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15 Luglio 2022
Marc Lazar:
“Senza Draghi l’Italia pesa meno in Europa.
Ed è un guaio anche per la Ue”
di Angela Mauro
Per lo storico e politologo francese la caduta del premier rapppresenta “una batosta per Macron, visto che i due hanno un rapporto molto stretto su tutti i dossier, a partire dalla guerra in Ucraina”
“Le dimissioni di Draghi, se confermate, sono una bruttissima notizia anche per Macron perché c’era un rapporto molto stretto tra il premier italiano e il presidente francese non solo per via della firma del Trattato del Quirinale, ma su tutti i dossier, dalla guerra in Ucraina, alla rivendicazione di un’altra politica economica per l’Europa, per combattere l’inflazione e pianificare le spese per la difesa e l’energia”. Insomma, la crisi politica in Italia porta altri disastri anche in Francia, secondo Marc Lazar, storico e sociologo francese, professore di Science Po e alla Luiss. Un’altra batosta per Macron, dunque, già ‘segnato’ dalle legislative che non gli hanno confermato la maggioranza in Parlamento. Ma c’è di più. La crisi di governo in Italia apre margini ampi di “incertezza” nell’Ue e anche nello schieramento occidentale contro Putin. E senza l’ex governatore della Bce a Palazzo Chigi, l’Italia “non avrà peso in Europa”, scommette Lazar. Più in generale, il problema principale è che le opinioni pubbliche cominciano a stancarsi e distaccarsi dalla guerra, questo produce frammentazione e insofferenza, cadono i governi e quelli che resistono sono deboli, argomenta lo storico. “In questo momento, i francesi pensano solo alle vacanze”, dice Lazar.
Professor Lazar, immagino che anche in Francia si parli molto degli ultimi eventi politici italiani. Qual è la sua valutazione?
C’è un certo interesse francese per quello che succede in Italia, soprattutto quando le cose non vanno bene. Io stesso ho ricevuto tante richieste di interviste dai media francesi. C’è attenzione mediatica, ma anche politica perché la caduta, se confermata, di Mario Draghi è una bruttissima notizia per Macron. C’era un rapporto molto stretto tra Draghi e Macron, come ha dimostrato la firma del Trattato del Quirinale, ma anche la presenza di tanti elementi comuni tra Roma e Parigi. Sulla guerra in Ucraina, pur con sfumature diverse, c’era accordo. Sui dossier energia e difesa europea, sulla necessità di regolare i flussi migratori, sulla necessità di avere un’altra politica economica a livello europeo e un coordinamento importante per cercare di rilanciare l’economia e combattere l’inflazione: su tutti questi nodi politici Draghi e Macron hanno un forte asse comune e un rapporto molto stretto, in un momento in cui il rapporto con la Germania, sempre prioritario per Parigi, conosce un profilo basso. Per due ragioni: il cancelliere tedesco è molto discreto, per non usare altre parole, non si capisce bene dove voglia andare; inoltre, Scholz guida un governo di coalizione che deve gestire non solo la guerra, ma la situazione energetica di un paese molto legato alle fonti russe. Dopo le ultime legislative, poi, anche Macron non ha una maggioranza solida. Certamente, la riconferma all’Eliseo è stato un bel successo per lui, ma ora dovrà imparare a fare compromessi con un’opposizione che non gli farà regali. In questo contesto, se cade il governo Draghi, se l’Italia va verso le elezioni anticipate, significa incertezza per l’Italia, per il rapporto italo-francese e per l’Unione Europea. Quindi la preoccupazione è certamente altissima.
Le dimissioni di Draghi colpiscono dunque anche Macron, che non sta collezionando successi nell’ultimo periodo. Ecco, ma dando uno sguardo più generale al blocco occidentale contro Putin, anche Johnson, tra i leader più vicini a Zelensky, si è dimesso. E, stando al dibattito interno tra i Tories, le ragioni vanno cercate anche nei sondaggi che rilevano un’insofferenza dell’opinione pubblica rispetto a un premier molto impegnato nell’agenda estera, mentre l’economia va a rotoli. Vede il rischio che un fenomeno del genere possa o stia riguardando anche gli altri paesi europei, indebolendo la risposta contro Mosca?
