Che cosa ci potrebbe insegnare?
di don Giorgio De Capitani
Quando ho appreso la notizia, mi è venuto come un colpo al cuore! Ho enormemente sofferto! E soffro tuttora!
E mi è venuto subito un pensiero di odio contro chi, e ci sarà, avrà pensato: “Ma chissenefrega!”.
Non si può assolutamente dire: “Chissenefrega!”, davanti ad un’opera d’arte che brucia! Costoro non meritano di far parte dell’Umanità.
Un attentato terroristico che coinvolge nella morte mille e più persone sarebbe sempre meno grave di una cattedrale in fiamme!
Mi ricordo ancora la reazione della popolazione di Monte, appena ha saputo dell’incendio partito dal ripostiglio di fianco all’altare. Per una mia disattenzione! È stato un accorrere per dare tutti una mano! Ma la gente non ha voluto conoscere le cause dell’incendio: è rimasta impressionata dal rischio che ho corso buttandomi per primo tra il fumo che poteva intossicarmi. Era la “mia” chiesa! Anche allora eravamo agli inizi della Settimana santa!
E non dimenticherò mai il gesto estremo di quel prete che, vedendo crollare, a causa del terremoto, la sua chiesa, si è impiccato con la corda delle campane!
La chiesa, qualsiasi chiesa, è un patrimonio di fede! Bella o brutta che sia architettonicamente.
Anche le piccole chiese oramai chiuse, perché il paese è deserto, rimane sempre come un faro: un faro della fede del passato, e un faro di una presenza divina che, chiusa o no la chiesa, continua a provocare anche i più indifferenti.
A me fa enorme sofferenza vedere chiese chiuse su orari prestabiliti. In quel momento, avrei voglio di pregare o anche solo di starmene da solo, e la chiesa non è aperta!
Ma le cattedrali hanno qualcosa in più: una bellezza straordinaria, riflesso del Bello Assoluto!
Oggi non si costruiscono più cattedrali: manca il genio artistico del Bello! Oggi si costruiscono obbrobri, e li chiamano capolavori d’arte, e la gente prende questi obbrobri come luoghi dove ritrovarsi stupidamente nel nulla.
Non è qui la sede o il momento di collegare eventi storici ad una cattedrale, e Notre Dame di Parigi potrebbe avere non pochi vanti.
Un’amica mi ha fatto riflettere sul nome della Cattedrale: Nostre Dame, Nostra Signora!. “Notre Dame è simbolo della donna. Parigi, la Francia, sono femminili. Giovanna d’Arco è stata arsa sul rogo”. Aggiungerei Margherita Porete, e altre donne libere.
Ciò che mi affascina di una cattedrale è qualcosa di inesprimibile: un insieme di emozioni che vanno dai sensi più sensibili alle emozioni più mistiche.
Forse la parola “cattedrale” non è la più appropriata, ma lo è se intendiamo per cattedra una scuola d’arte viva, o anche semplicemente una Cattedra, da cui emanano infiniti raggi del Bello.
Anche gli antichi barbari restavano come paralizzati davanti alle cattedrali. I barbari di oggi no! Loro rimangono affascinati solo dal loro ventre. Non vorrei neppure nominarli – lo sappiamo chi sono – per non contaminare ogni pensiero del Bello.
Le cattedrali in genere sono state risparmiate dalle guerre; solo il fuoco può distruggerle.
Il fuoco! Dove risiede tutta la sua potenza distruttrice? Difficile rispondere! Come è difficile cogliere la sua potenza purificatrice.
Oggi forse bisognerebbe parlare di “cattedrali nel deserto”, anche se le ritroviamo nel cuore di una città. E qui, con timore di essere frainteso, mi verrebbe da dire: non tutto il male viene per nuocere!
Immersi come siamo nella banalità di una società del tutto alienata, che ha perso ogni senso del Divino, una cattedrale in fiamme può essere una provvidenziale provocazione: “Ecco come sono ridotta!”. E il mondo intero ne parla, e riflette.
Ma per quanto tempo dureranno questi momenti riflessivi? Forse pochi, o forse tanti, ma attenzione: andando per questa strada fuori dal Divino, scomparirà ogni segno del Divino, e ci troveremo sull’orlo del burrone.
Infine, una tentazione mi è venuta: parlare anche di un’altra cattedrale, il Duomo di Milano.
Ma il “nostro” Duomo è così gelido che nessuna fiamma potrebbe consumarlo. Ci sono, purtroppo, anche cattedrali in cui Dio sembra svanito nel nulla.
L’evangelista Marco annota: Gesù «entrò a Gerusalemme nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betania» (11,6). Anche qui siamo agli inizi della Settima santa. Gesù, con uno sguardo a 360 gradi (così suggerisce il verbo greco περιβλεψάμενος) che cosa aveva visto? Secondo alcuni studiosi avrebbe visto tante cose, ma non la presenza di Dio! Dopo quarant’anni (nel 70 d.C.), quel Tempio, il cuore della religiosità ebraica, verrà raso al suolo dall’esercito romano e non più ricostruito.
No, non auguro a nessuna cattedrale la fine del tempio di Gerusalemme! Anche un solo giusto meriterebbe l’esistenza di una grande cattedrale.
Ma non posso dimenticare una delle più straordinarie preghiere bibliche: quella tra Abramo e il Signore (Gen 18,22-33). Abramo litiga con il Signore che vuole sterminare Gomorra. In breve. Abramo dice al Signore: “Come puoi punire tutta la città? Non farlo, in nome dei giusti che ci sono!”. E sul numero dei giusti, che man mano riduceva, Abramo riesce a strappare a Dio una promessa (prima 50, poi 45, poi 40, poi 30, poi 20). Ma sotto il numero dieci Abramo non scende. Ha capito di aver perso. Il Signore punisce Gomorra: non c’erano neppure dieci giusti!
Bellissimo il suo commento ecommovente quello di Giuseppe.Mi associo a voi.Un saluto fraterno da Belgio.
Ho sempre apprezzato quelle chiese che trovi aperte ad ogni ora del giorno. La chiesa, secondo me, non è solo un luogo di culto fine a se stesso, ma è qualcosa di sacro, un riparo, un rifugio per le anime tormentate. Sono certo che anche chi non è praticante ogni tanto sente il bisogno di entrare, avverte un richiamo a far visita al Padreterno per pregare, magari silenziosamente tralasciando parole imparate a memoria ed ormai quasi prive di significato. È il richiamo di chi ha sacrificato la sua vita per noi ed è presente nel Santissimo Sacramento, è l’invito di chi ci ha lasciato questo messaggio:
«Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro! Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.»