L’EDITORIALE
di don Giorgio
Sapete spiegarmi che cosa è la libertà?
Sapete quali sono le parole più difficili da comprendere, ovvero, come dice l’etimologia, da coglierle nella loro essenzialità, senza farsi prendere dalla dispersione, che finisce per banalizzarle anche per il troppo uso o abuso? Pensate alla parola “amore”, alla parola “giustizia”, alla parola “libertà”.
Soffermiamoci sulla parola “libertà”, e diciamo subito che per comprenderne il suo vero significato non possiamo restare nel campo umano.
Se è già sbagliato applicare a Dio le virtù umane pur sublimandole al superlativo (diciamo che Dio è buonissimo che è Dio è bellissimo, che Dio è giustissimo, che Dio è l’Amore in assoluto, ecc.), e il motivo è semplice: noi della bontà, della giustizia, dell’amore abbiamo una idea sempre limitata, e perciò peggioriamo il nostro concetto di Dio elevando al massimo idee limitate, che dire quando applichiamo a Dio il nostro concetto di libertà come scelta?
Per essere semplice e farmi capire da tutti, riporto una esperienza personale: anni fa, tanti anni, ero stato invitato, come insegante di religione, a parlare di libertà agli scolari di quinta elementare.
Prima della lezione, mi ero confrontato con l’insegnante, che era rimasta entusiasta. Ci conoscevamo da tempo, e sapeva come la pensavo.
Così iniziai: «Cari ragazzi, voglio parlarvi di un argomento che richiede un po’ di attenzione. Perciò, concentratevi. Vedete, tutti parlano di libertà, come tutti parlano di amore e di giustizia. Ma le parole troppo usate perdono di senso o, meglio, assumono significati del tutto diversi, e anche banali».
«Signor maestro!», mi interruppe un ragazzino. «In ogni ritornello delle canzonette c’è sempre una parola che si ripete, ed è amore. Fa sempre rima con cuore. Che noia!».
«Hai ragione, ma adesso vi devo parlare della libertà. Ascoltatemi. Solitamente, per capire qualcosa della bontà o della misericordia di Dio, partiamo dalle esperienze umane. E dalla bontà o dalla misericordia che noi constatiamo ogni giorno nelle persone risaliamo a Dio, moltiplicando all’ennesima potenza ciò che ci sembra buono o misericordioso. Perciò diciamo che Dio è buonissimo, che Dio è misericordiosissimo, ecc. Ma, attenzione: con la libertà non si può partire dall’esperienza umana. Come possiamo dire che una persona è libera? Voi forse avete conosciuto qualcuno che veramente è libero? Quante volte avete sentito parlare che siamo schiavi almeno di qualcosa! Del resto, chi non sbaglia? E il peccato che cos’è se non una specie di schiavitù? Allora, non ci rimane che una strada, ed è quella che parte da Dio stesso. Per capire che cos’è la libertà, bisogna necessariamente, ripeto necessariamente, partire da Dio. E allora: chi è Dio se non la libertà assoluta? E che vuol dire “assoluta”?».
Guardai l’insegnante per avere l’approvazione a continuare. La invitai a scrivere alla lavagna le parole più importanti: Dio, libertà, necessariamente, ecc.
«Attenzione, ragazzi! Se è il Sommo Bene, Dio non può scegliere se non Se stesso. E ciò significa che Dio non può scegliere al di fuori di Sé. Lui è la Libertà!».
Notavo sempre di più un certo interesse nei ragazzi, e questo mi stimolava a continuare, sapendo che stavo per dire una cosa del tutto nuova e anche sconvolgente.
«Cari ragazzi, il cosiddetto libero arbitrio, ovvero il poter scegliere tra una cosa e un’altra, non può esistere in Dio. Dunque, Dio, in quanto Bene Sommo, non può scegliere se non Se stesso».
Mi fermai per qualche attimo, per vedere se qualcuno mi facesse qualche domanda. Ma appena l’insegnante scrisse “Dio non può scegliere…”, uno scolaro alzò la mano, e mi disse: «Dio non può scegliere il male! Me lo hanno insegnato al catechismo».
«Certo!», risposi. «Attenzione però: Dio non può scegliere neppure un altro bene all’infuori di Sé, perché, ripeto, Lui è tutto il Bene. Qualsiasi altro bene all’infuori di Lui sarebbe sempre un bene minore. Mi capite? E allora, e qui vengo al concreto, come possiamo intendere la libertà nella nostra vita di tutti i giorni? In altre parole: che cos’è per noi la libertà? Scegliere tra una cosa e un’altra, o, invece, scegliere necessariamente il bene?».
Tutti in coro risposero: «Scegliere il bene!».
«Non basta, cari ragazzi! Avete tralasciato una cosa: di aggiungere l’avverbio “necessariamente”».
«E allora come possiamo essere liberi, se siamo obbligati a fare una cosa?», disse un altro scolaro.
«Certo, non siamo liberi, se intendiamo la libertà come la intendiamo noi. Di fronte al bene non siamo liberi di farlo o non farlo. Siamo “tenuti” a farlo!».
L’insegnante mi invitava a continuare.
«Attenzione: è chiaro che nessuno di noi è perfetto, e che non sempre riusciamo a cogliere quando una cosa è buona o non è buona, e c’è quell’istinto di fare la cosa più opportuna, o più utile, e talora anche la cosa sbagliata. Voi ragazzi sapete che obbedire alla mamma o studiare costa, e allora talora siete tentati di trovare tante scuse, oppure di risparmiare un po’ le fatiche, facendo il minimo indispensabile».
Tutti approvarono. La loro insegnante ancora di più.
«Ecco il punto: se all’inizio siamo costretti, per le ragioni che vi ho spiegato, a scegliere tra il bene e il male, a poco a poco dobbiamo crescere e la scelta non dovrà più essere tra il bene e il male, ma deve spostarsi nel campo del bene, tra un bene minore e un bene maggiore. Anche voi, ragazzi, capite che c’è il minimo e il massimo anche nel campo del bene. Si può obbedire ai genitori per il minimo necessario, come studiare solo in vista di prendere la sufficienza. E allora, restando nel campo degli impegni scolastici, chi può dare cento deve dare cento, e non accontentarsi del dieci».
Ora l’insegnante annuiva guardando i suoi ragazzi, quasi a doverli provocare.
Conclusi: «Che cos’è allora la nostra libertà? Fare ciò che si vuole?».
«No!», risposero in coro gli alunni.
«Fare il bene?».
«Sìììì!».
«Basta fare il minimo necessario, oppure tendere al massimo delle nostre possibilità?».
Ci fu quasi un silenzio, forse per la parola “possibilità” che mi era sfuggita, e che meritava una spiegazione.
Dissi all’insegnante: «Toccherà a Lei spiegare ai suoi ragazzi che cosa significa “possibilità”».
Squillò il campanello della fine lezione. Me ne andai a casa, con qualche dubbio. Chissà se quei ragazzi avevano capito che cos’è la libertà?
Ma il problema siamo noi adulti, chiusi nel mondo del libero arbitrio, inteso nel modo più opportunistico, e reso bandiera delle nostre lotte sindacali.
Ho un forte dubbio: che coi ragazzi mi sarebbe anche facile parlare di cose alte, ma immaginate se dovessi dire certe cose ai barbari leghisti, ai populisti di merda, ai putiniani del cazzo, che cosa otterrei? Ma certe cose neppure nella Chiesa si possono dire, perché per primi i capi gerarchici sono del tutto estranei, così vuoti dentro che quando parlano dicono solo cazzate.
16 marzo 2024
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