L’infallibilità del papa con i suoi dogmi ha fatto danni incalcolabili alla ricerca della verità divina e dell’essere umano
di don Giorgio De Capitani
Mi fanno ridere coloro che credono che papa Francesco sia disposto a rivedere il dogma dell’infallibilità papale. Di parole questo papa ne dice, e di promesse da marinaio ne fa a iosa. La sua agenda è piena di battute pronte a esternarsi in qualche propizia occasione.
Ma da tempo ho imparato a giudicarlo per quello che è, e non per quello che sembra.
A parte questo, mi chiedo che senso possa avere ancora oggi parlare di infallibilità papale, anche perché, a differenza dei papi del secolo scorso, Bergoglio parla continuamente, su ogni argomento, e c’è il rischio che la gente creda che, anche quando parla di inezie, sia infallibile. Che significa infallibilità papale?
Il dogma dell’infallibilità papale fu definito con la costituzione dogmatica “Pastor Aeternus”, del 18 luglio 1870. Questo è il testo, tradotto in italiano, dell’ultima parte della citata Costituzione, dove si trova la definizione del dogma:
« Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa. Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema ». (Pastor Aeternus).
In sintesi: il papa deve essere considerato infallibile quando parla “ex cathedra”, cioè quando esercita il «suo supremo ufficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani» e «definisce una dottrina circa la fede e i costumi»; quanto da lui stabilito sotto queste condizioni «vincola tutta la Chiesa».
Ma la domanda vera è questa: come si può dire che si tratta di “un dogma rivelato da Dio”? Ma quando Dio l’avrebbe rivelato e a chi? Siamo ancora ai tempi dell’Antico Testamento, quando Dio parlava e i profeti obbedivano? Ma Dio come fa a rivelarsi dettando dei dogmi che vincolano la fede dei credenti? E che significa “dogma di fede”?
Dio, per definizione, è il Mistero infinito di verità, davanti al quale i mistici non avevano parole, perciò tacevano. Da Wikipedia: “Apofatismo (dal greco ἀπό φημι che significa letteralmente lontano dal dire, non dire) è un metodo teologico secondo il quale Dio è del tutto inconoscibile attraverso la razionalità, perché trascende la realtà fisica e le capacità cognitive umane. In quest’ottica, l’approccio più adeguato a Dio è quello che prevede il silenzio, la contemplazione e l’adorazione del mistero, e prescinde cioè da qualsivoglia processo di speculazione o indagine razionale dell’essere divino. Questa teoria è l’esatto contrario del catafatismo della teologia affermativa, la quale prevede la conoscibilità di Dio attraverso l’uso della ragione e dell’intelletto. La teologia negativa, tuttavia, che si serve di un tale metodo apofatico, ammette in parte la possibilità di un esercizio discorsivo e razionale per avvicinarsi a Dio, non dicendo cosa Egli è, ma dicendo cosa Egli non è. Essa culmina comunque nel silenzio”.
La Chiesa è per sua natura “catafatica”: parla sempre in nome di un dio-idolo, il quale risponde su commissione o su comando.
E poi: se Dio è Verità infinita, come si può ridurlo ad una serie di dogmi che, per loro natura, sono come dei blocchi di cemento intoccabili?
I dogmi sono la prova che la Chiesa teme la verità, e perciò la mette sotto vuoto o la chiude in prigione e poi butta via la chiave.
La verità è per sua natura ricerca, e il dogma è la maniera autoritaria per bloccare ogni ricerca. Le spiritualità più profonde, a differenza delle religioni monoteiste, sono ricerche nel campo dell’essere umano, dove lo spirito è come un vento inafferrabile. Come allora si può imprigionare lo spirito in un dogma di fede?
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da www.chiesa.espressonline.it
Il papa non è infallibile. Eccone otto prove
Equivoci, gaffe, vuoti di memoria, leggende metropolitane. Un elenco degli errori nei discorsi di Francesco. Il più disastroso in Paraguay
di Sandro Magister
ROMA, 13 giugno 2016 – “Come aveva detto Benedetto XVI, la tolleranza deve essere zero”: così papa Francesco nella sua intervista a “La Croix” del 16 maggio scorso, a proposito degli abusi sessuali sui minori.
Ma se si ripercorrono tutti gli scritti e i discorsi di papa Joseph Ratzinger, la formula “tolleranza zero” proprio non la si trova. Mai. E nemmeno qualche formula equivalente.
