
Jacques Gaillot (Photo by Marc Gantier – Gamma-Rapho via Getty Images)
da www.settimananews.it
Jacques Gaillot, pastore degli «scartati»
5 giugno 2024
di: Felice Scalia
A un anno dalla morte, un volume fa memoria del vescovo francese Jacques Gaillot (cf. il profilo su SettimanaNews, 13 aprile 2023). Il gesuita Felice Scalia ricorda la figura straordinaria e profetica del vescovo Gaillot a partire dal volume di Lorenzo Tommaselli, Jacques Gaillot – Un vescovo per il Vangelo (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2024).
Una storia delle reazioni clericali e laicali al Concilio Vaticano II, e poi ai 50 anni di anticoncilio, per quanto io sappia, non è stata scritta. Ma una cosa è certa: nel 1962 al 1965 convennero a Roma persone sconosciute al grande pubblico che dettero una impronta di creatività evangelica alla chiesa che ripensava se stessa e il suo rapporto on il mondo.
Successivamente si videro in CEI e nel mondo, vescovi «scomodi» che per la loro eccentricità non erano per nulla ascoltati, anzi erano liquidati con sufficienza. «Parla quello sbaglio dello Spirito Santo, parli pure, tanto chi può prenderlo sul serio?».
Questo succedeva non per cattiveria e malafede, ma solo perché – a Concilio chiuso – le voci della restaurazione in senso istituzionale erano prevalse su quella carismatica e profetica. Di questi «sbagli dello Spirito Santo» ricordo solo alcuni nomi: Anastasio Ballestrero, Luigi Bettazzi, Tonino Bello, Raffaele Nogaro, Oscar Romero, e Jacques Gaillot di cui ci occupiamo. Per nulla dire della sorda e tenace opposizione a due «sbagli» di lusso: Giovanni XXIII e Francesco.
In realtà non si trattava di «sbagli dello Spirito» ma dell’istituzione-chiesa che lasciava sfuggire dalle sue maglie quelle cellule impazzite, gaudio della gente semplice assetata ed affamata di giustizia, pugno nell’occhio e fastidioso pungolo della chiesa in cui prevaleva più l’apparato legalistico-cultuale, affaristico, diplomatico, che il Vangelo.
Il Regno per gli scartati

Nel 1982 veniva ordinato vescovo di Évreux (Normandia) Jacques Gaillot, un prete ordinario, «classico» diremmo, ma segnato da 28 mesi di servizio militare in Algeria, sufficienti a dargli la profondissima convinzione che l’uomo non è fatto per la violenza ma per amare, e che il Regno andava predicato soprattutto agli «scarti», agli «sconfitti».
Sarà il vescovo che sta decisamente dalla parte dei poveri, che è in profonda comunione con gli amati da Dio, i «poveri» appunto, i disgraziati, gli immigrati, i disprezzati musulmani, i senza casa, i carcerati, i sans papiers. Questione di gusto – avrà pensato qualche confratello nell’episcopato – lasciamolo fare! Forse non si intuiva quanto la scelta di essere Pastore degli «scarti» modulava il suo servizio a tutta la diocesi, la sua catechesi, la sua liturgia, il suo stile di vita.
Come dice molto bene il sottotitolo del volume che presentiamo: Gaillot era un «vescovo per il Vangelo», nella chiesa, ma non «della chiesa», vescovo per servire i fratelli, come il suo Signore, non per eccellere sulla massa. Ma ad un certo punto il potenziale eversivo di questa centralità del vangelo come norma della chiesa, esplode agli occhi dell’opinione pubblica.
Mons. Gaillot è accanto ad un obiettore di coscienza al servizio militare (Michel Fache), disapprova – e ne spiega le ragioni – un documento della Conferenza Episcopale Francese (Gagner la paix) che sostiene la legittimità delle armi nucleari. Ma forse la goccia che fa traboccare il vaso è la pretesa del vescovo di essere evangelicamente presente nel dibattito sulla sopraffazione governativa contro gli immigrati. Questo anello congiunge l’indignazione «santa» di tanti vescovi francesi con la preoccupazione politica del Ministro degli Interni francese Charles Pasqua.
Destituito, non imbavagliato
Nel 1994 Gaillot compie due gesti «eversivi»: occupa con i «Sans Papiers» la storica Basilica del Sacro Cuore a Montmartre, e pubblica un libro dove spiega la sua posizione di francese, di cristiano e di vescovo di ogni uomo che gli è stato affidato: Urlo contro l’esclusione. L’anno di tutti i pericoli.
Ce n’era d’avanzo per fare infuriare il governo del tempo e per riaccendere vecchi rapporti cesaro-papisti con la chiesa cattolica. Si ricorre alla Santa Sede (era papa Giovanni Paolo II) che tacita la Conferenza Episcopale Francese ed il governo della nazione «primogenita della Chiesa», con la destituzione di Gaillot – nel 1995 – da vescovo di Évreux a vescovo titolare di Partenia, diocesi inesistente da secoli.
