifiste, ossia rosso-brune, volte a sostenere in maniera acritica le posizioni putiniane, sono forti nella politica, anche in ambienti della sinistra, e ancor di più sul piano mediatico. Colpire l’Italia vuol dire far emergere queste contraddizioni, esasperarle.
Vedremo quanto sarà profonda l’unità nazionale in difesa del presidente della Repubblica. Oltre alle testimonianze di primo impatto, sarà decisivo capire se l’attacco di Mosca servirà a rendere più solidale la politica estera italiana (ed europea) rispetto al nuovo quadro internazionale. Ovvero ad accentuare le lacerazioni che s’intuiscono.

Commenti chiusi.