La scrittrice palestinese Suad Amiry: “Hamas non può essere sconfitto. Con gli israeliani lo scontro è sulla terra”

da www.repubblica.it
15 MARZO 2024

La scrittrice palestinese Suad Amiry:

“Hamas non può essere sconfitto.

Con gli israeliani lo scontro è sulla terra”

dalla nostra inviata Francesca Caferri
L’intervista con l’autrice 73enne, una delle voci più amate della letteratura in lingua araba nel mondo. Se continuano a crescere gli insediamenti sui territori che ci sono stati assegnati a Oslo, non sarà mai possibile arrivare a un accordo”
RAMALLAH — Se si vuole capire la rabbia, la delusione, la sfiducia che i palestinesi sentono dopo più di cinque mesi di guerra a Gaza e la morte di 32 mila persone, è fino alla casa di Suad Amiry, nel quartiere Al Bira, che bisogna venire. La scrittrice, 73enne, è da anni una delle voci più amate della letteratura in lingua araba nel mondo (Italia compresa): con i suoi libri – “Sharon e mia suocera”, “Damasco”, “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea”, solo per citarne alcuni – è riuscita a raccontare la storia del suo popolo con personaggi che hanno viaggiato attraverso la geografia e le generazioni, usando l’ironia, il sorriso e in definitiva la letteratura per spiegare a milioni di persone una storia complicata come quella palestinese.
Laica, cosmopolita (vive fra Ramallah, l’Italia e l’America), strenua sostenitrice degli accordi di Oslo, membro delle delegazioni palestinesi ai colloqui di pace di Madrid e di Washington, Amiry è una posizione unica per spiegare cosa pensa la sua gente oggi. Dalle sue parole emerge chiaramente perché né lei, né buona parte dei palestinesi condannano le azioni del 7 ottobre di Hamas in modo duro e inequivocabile come ci si potrebbe aspettare.
Perché la frattura che questi cinque mesi hanno creato fra Ramallah e Roma, Parigi, Berlino e Washington non guarirà presto. Sul divano bianco della sua casa, di fronte a uno specchio che arriva da Damasco, mentre i gatti giocano in giardino, la scrittrice siede con noi per due lunghe ore: per provare a capire una storia fra le più complicate che si possano raccontare.
Signora Amiry, le faccio la stessa domanda che ho fatto ad Etgar Keret quando ci siamo incontrati a casa sua. Come sta lei, e come stanno i palestinesi?
«Non sono mai stata così disperata. La catastrofe di Gaza è al di là di ogni immaginazione. È in corso una guerra contro tutta la gente di Gaza: chi ha i soldi per fuggire lo fa, gli altri rischiano la morte ogni giorno. È una catastrofe. Israele dice di voler distruggere Hamas: lo avrà indebolito, ma Hamas è un’idea, non si può distruggere militarmente. Che ci piaccia o meno. Nel frattempo gli ospedali, le scuole, le case vengono distrutti».
L’attacco israeliano nasce da quello lanciato da Hamas il 7 ottobre: Hamas ha sottovalutato l’ipotesi di una reazione forte secondo lei?
«Non sono assolutamente d’accordo con lei e con questa domanda. Le cose vanno messe in contesto e la storia non inizia il 7 ottobre. Bisogna capire anche cosa c’è stato prima: un’occupazione che dura da 75 anni, 17 anni di assedio a Gaza, la morte di centinaia di palestinesi in Cisgiordania senza che mai i giornali ne parlassero, gli sputi contro i cristiani a Gerusalemme, la crescita senza sosta degli insediamenti. Non sono delusa da Israele che ignora tutto questo, perché me lo aspetto. Ma dai Paesi europei e dagli Stati Uniti che continuano a vendere armi a Israele: cosa vi abbiamo fatto noi palestinesi per essere abbandonati così?».
Mi sta dicendo che il 7 ottobre è il risultato naturale della crisi fra israeliani e palestinesi?
«Non una continuazione naturale, ma la reazione all’occupazione israeliana e una situazione di apartheid in cui noi palestinesi siamo cittadini di terza classe. Con la seconda classe che è costituita dagli arabi israeliani».
Quindi se io le chiedo se condanna Hamas per il 7 ottobre…
«Io le rispondo che rispetto la legge internazionale che vieta l’uccisione di tutti i civili. Ma anche che mi sembra che l’Occidente dia più valore ad alcune vite rispetto ad altre. Perché non abbiamo sentito condanne per i civili palestinesi uccisi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania prima del 7 di ottobre?».
Lei è stata una grande sostenitrice degli accordi di Oslo e della soluzione dei due Stati: dove è fallita quell’idea?
«Abbiamo negoziato per trent’anni, non siamo mai arrivati a nulla. E sa perché? Perché questo è uno scontro sulla terra, se vogliamo una soluzione dobbiamo partire dalla terra: e se continuano a crescere gli insediamenti sulla terra che ci è stata assegnata ad Oslo, non è possibile arrivare da nessuna parte. Gli americani e gli europei non sono seri sui due Stati: ne parlano solo nei momenti di crisi. Ma non hanno mai veramente fatto qualcosa per fermare gli insediamenti in Cisgiordania. Ho combattuto per i due Stati per tutta la vita, e guardi dove ci ha portato quell’idea».
A un forte sostegno per Hamas fra i palestinesi, secondo gli ultimi sondaggi realizzati qui in Cisgiordania…
«Ho scritto un libro intero contro Hamas, non mi sono mai piaciuti. Ma tanta gente come me ha combattuto in modo pacifico: ed è stata delusa. La mia generazione è qui a chiedersi se ha sbagliato tutto. Poi c’è chi, come Abu Mazen, ha pensato che cooperare con Israele ci avrebbe portato pace: ora Israele dice che Abu Mazen è debole e non rappresenta la sua gente. Infine c’è chi ha scelto le armi: tanti giovani oggi pensano che Hamas abbia restituito alla causa palestinese dignità. Prima di sedermi qui con lei parlavo con un ragazzo che mi ha detto “Hamas ha vinto”. Gli ho chiesto come si può definire “vittoria” il fatto che ci siano due milioni di palestinesi alla fame. Ma lui e la sua generazione questo pensano».
E allora la soluzione dove sta?
«La soluzione sta nell’accettare la realtà e rendere Hamas parte del processo politico: perché lo è già. Con chi parlano al Cairo gli americani e tramite loro gli israeliani? È una realtà che non ci piace: ma che non possiamo ignorare».
La letteratura, i libri, l’arte: che ruolo hanno in questo momento?
«Sono qui a parlare con lei perché credo che la letteratura serva per portare messaggi. Se gli americani e gli europei sono seri, è questo il momento per fare qualcosa. Quelli come me, e come la sinistra israeliana dall’altra parte, non sono in posizione di dire molto da soli: ci serve aiuto».

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Il peccato originale è stato in parte il movimento sionistico, ma soprattutto la coscienza sporca dei paesi vincitori della seconda guerra mondiale che avrebbero fatto di tutto per assecondare gli ebrei una volta scoperta la tragedia dell’Olocausto e hanno assecondato le mire espansionistiche di Israele. Se non cambia la guida del governo israeliano, temo che la guerra -sia in campo aperto, che con azioni terroristiche o espansionistiche (gli insediamenti dei “coloni” ebrei)- si protrarrà ancora a lungo…

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