Le fantasie clericali sono infinite, come inventare «Pastori» senza gregge … «La mannaia è caduta» – commenta Gaillot. Ma si illude chi ritiene di avere messo un bavaglio al vescovo che da sempre si era sentito «tagliato su misura proprio per il Vangelo».
Comincia la terza parte della vita del nostro vescovo. Il suo essere battezzato, cattolico e pastore, lo porta a farsi carico degli oppressi di tutto il mondo. Per dirla alludendo all’autore del libro (p. 29) e al primo prefazio dei defunti, «La messa non è finita, ma allargata, trasformata».
Gira il mondo mons. Jacques, con Greenpeace, visita carcerati di tutto il mondo (li cerca anche a Messina in una sua visita, reclamando di parlare con i suoi «fratelli»), sta dalla parte di ogni sofferente, di ogni vittima del sistema disumano che chiamiamo civiltà occidentale, a prescindere da religione, colore della pelle, cultura, nazionalità.
Sorretto dalla sua gente
Un celebre teologo del tempo, Eugen Drewermann, per Gaillot è un povero cristo lasciato solo nel suo sforzo pastorale, perseguitato dalla cecità clericale. E gli sta accanto, lo sorregge, gli parla.
Gaillot non aspetta la vecchiaia per essere fedele al suo Cristo. Scrive: «Mi prendo la libertà di pensare, di esprimermi, di dibattere, di criticare senza paura della mannaia» (p. 39), appoggiato, sorretto, mantenuto in piedi, non dall’apparato ecclesiastico ma dal Vangelo che annunzia, e «dalla sua gente» (p. 49).
La morte sorprende questa creatura generosa e profetica il 23 aprile 2023. Da morto – ci sembra – «urla» ancora la necessità di tornare al Vangelo, a tutto il Vangelo. E siamo grati al prof. Tommaselli per averlo posto sotto i nostri occhi di confusi cristiani.
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da www.settimananews.it
Un ricordo di Gaillot, il vescovo deposto
13 aprile 2023
di Francesco Strazzari

Nato l’11 settembre 1935 a Saint-Dizier, diocesi di Langres, venne ordinato presbitero il 18 marzo 1961, consacrato vescovo di Evreux nel 1982. Gli feci visita più volte a Evreux e soprattutto a Parigi. Abitava in rue Cardinet 131, in un appartamento semplice e dignitoso, dove aveva posto la base della sua attività.
Fu rimosso d’autorità il 13 gennaio 1995 e continuò a impegnarsi tra la gente più disperata e a lanciare i suoi messaggi per una Chiesa, che – ripeteva di continuo – non si fa capire dalla gente. Ricordo il suo volto di uomo buono. Sorriso dolce e occhi limpidi. Non mi ha mai dato l’impressione di avere dentro quella forza che l’aveva imposto per anni all’attenzione dei media.
In dialogo con Giovanni Paolo II
Nel 1996, un anno dopo la sua rimozione, lo trovai ancora sereno, cordiale, sempre desideroso di regolare al più presto la sua situazione. Aveva incontrato papa Giovanni Paolo II a Roma, prima del Natale 1995.
«È stato un incontro pastorale di un vescovo con un altro vescovo. Il papa mostrava molta simpatia e fraternità. Voleva sapere come stavo e come vivevo. Mi ha ascoltato. Gli ho detto che vivevo in una casa abusiva a Parigi con gente sfrattata. Una vita di strada appassionante e rude. Non desideravo cambiare strada. Essere vescovo di Partenia, sede titolare, era magnifico. Mi ha detto: “Ma Partenia non esiste!”. Gli ho risposto: “È questo che è interessante. Siccome non esiste, può essere dappertutto e ciascuno può farne parte”. Mi ha guardato dicendo: “Per fortuna non ci sono molti vescovi come lei”. Gli ho risposto: “Sì, è vero”. Poi mi ha detto: “Sa, i vescovi mi dicono che lei è spesso, troppo spesso sui media”. “Ascolti – gli ho risposto –, cerco di imitarla”. Allora ha sorriso: “Ma io non guardo mai la televisione”. “Neppure io”, gli ho risposto. “Spero che la televisione gli abbia reso un servizio”. Poi abbiamo parlato di diverse altre cose. Ha aggiunto: “Vada ad incontrare la curia, il prefetto della Congregazione dei vescovi. Bisogna aggiustare la situazione, non può restare così”, rimettendo la questione all’amministrazione curiale.
A Reims, dopo la messa, il papa è venuto a colazione nel refettorio del seminario. È venuto direttamente a mangiare e poi se ne è andato quasi subito per riposarsi. Avvicinandosi al posto a lui riservato, si è fermato davanti a me e mi ha preso il braccio. Mi ha sussurrato: “Che Dio la benedica” e se ne è andato».
