Negoziati con Trump, ecco su cosa la Ue non può cedere

da Il Corriere della Sera
15 aprile 2025

Negoziati con Trump, 

ecco su cosa la Ue non può cedere

di Milena Gabanelli e Francesco Tortora
A Donald Trump l’Europa non piace: troppe barriere e regolamenti ostacolano il commercio e gli investimenti americani. Messa in standby la turbolenza dei dazi, il Nuovo e Vecchio continente lavoreranno per trovare un accordo tariffario. Per capire su quali temi si negozierà, bisogna analizzare l’ultima edizione del «National Trade Estimate», documento dell’Ufficio esecutivo del Presidente dove sono elencate tutte le lamentele degli imprenditori ed esportatori americani contro le norme applicate dalla Ue che bloccherebbero il commercio con gli Usa. Partiamo da quelle sul digitale: per la Casa Bianca si tratta di tasse ingiuste imposte alle Big Tech, e quindi andrebbero rimosse. Vediamole.

Digital Services Act

Ad agosto 2023 è diventato operativo il Digital Services Act (DSA), regolamento con il quale la Ue vigila sui servizi offerti in rete dalle piattaforme online con almeno 45 milioni di utenti attivi ogni mese: queste sono obbligate a rispettare la privacy, la libertà di espressione degli utenti e a rimuovere i contenuti illegali immediatamente. Chi non si adegua rischia sanzioni fino al 6% del fatturato annuo. Il primo accusato di disinformazione è Elon Musk, proprietario del social network X, sul quale la Commissione europea ha aperto un’indagine.

Non è il solo: lo scorso anno a Bruxelles sono stati avviati nove procedimenti formali nei confronti di diversi fornitori. Il costo è a carico delle piattaforme sorvegliate e la Commissione ha presentato a marzo 2025 un conto di 58,2 milioni di euro (Qui pag.8).

Digital Markets Act

Da maggio 2023 è in vigore il Digital Markets Act (DMA), nato per contrastare gli abusi di posizione dominante e promuovere la concorrenza sui mercati digitali. Una serie di regole che dicono alle grandi piattaforme (Alphabet, Amazon, Apple, Booking, ByteDance, Meta, Microsoft ) quello che «devono fare» e quello che «non devono fare», al fine di impedire pratiche scorrette o condizioni ingiuste per imprese e consumatori. Le violazioni sono punite con multe fino al 10% del fatturato annuo, e fino al 20% in caso di infrazioni ripetute. Sono finite sotto indagine Apple per la gestione del proprio App Store accusato di ostacolare la concorrenza, e Meta per aver offerto nel 2023 agli utenti europei di Facebook e Instagram il modello «paga o consenti» che non permetteva una scelta davvero libera sulla gestione dei dati personali. Per il National Trade Estimate si tratta di un regolamento che colpisce «in maniera sproporzionata le imprese americane» e di conseguenza ne compromette la competitività.

Servizi audiovisivi

Nel mirino anche la Direttiva UE 2018/1808 che impone alle piattaforme on demand (Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, HBO Max, Apple TV+, etc.) di mettere a disposizione dei clienti almeno il 30% di film e serie tv europee e dare loro ampia visibilità. Gli Stati Ue inoltre possono obbligare le piattaforme a partecipare alle co-produzioni. Ad esempio, in Francia sono tenute a investire tra il 15 e il 25% dei ricavi netti in prodotti europei, in Italia almeno il 16%, in Spagna il 5%. Gli americani considerano queste regole una forma di protezionismo, per l’Europa invece è un modo per difendere la propria industria culturale dai colossi Usa. Tutte le norme sui contenuti e sul mercato digitale sono state attuate a tutela del processo democratico e della concorrenza all’interno dell’Unione europea, affinché non domini la logica del più forte. Non è un caso che i più importanti esponenti della Commissione Ue, a partire dalla presidente Ursula von der Leyen, si siano affrettati a spiegare che l’Unione europea vuole trovare un accordo commerciale con gli Stati Uniti, ma non è disposta a negoziare sul Digital Services Act e tantomeno sul Digital Markets Act.

Protezione dei marchi DOP e IGP

In campo alimentare l’elenco dei contrasti è ancora più lungo. A partire dai marchi DOP e IGP, creati dalla Ue per proteggere le eccellenze strettamente legate ad una specifica area geografica. Agli esportatori americani questa politica non piace perché blocca l’accesso al mercato europeo dei prodotti che «evocano» i nomi dei nostri marchi (il caso più famoso è il Parmesan del Wisconsin), o per quelli con nomi comuni come «tawny», «ruby» e «chateau» che potrebbero confondersi con le etichette di celebri vini portoghesi e francesi. Una irritazione destinata a crescere poiché dal primo dicembre questa politica si estenderà anche ai prodotti artigianali ed industriali tipici (Regolamento UE 2023/2411). In lizza per il marchio IG i vetri di Murano, il marmo di Carrara, la porcellana di Capodimonte, e il brand «Motor Valley» dell’Emilia-Romagna.

