Di tutto e di più sulla diocesi milanese…

Di tutto e di più sulla diocesi milanese…

Siamo al solito dilemma: io, tu o… insieme.
Detto con altre parole: “Io ho bisogno anche di te, oppure faccio a meno di te”.
In riferimento alla Diocesi, il cardinale Carlo Maria Martini ripetutamente mi diceva: “La Diocesi ha bisogno anche di te!”, Angelo Scola invece mi diceva: “La Diocesi non ha bisogno di te!”.
E Mario Delpini?
L’enigmatico Mariolino elimina col suo stile sornione gli spiriti critici, o li lascia volentieri a marcire (gli spiriti liberi possono marcire?) in una casa privata, o li “promuove” per altre destinazioni, lontano dal suo cerchio di isolamento egoico maledetto.
In ogni caso, ha attorno 7 vicari episcopali che dire “inutili” è eufemismo di pietà cristiana. Diciamo che sono “servi della nullità”, e col loro silenzio o con la loro collaborazione passiva sono colpevoli di lasciare una Diocesi andare verso il nulla.
Qualcuno dice che una Diocesi va giudicata dal suo pastore e dal suo clero. Sinceramente non ho più parole per valutare la Diocesi milanese, sia per un pastore insulso, trottola di se stesso o di un ego oscenamente diabolico, e per un clero ridotto a rottame, visto che religiosamente appare poco credente e credibile, pastoralmente è tutto fare anche nel senso più pancesco, politicamente si professa in devota e spudorata venerazione della destra più schifosa.
Tutto drammaticamente irrecuperabile? Sembrerebbe di sì, eppure in una diocesi, che si impone per la sua carnalità, si fa di tutto per far apparire oro ciò che è “scadente e scaduto”, mettendo in campo o sfoggiando cultura a iosa da parte di dottoroni, spenti nell’Intelletto divino, ma attivi nel proporre cazzate una più bella dell’altra, puntando sulla visibilità estetica, dialogando con le apparenze istituzionali, coprendo così quella necessità inderogabile che è la sete del Divino, che esige rispetto, attenzione, silenzio, fede.
Il mio cruccio quotidiano è già immaginare come un “grosso animale”, tale appare la diocesi milanese, possa pensare in grande, immergersi totalmente nella Fede più pura (quella evangelica come granello tale da spostare le montagne) e nella Grazia infinitamente abbondante, a cui quotidianamente attingere per rinnovarsi perennemente.
E la mia sofferenza aumenta pensando al “pastore” – provo forti disagi già nell’usare l’immagine giovannea – che pascola se stesso, o il proprio io, in una distesa di sabbia bruciata dalla imbecillità, che gode contemplarsi in qualche stagno di acqua, pensando di essere bello e forte. Dicono che un cardinale, durante una gita in montagna, si fosse fermato davanti a una pozza d’acqua sporca, e avesse detto contemplando la sua immagine: “Così sono io?”.
La cosa assurda è guidare una diocesi, che è la più grande del mondo, e fare a meno di collaboratori “intelligenti”: nessuno di noi basta a se stesso, e tanto meno può, da solo o circondato da collaboratori “ombre”, essere quel “buon pastore” di cui parlava Gesù Cristo. Non mi dilungo sulle caratteristiche del “buon pastore”. Potrei anche fare della poesia inutile o accademica. Ma ci vuole poca immaginazione per capire che i milanesi hanno un pastore “trottola”, che non ama collaboratori intelligenti e perciò critici al punto giusto.
Recentemente un parroco anziano, alla mia domanda: «Come Lei ha potuto fare ciò che ha fatto per abbellire la sua chiesa?», mi ha risposto: «Ho avuto la fortuna di avere attorno a me persone “intelligenti”», e dicendo “intelligenti” non intendeva dire “ossequienti”.
Se perfino il Padre eterno per realizzare il suo Regno vuole dei collaboratori, non certo “cretini”, pur con tutti i difetti di questo mondo, a maggior ragione ciascuno di noi, che non è un padre eterno, non può da solo guidare una diocesi o una parrocchia. Il problema sta nel farsi circondare da persone “intelligenti”, che consigliano per il meglio nel Meglio.
Rimango allibito quando vengo a conoscenza che l’attuale vescovo milanese fa a meno di un Vicario generale (in realtà c’è, però è come un fico secco!), non vuole un segretario (in realtà c’è, ma fa il cerimoniere), non vuole ascoltare i suoi più stretti collaboratori, i Vicari di zona, i quali, dopo qualche timido tentativo, se ne stanno alla larga, eseguendo ciecamente gli ordini del capo supremo, “piccoletto” sì, ma di un ego smisurato tale da innalzare sul trono anche i moscerini.
Non sopporto più questa Diocesi nelle mani di una trottola impazzita, che va ovunque lo si chiami, senza dire una parola eterna. Comparse inutili, vuote, insulse. E la Diocesi soffre, sta male, perché lo Spirito è messo a tacere negli spiriti liberi che, anche nel campo ecclesiastico, dovrebbero essere il sale della sapienza.
Ma perché i preti milanesi non si ribellano?
I motivi sono diversi, tra cui la paura di perdere il posto di lavoro, o di subire le solite ire di un vescovo, che, punto sul vivo, ricorre ai castighi chiamati pedagogici, in vista cioè del ravvedimento del soggetto ribelle. Se così fossero, non avrebbero un tempo indeterminato (così mi aveva detto anche Dionigi Tettamanzi, quando risiedeva a Triuggio). Aggiungo di mio: se i castighi sono perpetui, allora sono vendette, punizioni scriteriate di pastori mentalmente “perversi”.