Rifiutatosi di lavorare nelle carceri e nel centro ospedaliero di Longjumeau, Gaillot continuò a lavorare tra sfrattati, “sans papiers”, gente dei bassifondi:
«Perché cercare altrove una soluzione? Devo anzi ringraziare il Vaticano per quello che sta facendo. Non avrei mai immaginato di essere legato a tante gente dell’emarginazione. Trovo che questo sia una grazia. Di tutto questo ho parlato con i vescovi. Il dialogo è aperto. Di certo, non cerco una diocesi».
Perché rimosso?
Eravamo in molti allora a chiederci che cosa avesse fatto Gaillot per essere rimosso da Evreux. Il «dossier Gaillot» si aprì su due fronti nel 1987: nunziatura apostolica di Parigi e Conferenza episcopale francese. Lo stesso Gaillot mi confessò che in nunziatura arrivavano continuamente lettere di disapprovazione del suo comportamento. Gaillot era senza dubbio in quegli anni una personalità che faceva discutere. Era un cavaliere solitario.
Ma quando gli fu imposto di lasciare la diocesi di Evreux ebbe dalla sua parte molti vescovi della stessa Conferenza episcopale francese, noti teologi, uomini di cultura, che non approvavano la decisione romana. Ci fu un continuo scambio epistolare tra i vertici della Conferenza episcopale e la Santa Sede e si tennero incontri a Roma.
Gaillot non si muoveva di un millimetro dalle sue posizioni. Non era certamente un eretico (card. Coffy), ma certi suoi atteggiamenti provocavano malumore e scontento. Era chiaro che voleva percorrere la sua strada di cavaliere solitario, evangelicamente testardo e cocciuto. Fu bloccato dalla Santa Sede. Papa Giovanni Paolo II sottoscrisse il provvedimento di rimozione. La Conferenza episcopale francese subì il colpo di non avere saputo gestire il caso.
Perché non puntò i piedi se era convinto che una tale sanzione avrebbe scosso il Paese, i fedeli, suscitato contestazioni, inasprito il clima alla vigilia di due viaggi papali in Francia? Ricordo quello che mi disse allora il grande teologo Yves Congar: «Bisogna risolvere diversamente le questioni e anche i conflitti. E poi, che senso ha affidare una sede in partibus infidelium (Partenia)? Ma che storia è questa? Non le pare ridicolo?».
Gaillot era convinto che a volere la sua testa fosse stato il ministro francese degli interni, Pasqua, a motivo di un libro che aveva scritto contro la legge sull’immigrazione.
«L’ho saputo da un prete che lavorava in Segreteria di stato. Il ministro dell’interno è intervenuto presso la Segreteria di stato. Non lo credevo per la lunga tradizione del regime di separazione tra Chiesa e Stato. Adesso ne sono sicuro. Di aver scritto questo libro certo non mi pento. Si vedono oggi le conseguenze di questa legge.
Semmai, mi dispiace un atteggiamento che ho avuto agli inizi del mio episcopato: quello di aver mediato troppo. Cercavo di andare incontro a tutta l’area del cattolicesimo tradizionale. Per esempio, sul versante delle scuole cattoliche: partecipavo alle loro manifestazioni… Non è servito a niente. Mi pento anche della dichiarazione congiunta firmata con il card. Decourtray, presidente della Conferenza episcopale nel 1989. Era certamente una situazione difficile; mi si diceva di non tirare troppo la corda… Me ne pento, anche se nel testo mi riservavo la libertà di parola, perché è stato percepito come se non vi fossi rimasto fedele. In generale, mi dispiace di avere sempre cercato di aggiustare le cose durante il mio episcopato a Evreux. Non sarà più così».
Sempre dalla parte dei poveri
Il vescovo Gaillot continuò ad essere in prima fila nel campo della giustizia. Sempre meno lo preoccupavano i problemi interni alla Chiesa: l’ordinazione di uomini sposati, il posto della donna, la riammissione dei divorziati ai sacramenti, l’autorità del papa e il suo servizio, che tanto spazio ebbero nelle sue accese dichiarazioni e nelle sue frequenti apparizioni in televisione.
«Il mio problema è la giustizia. Siamo in una società e in una umanità profondamente ingiuste. È l’area dei “senza”: senza casa, senza documenti, senza lavoro, senza sanità… Gli emarginati. È un problema decisivo. Non si può essere felici senza di loro; non possiamo uscire delle difficoltà se non siamo con loro. Il mio ruolo è di far rispettare la loro dignità e di farli diventare attori nella società per dare loro la parola».
Era caparbiamente e lucidamente convinto. Quando lo incontravo, teneva sempre in mano il Vangelo e gli occhi si illuminavano.
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