CITTADINI, “ONESTI PER FORZA”, MA CON FURBIZIA

cittadini tasse
Riporto i tre articoli che ho scritto per la pagina Facebook “VOCI CRITICHE DA ‘LA VALLETTA BRIANZA'”
CITTADINI, “ONESTI PER FORZA”, MA CON FURBIZIA/1
Se togliete tutti i fronzoli natalizi, del Mistero divino non rimarrebbe che lo scheletro di una fede rivestita come a carnevale; così, se togliete le feste paesane (ogni giorno il paese è in festa!), non rimarrebbe che lo scheletro di una democrazia, solo pretesa di diritti, ma vuota di doveri.
Il ragionamento dei cittadini è elementare, ed è convincente: “Pago le tasse, dunque pretendo servizi efficienti!”. Ma la vera domanda è: anzitutto, paghi tutte le tasse? O meglio: sì, è vero, cerchi di pagare le tasse, ma non è perché sei costretto, altrimenti andresti nelle rogne? Ne consegue che, se riesci a trovare una maniera per non farti beccare, allora è lecito fare il furbo.
Quando ero teologo e studiavo Morale, erano ancora in vigore le cosiddette “leges mere poenales”? Di che si trattava? Così mi spiegavano: “Esisterebbero delle  leggi, giuste d’altra parte, che, in coscienza, non obbligherebbero i sudditi ad ottemperare alle loro prescrizioni, ma solamente a subire, all’occorrenza, la pena per la loro disobbedienza”. In altre parole: se riesci a fare il furbo, sei a posto anche in coscienza e perciò non commetti alcun peccato, ma se ti beccano, è giusto che paghi la pena. Se ti devi confessare, casomai confessa di essere stato poco furbo!
Non credo che oggi la Chiesa accetti ancora una simile ipocrisia, tuttavia, tra la gente, è rimasto il concetto di fondo: non è peccato fare il furbo, se però mi beccano, allora è giusto che paghi le conseguenze!
È già assurdo che lo Stato ogni giorno inventi qualcosa per evitare le evasioni fiscali, senza però educare la gente ad essere onesta spontaneamente. Se, per ipotesi, uno Stato decidesse di dare assoluta fiducia ai suoi cittadini, dicendo loro: “Cari cittadini, lascio alla vostra coscienza pagare le tasse“, che cosa succederebbe? 
CITTADINI, “ONESTI PER FORZA”, MA CON FURBIZIA/2
Alcuni giustificano l’evasione fiscale (anche nel senso più ampio di non pagare tasse, evitando fatture, ecc.), accusando lo Stato o gli Enti pubblici di esosità oltre la sopportabilità. “Siccome – si dice – le tasse sono esagerate, allora ci penso io a cercarmi una via di mezzo”. E ognuno si crea la propria coscienza fiscale. Comunque la si pensi, questa è la prassi comune.
Lo confesso: anch’io mi sono fatto prendere da questo modo personale di valutare l’opportunità o no di pagare certe tasse, ritenendo ad esempio che l’Iva fosse esagerata, e di conseguenza facevo fare qualche lavoro in nero, valutando a modo mio la media giusta. Ma, nello stesso tempo, mi ponevo il problema se fosse giusto coinvolgere l’onestà dell’altro, ovvero del mio rifornitore, di chi eseguiva lavori ecc.
D’altronde, mettiamoci nei panni dello Stato o degli Enti anche locali, costretti, a causa dei disonesti, ad alzare il livello delle tasse, secondo il criterio del ragioniere, per cui in cassa deve assolutamente arrivare ciò che è stato preventivato. In altre parole, l’onesto deve pagare anche per il disonesto che non paga. Certamente, ciò è ingiusto, ma, invece che prendercela sempre con uno Stato esoso, perché non ce la prendiamo con i disonesti? Se tutti fossero onesti, lo Stato non diminuirebbe le tasse? Credo di sì.