Johnson è stato vittima di se stesso e di un regolamento di conti all’interno del partito conservatore. Questo è l’elemento principale dietro le sue dimissioni, sapendo che la situazione economica e sociale nel Regno Unito non è molto buona. Il caso di Macron è legato ad un’evoluzione dell’opinione pubblica ma con elementi molto nazionali, domestici. Lui ha vinto, ma non ha convito e questo si vede dall’altissimo livello di astensionismo e un voto di protesta populista enorme, con il buon risultato di Melenchon già al primo turno, di Le Pen al secondo turno. Tutto questo è legato a motivazioni economiche, sociali e politiche. Macron è il presidente della Repubblica più odiato dall’estrema destra e dalla destra, dall’estrema sinistra e dalla sinistra, e da tanti ceti popolari. Il caso tedesco è ancora più complesso: la difficoltà di prendere decisioni sull’Ucraina è legata alla dipendenza energetica della Germania dalla Russia, ma anche dal peso della storia. In un paese che ha vissuto il nazismo, responsabile della Seconda Guerra Mondiale, rilanciare la spesa militare è quasi un trauma per l’opinione pubblica e questo si riflette nella prudenza dell’azione di governo del cancelliere Scholz. Il caso italiano è ancora diverso. C’è l’attitudine del Movimento Cinquestelle, c’è una specificità italiana. Già questo governo Draghi, con una propensione internazionale e partiti che pensano soprattutto alle prossime elezioni, è qualcosa di molto specifico dell’Italia. Però ti do ragione sul fatto che siamo in una situazione di grande sofferenza per i cittadini europei per via dei costi dell’energia, l’inflazione su tutti i beni, il costo della vita in generale a causa della guerra. E questo peserà sempre di più sul destino delle democrazie. È il momento in cui Medvedev è tutto contento per le dimissioni di Draghi dopo quelle di Johnson, chiedendosi chi sarà il prossimo e magari sperando che sia Scholz o Macron. C’è una forma di arroganza russa molto forte che porta acqua al mulino – russo e cinese – secondo cui la democrazia in Europa è in declino e il modello di gestione di un paese è il loro: cioè il modello autoritario.
È così? Per colpa della Germania e della sua ossessione per il pareggio di bilancio, l’Ue non riesce nemmeno a liberare i 9 miliardi di prestiti per Kiev. Siamo di fronte ad una battuta d’arresto definitiva, con divisioni interne e un indebolimento generale della coalizione internazionale anti-Putin, o si può recuperare in qualche maniera?
Il quadro è molto complesso. Gli unici governi su cui possiamo ragionare oggi sono quello tedesco e quello francese perché non sappiamo chi sarà premier in Gran Bretagna e che succederà in Italia. Dunque Germania e Francia in prima linea. In Italia è tutto sospeso fino a mercoledì, forse. Ma se l’era Draghi è davvero finita, sicuramente il paese non avrà lo stesso peso in Europa che aveva con l’ex governatore della Bce. La Gran Bretagna non è nell’Unione Europea, ma Johnson aveva dimostrato una fermezza sull’Ucraina molto pronunciata. Dunque, non sappiamo cosa succederà. Scholz continua a essere prudente, mentre Macron ieri, nella consueta intervista per la festa nazionale del 14 luglio, sembrava annunciare il ritorno di un ‘presidente come combattente’, ha assicurato che le riforme saranno varate, che la Francia continuerà a sostenere l’Ucraina in via prioritaria, anche se cercherà vie d’uscita dal conflitto insistendo col dialogo. Sai, in Francia il presidente ha completa libertà sulla politica internazionale che è demandata a lui. Ma, come dicevi, il problema è l’opinione pubblica francese: adesso per i francesi la priorità sono le vacanze, punto e basta, per dimenticare la guerra alla quale si sono abituati, guerra che sembra lontana. Un banco di prova sarà settembre-ottobre, quando la guerra continuerà. E potrebbe essere quello il momento di un grande ritorno degli Usa in Europa, con un maggiore sostegno dell’amministrazione Biden all’Ucraina, soldi e armi, elezioni di midterm permettendo. L’Europa sembra invece avviata a non riuscire ad avere una posizione comune e decisiva. Una sconfitta importante.
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