Eppure essa ritorna nelle cronache vaticane come un mantra, l’ultima volta pochi giorni fa, il 4 giugno, in occasione dell’uscita del motu proprio per la rimozione dei vescovi colpevoli di “negligenza” nel trattare i casi di abuso.
Ma mentre Francesco l’ha fatta propria più volte, ad esempio nella conferenza stampa del volo di ritorno dalla Terra Santa, attribuirla – come ha fatto – anche a Benedetto XVI non corrisponde a verità.
Ed è l’ultima delle non poche inesattezze che costellano l’eloquio pubblico dell’attuale papa.
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La penultima inesattezza è del 24 aprile, durante la visita che papa Francesco improvvisò a Villa Borghese, nel centro di Roma, ai focolarini riuniti in una manifestazione in difesa della natura.
Disse il papa, nel suo discorso improvvisato:
“Una volta qualcuno mi ha detto – non so se è vero, se qualcuno vuole può verificare, io non ho verificato – che le parola ‘conflitto’ nella lingua cinese è fatta da due segni: un segno che dice ‘rischio’, e un altro segno che dice ‘opportunità’. Il conflitto, è vero, è un rischio ma è anche una opportunità”.
In realtà questa immaginaria traduzione ad effetto della parola cinese “weiji” è un artificio oratorio inventato in Occidente. Fu lanciata per la prima volta da John Kennedy in un discorso a Indianapolis del 12 aprile 1959 e da lì in avanti ripresa numerose volte da lui e da altri leader politici americani, da Nixon ad Al Gore a Condoleezza Rice, diventando ricorrente anche nella stampa popolare di lingua inglese e non.
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Una terza imprecisione è nella conferenza stampa del 16 aprile di quest’anno sul volo di ritorno dall’isola di Lesbo.
Nel rispondere al fuoco di fila delle domande sulla “Amoris laetitia”, Francesco indicò nel cardinale Christoph Schönborn l’interprete giusto del documento. E nel tesserne l’elogio – “è un grande teologo” e “conosce bene la dottrina della Chiesa” – aggiunse: “Lui è stato segretario della congregazione per la dottrina della fede”. Cosa non vera, perché di questa congregazione Schönborn è stato ed è solo membro.
Inoltre, in quella stessa conferenza stampa, Francesco replicò con un inverosimile “Io non ricordo quella nota” a una domanda sulla cruciale nota 351 della “Amoris laetitia”, quella che prospetta “l’aiuto dei sacramenti” ai divorziati risposati.
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Con un altro implausibile “Io non ricordo bene quel documento” Francesco rispose anche alla domanda se la nota dottrinale della congregazione per la dottrina della fede del 2003 che vieta ai parlamentari cattolici di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso “ha ancora un valore”.
Questo durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dal Messico, il 17 febbraio 2016. E proprio mentre in Italia una legge di quel tipo era sul punto di essere approvata.
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Nella stessa conferenza stampa sul volo dal Messico a Roma, altro passo falso, questa volta con Paolo VI a farne le spese.
Disse papa Francesco:
“Paolo VI – il grande! – in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza”.
E aggiunse che “evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del beato Paolo VI, [ciò] era chiaro”.
Due giorni dopo, anche padre Federico Lombardi ritirò fuori la stessa storia, in un’intervista alla Radio Vaticana fatta con l’intento di raddrizzare ciò che era andato storto nelle dichiarazioni del papa riprese dai media, che sul via libera agli anticoncezionali avevano già cantato vittoria:
“Il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il papa. […] L’esempio che [Francesco] ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione”.
In realtà che Paolo VI abbia esplicitamente dato quel permesso non risulta per niente. Nessuno è mai stato capace di scovare una sola sua parola in proposito.
Eppure questa leggenda metropolitana continua a stare in piedi da decenni e puntualmente ci sono cascati anche Francesco e il suo portavoce.
Come veramente si svolse quella vicenda è stato ricostruito per filo e per segno in questo servizio di www.chiesa:
> Paolo VI e le suore violentate in Congo. Ciò che quel papa non disse mai
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Sesto e più disastroso errore: quello in cui è caduto Francesco ad Asunción l’11 luglio 2015, nel discorso ai rappresentanti della società civile del Paraguay, con in prima fila il presidente Horacio Cartes e le altre autorità del paese.
Lì il papa a un certo punto improvvisò, abbandonando il testo scritto:
“Ci sono cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c’è anche il presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: ‘Senta, il tale si trova sequestrato dall’esercito, faccia qualcosa!’. Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso era allontanare la gente, o con l’esilio o con la prigione; o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte. Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi… non ho sentito bene il nome”.
