17 febbraio 2019: SESTA DOPO L’EPIFANIA
Is 56,1-8; Rm 7,14-25a; Lc 17,11-19
Oramai dovreste sapere che il libro di Isaia è composto di tre parti: ognuna di queste è di un autore diverso, vissuto in epoche diverse. La prima parte (i primi 39 capitoli) è attribuita al profeta di nome Isaia, vissuto nell’VIII secolo a.C. La seconda parte (capitoli dal 40 al 55) è attribuita a un profeta anonimo, vissuto nel periodo del post esilio babilonese, quindi dopo il 538, da quando cioè il re persiano Ciro, vinti i Babilonesi, aveva permesso agli Ebrei esuli di tornare in patria. La terza parte (gli ultimi dieci capitoli) è attribuita ad un altro profeta, anch’esso anonimo, vissuto durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520 a.C. in poi).
Eunuchi e stranieri
Il brano di oggi è l’inizio del Terzo Isaia. Il cuore sono i versetti, dal 3 al 7, dove in modo molto originale si dipinge un orizzonte universalistico di salvezza.
Si parla di eunuchi e di stranieri che saranno chiamati a partecipare al nuovo regno.
Bisogna ricordare che secondo la legge del Deuteronomio (23,2-9), gli eunuchi e gli stranieri erano esclusi dal tempio e dal culto di Gerusalemme perché considerati impuri. Ora, con il ritorno dall’esilio babilonese la comunità ebraica aveva al suo interno la presenza di eunuchi, perché assunti al servizio della corte babilonese, prima, e persiana poi. Inoltre i matrimoni misti avevano introdotte figure straniere nel mondo ebraico. Se all’inizio ci fu verso gli eunuchi e i matrimoni misti una chiusura, poi ci sarà qualche apertura, anche se bisognerà arrivare a Gesù Cristo per avere il superamento di ogni preconcetto verso gli handicap e di ogni chiusura razziale.
La storia dell’universalità della paternità divina, per superare l’esclusivismo ebraico (l’idea del popolo eletto è sempre stato il vero handicap), ha avuto un cammino lungo e contorto. Ma la cosa paradossale, contravvenendo alla concezione lineare della storia, secondo cui il progresso è positivamente inarrestabile, in realtà la storia da sempre ha conosciuto involuzioni spaventose: ritorni allucinanti alla barbarie.
Il dio di certe ideologie razziste si rifà alla elezione ebraica, per cui prima c’è la “mia” nazionalità, chissà per quali meriti e privilegi, e poi ci sono le altre nazionalità, di cui ci siamo serviti per sfruttarle e ridurle a pelle e ossa.
Dov’è l’universalità della paternità divina? O, meglio: in che cosa consiste? Forse che Dio ha figli maggiori e figli minori?
L’universalità di Gesù Cristo
Dicevo che bisogna arrivare a Gesù Cristo per avere un’apertura totale della paternità universale di Dio. Possiamo dire che in Gesù Cristo la storia si fa progresso nel senso più pieno del termine: progresso inteso nella sua più totale umanità.
Cadono le barriere e i muri, si spezzano i fili spinati, si aprono i porti, le porte e le finestre, i paesi rifiutano i sindaci poliziotti.
Il brano di oggi parla di alcuni lebbrosi che vengono guariti. Ma non è tanto la guarigione dalla lebbra che interessa all’evangelista Luca, quanto il fatto che dei dieci lebbrosi solo uno è tornato a ringraziare Gesù. Era un samaritano.
Ancora ai tempi di Gesù era forte l’ostilità tra i samaritani e gli ebrei che li consideravano eretici. Gesù stesso proibisce ai suoi discepoli di predicare in terre samaritane, forse perché era venuto per convertire gli ebrei.
Gesù: i samaritani e i pagani
Oltre all’episodio di oggi che vede un samaritano l’unico riconoscente nei riguardi di Gesù, come dimenticare la parabola del buon samaritano, la cui carità è messa in contrapposizione con il culto ebraico, rappresentato da un levita e da un sacerdote che ignorano un malcapitato rimasto vittima di briganti, lungo la strada tra Gerusalemme e Gerico? E come dimenticare il dialogo tra Gesù e la donna samaritana?
Dunque, Gesù prende i samaritani quasi come modelli di riconoscenza, di altruismo e come interlocutori delle sue più sconvolgenti rivelazioni divine.
Ma c’è un altro mondo a cui Gesù guarda con piacere, ed è il mondo dei pagani. Come non ricordare l’episodio del centurione che implora l’intervento di Gesù verso uno schiavo, e del centurione che sotto la croce riconosce in Gesù il Figlio di Dio?
Gesù: i lontani e i poveracci sfortunati
Il discorso va allargato ai lontani e agli sfortunati. Gesù è venuto per tutti, ma in particolare per dire la vicinanza di Dio verso gli ultimi.
C’è sempre una grande parola nel Vangelo, che è di Gesù Cristo, che dovremmo stamparla nel nostro cuore: i primi saranno gli ultimi, e gli ultimi i primi.
Sono parole che sono state diversamente interpretate, anche in riferimento al popolo ebraico e al mondo dei pagani. Ma le parole di Gesù hanno un più ampio orizzonte, e ci fanno capire che c’è gente che al momento non è considerata, ma che sarà poi rivalutata, c’è gente che sta all’ultimo gradino nella considerazione umana, ma che sta ai primi posti nel cuore di Dio.
Dio non vede tanto i vicini, ma i lontani, perché il suo sguardo è infinito: quello di un Padre che apre il suo amore ai più disgraziati. Per usare un’immagine ottica, possiamo dire che Dio può essere miope, ma non presbite.
Gesù non ha mai gradito quelli della prima ora, casomai quelli dell’ultima ora. Pensate alla parabola dei lavoratori a giornata: quelli dell’ultima ora ricevono per primi la stessa paga di quelli della prima ora.
Dio non ha un orario come il nostro: lo regola a modo suo sui battiti del suo cuore. Lui stabilisce chi sono i primi e chi sono gli ultimi, e non tiene conto della razza, della cultura, della nazionalità.
Anche Dio dice: “prima questi e poi gli altri”, ma il suo criterio è all’opposto del nostro. Per il Signore il primo è l’ultimo in graduatoria, e i cosiddetti fortunati o i privilegiati o gli egoisti verranno messi all’ultimo posto.
Per assurdo, se Dio fosse obbligato a scegliere tra un figlio di fortunati occidentali e un figlio di migranti, forse salverebbe per primo il figlio di un migrante che sta per annegare.
Dio è fatto così!
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