Omelie 2019 di don Giorgio: SECONDA DI QUARESIMA

17 marzo 2019: SECONDA DI QUARESIMA
Dt 6,4a;11,18-28; Gal 6,1-10; Gv 4,5-42
Lettura spirituale dei Vangeli
I Vangeli non sono libri di cronache, ovvero narrazioni di fatti e di parole di Gesù Cristo.
Non sono una biografia della vita di Cristo. Una volta si definivano i Vangeli: “facta et dicta memoriabilia vitae Christi”.
Neppure sono scritti storici, se per storia s’intende una serie di racconti oggettivi o veritieri di eventi successi nel passato. I Vangeli, come tutti sanno, sono quattro, e anche gli stessi sinottici (Marco, Matteo e Luca), quando raccontano lo stesso episodio, lo raccontano ciascuno a modo suo: ci sono divergenze anche notevoli. Questo per dire che agli evangelisti non interessava il racconto del fatto in sé.
Ciò che interessa, leggendo i Vangeli, non è il fatto o il detto che viene narrato, ma ciò che sta dietro il fatto o il detto di Gesù. Ecco perché possiamo dire che i Vangeli sono una lettura “spirituale” del ministero pubblico di Cristo.
Giovanni il mistico
Se questo riguarda tutti e quattro i Vangeli, in particolare riguarda il Vangelo di Giovanni che, più degli altri tre, ha letto i fatti e le parole di Cristo come un “segno”, ovvero come una “rivelazione” in Gesù della sua realtà mistica, nascosta nella realtà umana.
I fatti, soprattutto i miracoli, vengono da Giovanni interpretati nel loro significato più profondo. E così il miracolo di Cana non è tanto il racconto della trasformazione dell’acqua in vino, il miracolo del cieco nato non è tanto la restituzione della vista fisica, il miracolo di Lazzaro non è tanto il suo ritorno alla vita fisica.
Tutto è “segno”, ovvero rivelazione di una realtà spirituale, ovvero di qualcosa di inerente al mondo dello Spirito.
Sarebbe il caso di dire: Gesù Cristo non si è incarnato per esprimere solidarietà alla nostra esistenza umana, ovvero per dirci: Sono uno di voi, ma per aiutarci a comprendere che sotto la carne umana c’è un mondo, quello dello spirito, che è di straordinaria essenzialità.
I Vangeli vanno letti in questa ottica, ed è Giovanni, ripeto, che ci aiuta a leggere i fatti e i detti di Cristo nella luce mistica.
Gesù e la donna samaritana
Prima ho citato alcuni episodi scelti da Giovanni (il miracolo di Cana, del cieco nato e di Lazzaro), ma i Mistici medievali si sono soffermati su altri: il colloquio di Gesù con Nicodemo sul tema della rinascita interiore, il dialogo di Gesù con la samaritana sul tema della grazia e dello Spirito santo e infine la morte di Gesù con il dono dello Spirito.
Il terzo brano della Messa di oggi ci ripropone l’incontro di Gesù con la samaritana.
Su questo incontro particolarmente dialettico (c’è un serrato botta e risposta tra i due: Gesù risponde alla donna provocando in lei altre domande) si sono scritti articoli, libri, si sono tenute omelie di ogni tipo, evidenziando diversi aspetti: da quello psicologico a quello pedagogico, moralistico, teologico e mistico.
Ogni aspetto ha una sua importanza, ma non possiamo non cogliere il cuore del dialogo.
Nel dialogo ricorrono due termini che riguardano cose materiali: pozzo e acqua, e ci sono due parole essenziali che riguardano realtà spirituali: grazia e spirito santo.
Giocando quasi sulle parole, Gesù passa dal materiale allo spirituale. Dal pozzo fisico passa al cuore dell’essere umano, dall’acqua alla realtà della grazia, e dalla grazia allo Spirito santo.
La samaritana sul momento non capisce e fraintende, ma Gesù insiste pensando non solo a quella donna, ma a tutti gli esseri umani assetati di grazia e di Spirito santo.
Il pozzo richiama, anzitutto, il fondo dell’anima del nostro essere. Qualche mistico parla di “caverna del cuore”: l’idea di base è la stessa.
Nel fondo, o profondo del nostro essere, c’è un’acqua che zampilla per la vita eterna, ma quanti di noi se ne accorgono? Non ce ne accorgiamo per la semplice ragione che restiamo fuori del nostro essere. Preferiamo prendere l’acqua fuori dal pozzo, le cose che sono all’esterno del nostro essere, e così mangiamo e ci dissetiamo solo di esteriorità, nutrendo sì il corpo, ma lasciando sterile lo spirito.
La Grazia divina
Noi credenti parliamo di grazia, e crediamo che provenga da qualcosa di esteriore: diciamo preghiere e pretendiamo grazie celesti, riceviamo i sacramenti e pretendiamo che automaticamente succeda qualcosa di eccezionale. Si chiede, si pretende, ma la grazia è grazia, ovvero un dono divino. Dio non ci dà nulla di suo, dietro nostre richieste o pretese.
I Mistici parlavano di fare il vuoto dentro di noi, ed è questo il nostro compito: una necessità indispensabile perché Dio poi riempia il vuoto con il dono della grazia, che altro non è che la presenza stessa di Dio.
Noi intendiamo la grazia divina come un insieme di grazie particolari riguardanti la salute, i soldi, il lavoro, la famiglia, ecc. La grazia, ripeto, è la stessa presenza di Dio in noi.
È questa la grazia, a cui allude Gesù nel dialogo con la samaritana. Ecco perché poi passa a parlare di Spirito santo, che va adorato nel nostro spirito più profondo.
Insisto: il pozzo richiama il fondo dell’anima, dove la grazia è il dono dello Spirito santo. Sembra un cerchio magico: pozzo, acqua, grazia e Spirito santo. Non è però qualcosa di chiuso, come se il Divino restasse dentro di noi, e il corpo fosse come un cadavere. La magia divina sta nel coinvolgere il corpo sociale in una radicale trasformazione, dovuta proprio alla scoperta del Divino in noi.
Ad avvantaggiarsi di tale trasformazione non sarà solo il corpo sociale, ma la stessa Chiesa come struttura. Se la struttura della Chiesa è un altro corpo sociale “aggiunto”, allora è una prova che non ha ancora colto il cuore del messaggio di Cristo.
Sembra che la Chiesa, lungo i secoli, non abbia fatto che proporci le sue strutture come gli unici mezzi per la nostra salvezza, dimenticando che Dio è dentro di noi ed è dalla scoperta del Divino in noi che ha origine la salvezza del mondo, e della Chiesa stessa come struttura.
Il dramma della società e dell’essere umano sta nella contrapposizione tra due corpi sociali (Stato e Chiesa), e, ancor peggio, in una loro possibile alleanza, quando invece la salvezza dipende non dal corpo sociale, civile o religioso (il cosiddetto “grosso animale platoniano”), ma dall’interiorità del nostro essere, vera sorgente della grazia divina.

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