Il nome che Francesco non aveva “sentito bene” era quello di Edelio Murinigo, un ufficiale sequestrato da più di un anno non dall’esercito regolare del Paraguay – come invece il papa aveva capito – ma da un sedicente “Ejército del pueblo paraguayo”, un gruppo terrorista marxista-leninista attivo nel paese dal 2008.
Eppure, nonostante la dichiarata ed enfatizzata sua ignoranza del caso, Francesco non temette di utilizzare i pochi e confusi dati da lui malamente raccolti poco prima per accusare l’incolpevole presidente del Paraguay addirittura di un crimine assimilato ai peggiori misfatti nazisti e stalinisti.
Onore al presidente Cartes per la signoria con cui lasciò cadere nel vuoto l’impressionante pubblico affronto.
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Altro errore, la citazione immaginaria che Francesco ha messo in bocca al musicista Gustav Mahler nel discorso – zeppo di rimproveri – rivolto a Comunione e liberazione il 7 marzo 2015:
“Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – ‘significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri’. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri”.
Ogni volta che il papa fa una citazione, la squadra che dà poi forma ufficiale ai suoi discorsi la correda con il riferimento al testo da cui è tratta. Ma in questo caso ciò non è avvenuto. Perché non poteva avvenire.
In nessuno scritto di Mahler, infatti, si ritrova la frase citata da Francesco.
Va però notato che pochi giorni prima, nel concludere gli esercizi spirituali d’inizio Quaresima ai quali anche il papa aveva partecipato, il predicatore incaricato, il carmelitano Bruno Secondin, aveva costruito l’ultima sua meditazione proprio su quella citazione attribuita a Mahler anche da altri prima di lui e ormai entrata nell’uso corrente, sebbene senza riscontro nella realtà.
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E infine un’altra frase carissima a Jorge Mario Bergoglio ma di autore immaginario: “Ipse harmonia est”.
La prima volta che la citò fu il 15 marzo 2013, due giorni dopo che era stato eletto papa, nel discorso rivolto ai cardinali reduci dal conclave: “Io ricordo quel Padre della Chiesa che definiva lo Spirito Santo così…”.
Anche allora l’ufficio vaticano che si occupa di mettere in bella copia i discorsi del papa e di corredarli di riferimenti bibliografici si arrovellò per trovare chi e dove avesse detto quella frase. Ma non ci riuscì. La massima andò agli atti senza padre, senza madre, senza genealogia.
Ma Francesco non si diede per vinto e venti mesi dopo tornò a citare la massima attribuendogli lui una paternità: “‘Ipse harmonia est’, dice san Basilio”. E anche questa volta essa finì agli atti senza la nota a piè di pagina, perché nessuno riuscì a scovare dove san Basilio avesse detto quelle parole.
Era il 22 dicembre 2014, e il discorso era quello poi divenuto famoso delle quindici “malattie” sbattute in faccia ai cardinali e vescovi di curia.
Ogni religione non è altro che una serie di principi in materia di fede e di morale, e ovviamente definisce anche le fonti delle proprie affermazioni.
Così, in tal senso il cattolicesimo si fonda anche sulla Pastor aeternus, che consolida la concezione gerarchica delle fonti.
Ovviamente altri, nello stesso cristianesimo, non credono all’infallibiltà pontificia, che comunque riguarda solo fede e morale, non realtà storica.
Certamente il cristianesimo appartiene alla teologie fasiche, cioè che dicono, e che fondano parte significativa della loro natura nel rapporto con una sorta di ragione rivelata, tanto che si insiste spesso anche sul concetto di legge della ragione, a voler sottolineare una sorta di ragionevolezza di tutta la costruzione.
Altre teologie preferiscono l’aspetto misterioso e afasico della dimensione metafisica, e credo, in effetti, che vi sia una sostanziale inconciliabilità.
Se poi qualcuno si domanda: dove sta la verità?
A me vien da rispondere: solo Dio lo sa…
Ogni volta che mi si pone qualcosa su cui riflettere, purtroppo, mi viene in mente che questo è un mondo che non mi interessa, non mi appartiene; già a causa di mia mamma (comunque una grandissima donna), donna dell’inizio del secolo scorso e più in chiesa che in casa ho perso completamente la mia gioventù in messe, processioni e ritualità varie. Non ne posso più e da tanto ormai temo che le religioni siano davvero un oppio per i popoli e basta.