Ma forse c’è un’altra via. Se lo Stato riducesse già la tasse, forse più cittadini sarebbero disposti a pagarle. In ogni caso, qualcosa non funziona: sia nello Stato che nei cittadini. Da dove partire per stabilire una maggiore reciproca fiducia tra Stato e cittadini?
Un dato è certo: ai cittadini italiani manca il senso della democrazia come compartecipazione attiva ai valori del Bene comune, e allo Stato manca il servizio per il Bene comune, al di là e al di fuori di ogni partito ideologico o fede religiosa.
In breve, il Bene comune è solo una bella parola, che salta fuori durante le campagne elettorali, per poi sparire nel pragmatismo di una politica di corte vedute, ed è l’alibi per i cittadini per fare i propri interessi.  
CITTADINI, “ONESTI PER FORZA”, MA CON FURBIZIA/3
Avevo scritto un trafiletto come conclusione delle riflessioni precedenti, ma sono stato a lungo in forse se sottoporlo alla vostra considerazione, in vista di una eventuale obiezione: “Ma questo che c’entra con le tasse?”. Poi mi sono detto: perché rinunciare ad allargare un po’ il discorso, temendo sempre l’opinione pubblica? E che male farei, anche se dovessi scrivere qualcosa che non rientra nella logica comune?
Sì, parlerò dei doveri e dei diritti. Già l’inversione dei termini (solitamente si dice: diritti e doveri) è una prima provocazione nei riguardi di una concezione errata, che ha condizionato, penso fin dalle origini dell’umanità, la vita sociale, tanto più ora che non si parla d’altro che diritti, ed esclusivamente di diritti, da rivendicare su tutti i fronti.
Il diritto è diventato come l’indice del progresso sociale: più diritti conquistati, quindi più progresso di civiltà. Ma è proprio così?
Il diritto che cos’è? Qui sta il punto. Non entro nel difficile, ma vorrei essere sintetico e chiaro, se ci riuscirò.
Semplificando, il diritto è qualcosa di convenzionale, che è stabilito da norme sociali, del passato e recenti. Sì, si parla di diritti civili o umani, ma in realtà i diritti sono frutto di compromessi, più o meno politici, anche dietro pressioni di masse popolari, a loro volta manipolate dall’alto.
Diciamo subito che non esistono diritti senza i doveri. Che cos’è allora il dovere? Se il diritto è qualcosa di convenzionale, il dovere è insito nella stessa natura dell’essere umano. Si chiama dovere perché non sono libero di scegliere se essere o non essere ciò che sono. I doveri, dunque, partono dal nostro interiore più profondo, e si traducono nella nostra vita quotidiana, ma come espressione di ciò che siamo. Può succedere che la società in cui viviamo non ci permette di realizzare al meglio il nostro “dover essere”. La società, cioè, agisce sul nostro egoismo, naturalmente per servire meglio la stessa struttura sociale, parlando di libertà come l’opposto di qualcosa di imposto, che solitamente ha il volto di un dovere. Ed ecco che si è inventato la parola “diritto” in contrapposizione alla parola “dovere”. Ma voi credete che la società accetti il mondo interiore, condannato all’emarginazione come invenzione della religione? E voi credete che la stessa religione abbia colto il segreto dell’essere umano, nel profondo divino? 
Credo che il problema sia anche di tipo terminologico, nel senso che c’è una tale confusione ed equivocità sulle parole da ribaltare la verità, per cui si chiamano diritti i doveri imposti da una società alienata ed alienante, e si chiamano gravosi doveri l’insieme di umiliazioni imposte dalla stessa società dei diritti conquistati.
Non ci rimane che l’unica via: ristabilire la gerarchia, ridando il primato all’essere, che non può essere l’oggetto dei capricci di una società alla ossessiva ricerca di un egoismo sfrenato, in nome di un progresso sociale che creerà sempre un divario tra l’essere, rimasto infantile, e l’avere, come un mostro.  
Mi fermo qui. Ne abbiamo su cui riflettere.   

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