I preti milanesi non si ribellano, perché a loro sta bene così, ovvero fa a loro comodo avere un vescovo/trottola, perché nelle loro comunità possono fare le cazzate che vogliono.
I preti milanesi non si ribellano, perché…
Vorrei fare una semplice domanda: quanti tra i preti milanesi si sono prostituiti all’ideologia prima berlusconiana, poi leghista, e ora meloniana? Sempre sulla sponda di quella parte politica che si chiama destra, non perché richiama la destra del Padre celeste. Che volete? So che non dovrei cadere in classificazioni ideologiche o di partito, ma non posso immaginare Gesù Cristo, se fosse qui oggi, dalla parte berlusconiana o leghista o meloniana. C’è qualcosa dentro di me come un radicale rifiuto a tutto ciò che sa di sporco, di impudicizia, di razzismo, di falso patriottismo, di populismo, senza usare altri termini che farebbero arrossire le anime più candide.
Io mi chiedo: come posso sopportare un prete che si vende agli idoli del momento? In altre parole, usando un termine biblico dell’Antico Testamento: come posso accettare un ministro di Dio che si prostituisce vendendo ciò che vi è di più sacro, ovvero la dignità dell’essere umano?
Se vi dà fastidio solo sentir pronunciare la parola “sinistra”, vorrei solo dirvi che ci sono scelte che non si possono eludere: agire ovvero secondo quella coscienza che mi impone di stare dalla parte dei più deboli, in nome di quella libertà interiore, frutto dello Spirito, che non mi lega ad alcuna ideologia sovranista, ma che pone la Sorgente dell’essere in cima perché domini su ogni idolo.
Ma come si può pretendere che i preti scelgano la parte giusta, quando manca un punto di riferimento, un faro in diocesi, quando il pastore, per nulla illuminato, è assente, in quanto trottola del proprio vuoto?
Almeno il vescovo avesse attorno a sé un solo Vicario episcopale che fosse una spina nel fianco! No! Almeno i nostri preti soprattutto giovani avessero qualche sostegno “intelligente”, e non psicologi prezzolati che scavano la psiche lasciando lo spirito morire di inedia!
“Tutto da rifare”, direbbe ancora Gino Bartali. Sì, tutto da rifare, ma… da dove iniziare?
NOTABENE
Non c’è giorno che non leggo la notizia del trasferimento di un parroco da una parrocchia a un’altra. Dicono che in questi mesi nella diocesi milanese dovrebbero essere circa una settantina i parroci che cambieranno parrocchia. Rimango sinceramente disorientato, pensando alla inamovibilità dei parroci di una volta e alla facilità con cui oggi, dopo nove o dieci anni, il parroco deve lasciare la propria comunità per andare altrove. È evidente che per tappare i buchi si spostino anche parroci prima dei dieci anni. Una motivazione la si trova sempre.
Ma ciò che mi preoccupa, in una diocesi acefala, è il criterio di tali trasferimenti, talora condizionati dai capricci di alcuni parroci, che vanno a incidere sulla ragionevolezza di certe scelte che vanno a colpire la dignità della persona di parroci che avrebbero bisogno di maggiore attenzione quando vengono spostati.
In poche parole, assistiamo a un caos che colpisce anche e soprattutto la pastorale delle stesse comunità cristiane, che vedono crollare di colpo un cammino di fede già intrapreso. Un parroco che ci ha messo dieci e più anni per dare un certo indirizzo pastorale, viene sconfessato dal successore, che magari dopo una settimana dal suo insediamento rompe tutto, dando un altro indirizzo pastorale, solitamente in peggio.
Per non parlare poi di cose più concrete, per il trasferimento non solo del prete ma anche del suo mobilio. Ogni canonica ha proprie caratteristiche anche strutturali. Da anni sostengo che ogni casa canonica dovrebbe essere già ammobiliata, sia per evitare tempi lunghi per il trasferimento, sia le spese che gridano vendetta al cospetto di Dio. Mi dicono che già il card. Dionigi Tettamanzi abbia dato in proposito precise indicazioni, lasciate però cadere nel nulla. Non sarebbe urgente riprenderle oggi che i trasferimenti si sono moltiplicati? Secondo voi l’attuale vescovo, Mario Delpini, a che cosa pensa, lasciando i Vicari zonali in una totale confusione mentale?
Sarei tentato anche di tirar fuori il problema delle case di cura o le case di riposo per i preti anziani. Altro grosso problema che la nostra Diocesi non ha mai seriamente affrontato.
Infine, già ho parlato, ma tornerò a parlarne, del caso di quei giovani preti diocesani che, dopo qualche anno dall’ordinazione, fanno scelte che mettono in dubbio la loro diocesaneità, mettendosi in pausa in casa privata, o scegliendo altre vie, ritirandosi presso qualche eremo, o andando a fare l’eroe nelle terre africane o sud americane, con il benestare del nostro “piccoletto”, che addirittura elogia i “traditori”.

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