Caro don Giorgio, su papa Francesco non mi esprimo, perché mi rendo conto che “deve fare il papa”. Mi piaceva molto di più quando si definiva solo come “vescovo di Roma”. In effetti io sogno una chiesa senza Papi (inteso come plurale di Papa). Mi piace moltissimo però il suo atteggiamento di silenzio di fronte a Colui che non dovremmo mai nominare inutilmente. Grazie per la sua riflessione sulla teologia negativa.
Tralasciando la figura di papa Francesco, su cui non sempre mi riesce di condividere le tue opinioni, sono d’accordo in linea di massima sull’argomento che tu proponi. A parte ogni altra considerazione, mi sembra di ricordare che il dogma dell’infallibilità venne sancito nel XIX secolo dal Concilio Vaticano I°, sotto il pontificato di Pio IX, di quel papa cioè, che vedendo minacciata l’integrità territoriale dello Stato Pontificio, a seguito dei moti insurrezionali e delle guerre di espansione del regno dei Savoia che stavano unificando l’Italia; con la “questione romana” incombente e l’ormai imminente presa di Porta Pia, si ritirò in Vaticano autoproclamandosi “prigioniero politico”. La qual cosa, francamente, con tutto il rispetto dovuto verso una figura eminente come sua santità, mi sembrerebbe più che altro una sorta di ripicca e di “mossa della disperazione” funzionale a mettere in guardia i cattolici verso le nuove realtà politiche che si stavano delineando. Non ho alcuna intenzione di mettere in discussione il pontificato di papa Mastai Ferretti, che certamente sotto il profilo strettamente spirituale e pastorale avrà avuto delle intuizioni geniali e dei meriti universalmente riconosciuti per le sue indubbie qualità (tra l’altro si deve a lui la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima), ma è il suo ruolo di sovrano e di politico che non mi convince. Nelle mie reminiscenze scolastiche, mi sembra di ricordare che, mentre in un primo momento il papa appoggiò, almeno idealmente, i movimenti irredentisti risorgimentali, successivamente li condannò aspramente al punto di stipulare accordi e trattati con quei sovrani che, come lui, preferivano lasciare invariato lo statu-quo, e per questo rappresentavano il principale bersaglio dei moti insurrezionali che caratterizzarono quel secolo. E che la sua fosse una posizione preconcetta, ottusa e ancorata ad una tradizione obsoleta, lo dimostrerà di lì a poco papa Leone XIII, che, pur mantenendo un atteggiamento ostile verso il regno d’Italia, con l’enciclica “Rerum Novarum” prese atto degli ormai inevitabili cambiamenti sociali e politici in corso.
Parlando più in generale però, tutta la questione ha degli aspetti che trovo sconcertanti e contraddittori. Intanto ho la netta sensazione che nel corso dei secoli la chiesa cattolica, nella pretesa di stabilire il proprio primato, abbia in qualche modo adattato, di volta in volta, il messaggio evangelico alle sue esigenze, finendo inevitabilmente per tradirne l’essenza. Non a caso le voci dissonanti di chi ha cercato di richiamare l’apparato ecclesiastico alla semplicità e all’innocenza degli inizi sono state spesso bersaglio di critiche durissime e, in casi estremi, chi le sosteneva è stato scomunicato. Non solo, ma gran parte delle regole e norme, dottrinali e non, emanate in questi venti secoli, sembra quasi frutto del desiderio di privilegiare la chiesa istituzione rispetto alla fede. Se vogliamo, perfino il primato di Pietro, e di conseguenza dei suoi eredi, è stato almeno in parte travisato, trasformandosi dal ruolo originale di custode e assistente spirituale a quello di monarca assoluto e capo indiscusso dei fedeli, e non solo sotto l’aspetto religioso. L’unica grande differenza che a mio avviso distingue i papi degli ultimi tempi rispetto a quelli del passato è nell’abolizione di alcune barriere ideologiche e sociali che hanno portato gli ultimi pontefici a entrare in contato più diretto con la gente comune, eliminando quelle distanze che spesso generavano incomprensioni e timori reverenziali del tutto ingiustificati. Un bel bagno di umiltà per chi per secoli è rimasto avvolto in un alone di “santità” a priori, a prescindere dal suo comportamento reale, dalle sue virtù e dai suoi vizi, e dagli aspetti più o meno discutibili della sua vita.
Io sono un uomo fallibile e da questo mio stato naturale invidio chi ogni giorno non mette in dubbio l’esistenza di un Dio a misura di Uomo.La verita la scopriremo alla fine dei nostri giorni prima e un continuo sperare e cercare