Ogm

Nei Paesi dell’Unione non c’è nessun divieto alla commercializzazione dei prodotti geneticamente modificati. Quelli destinati alla alimentazione umana devono però rispettare requisiti di etichettatura e tracciabilità, ovvero bisogna scriverlo sull’etichetta. Per gli Usa questo obbligo andrebbe rimosso perché ostacola il commercio. È come dire: se i consumatori sanno che quell’olio proviene da mais Ogm non lo comprano più. Ma sono proprio i cittadini europei a richiedere questa trasparenza e vale per tutti, anche per la Spagna, che produce e commercializza prodotti Ogm. Per quanto riguarda invece le colture, gli imprenditori americani lamentano tempi troppo lunghi nel processo di autorizzazione da parte della Ue (media 4 anni). Va detto che i Paesi membri hanno chiesto e ottenuto dall’Unione dal 2015 il diritto di libera scelta: infatti 18 Stati, fra cui l’Italia, hanno deciso di vietare sul proprio territorio le coltivazioni Ogm.

Ormoni, carne disinfettata

Gli Stati Uniti accusano la Ue di adottare misure di sicurezza alimentare prive di basi scientifiche e che quindi limitano inutilmente il commercio. Si va dagli additivi considerati potenzialmente cancerogeni (come il bromato di potassio nei prodotti da forno) alla diatriba storica sulla carne bovina prodotta utilizzando ormoni e promotori della crescita, vietati nella Ue sin dalla fine degli anni ’80.
L’Europa ha già risposto alle accuse nel 2002 presentando ben 17 studi che dichiarano la carne trattata con gli ormoni «potenzialmente pericolosa». Gli esportatori americani puntano il dito contro Bruxelles anche perché vieta la ractopamina, un additivo per mangimi che stimola la crescita del tessuto magro e il peso in suini e bovini. Ripropongono uno studio del 2012 della Commissione del Codex Alimentarius secondo il quale la ractopamina, se usata nei limiti stabiliti, non rappresenta un rischio significativo per la salute umana. Tuttavia, il consenso nella comunità scientifica non è affatto unanime e tuttora la ractopamina è vietata in centinaia di Paesi, tra cui Russia e Cina.

Mal digerito anche il divieto Ue di usare sostanze chimiche per rimuovere contaminazioni dai prodotti animali per il rischio di effetti collaterali, mentre negli Usa per esempio è legale disinfettare il pollame con soluzioni a base di cloro o acido perossiacetico.

Limite ai pesticidi

A protezione delle biodiversità, della salute degli agricoltori e del consumatore finale, la Ue ha avviato da tempo una politica di incentivi per la riduzione di fitofarmaci. Come documenta lo studio pubblicato nel 2019 sulla rivista scientifica «Environmental Health», ben 72 pesticidi utilizzati negli Usa sono invece vietati nell’Unione europea. Contestualmente abbiamo abbassato anche i limiti massimi di residui (LMR) consentiti sui prodotti agricoli. A febbraio 2023 la Ue ha ridotto l’LMR per due pesticidi, il clothianidin e il thiamethoxam, che rappresentano un rischio elevato per le api e contribuiscono al declino globale degli impollinatori. In pratica vuol dire che a partire dal 2026 sul mercato europeo non possono essere scaricati prodotti con tracce di queste sostanze sopra i limiti consentiti. La misura è molto contestata dagli Stati Uniti perché «pone un ostacolo significativo alla produzione agricola».

I valori non negoziabili

È vero che esistono barriere oggettive nell’accesso al più ricco mercato del mondo, è vero che ci sono affastellamenti burocratici dannosi soprattutto per gli europei, e ci saranno margini per alleggerire i rapporti commerciali. Ma gli standard di qualità sopra elencati sono stati concepiti e applicati per tutelare salute, lavoro, ambiente e libertà dei cittadini. Standard peraltro sostenibili economicamente e che in Europa, insieme al modello di sanità pubblica, si traducono in una aspettativa di vita media più lunga di 3 anni rispetto agli Usa, e di 5 anni in Italia. Valori, si spera, non negoziabili.
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