Omelie 2017 di don Giorgio: SESTA DI AVVENTO

17 dicembre: SESTA DI AVVENTO
Is 62,10-63b; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Un personaggio strano e violento
Posso accettare la prima parte del brano del cosiddetto Terzo Isaia, ma non riesco proprio a sopportare la seconda parte, e non solo in questa domenica che precede immediatamente il Santo Natale, che la Liturgia ha dedicato tra l’altro alla Divina Maternità di Maria.
Non tento neppure di giustificare lo strano personaggio che entra in scena, in modo trionfale, con le vesti grondanti sangue per aver stritolato i nemici, così come si pigia l’uva nel torchio. Questa sarebbe la giustizia divina? Questo sarebbe il salvatore atteso?  A questo violento personaggio dovremmo spianare le strade?
Rallegratevi… rallegrati…
Passiamo al brano di San Paolo: inizia con un invito alla gioia. «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi… Il Signore è vicino».
L’Apostolo richiama le parole dell’angelo a Maria: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». Sia San Paolo che Luca usano lo stesso verbo greco: Χαίρετε, rallegratevi; Χαῖρε, rallègrati.
«Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
Soffermiamoci sul brano di Luca. Merita una particolare particolarissima attenzione.
Finalmente la nuova traduzione della Bibbia non traduce più la prima parola dell’angelo, Χαῖρε, con “ti saluto”, ma, secondo il verbo greco, con “Rallegrati”.
L’angelo del Signore non si limita a salutare Maria, ma le sue prime parole sono già un annuncio di gioia. L’annuncio è già qui: la gioia preannuncia la lieta notizia.
“Rallegrati! Ti sto per annunciare un messaggio di gioia”.
C’è di più. L’angelo non chiama la ragazza di Nazaret con il suo nome, Maria, ma le cambia il nome chiamandola “piena di grazia”, in greco κεχαριτωμένη.
In che senso Maria è chiamata “piena di grazia”?
Forse forzo un po’ l’esegesi, ma non credo di essere lontano dalla verità se dico che l’angelo chiama Maria “piena di grazia”, non perché era una ragazza speciale, la favorita del Signore, in quanto, come poi diranno i teologi, è stata preservata dal peccato originale, ma proprio perché concepirà la pienezza della Grazia divina, il Verbo o Logos divino che assumerà la carne umana.
Dunque, gioisci, perché sarai madre del Figlio di Dio, che si incarnerà nel tuo grembo.
C’è di più. L’angelo assicura la presenza del Signore: «Il Signore è con te».
Altro che un semplice saluto di convenienza!
Ci troviamo di fronte a parole, che non potevano non sconvolgere una qualsiasi persona abituata a vivere nella semplicità di un piccolo paese sconosciuto della Palestina. Non dimentichiamo le parole di Natanaele a Filippo: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?».
Comprendiamo allora l’istintiva reazione di Maria alle iniziali parole dell’angelo: un naturale turbamento. Che cosa voleva l’angelo da lei? O, meglio, che cosa voleva da lei il Signore, tramite il suo angelo?
“Entrò da lei”
Contestualizziamo ora il dialogo tra l’angelo e Maria di Nazaret. Per farlo, evitiamo di fare la parte del pittore, che è costretto a restare all’esterno dell’evento, evidenziandone l’ambiente, la casa, gli abiti, i volti, pur con la mano delicata (‘pensiamo al Beato Angelico)  di chi usa i colori più appropriati per rappresentare la scena che ha del divino.
Luca, che pure era un pittore, così dice la tradizione, salta ogni particolare, entra subito nel cuore del Mistero. E lo fa usando un verbo del tutto particolare. Scrive: «(l’angelo Gabriele) entrando da lei disse», in greco: καὶ εἰσελθὼν πρὸς αὐτὴν εἶπεν (e entrando presso di lei disse). Non si parla anzitutto di una casa dove c’era Maria. Il verbo “εἰσελθὼν” deriva da εἰσέρχομαι, che è composto di εἰσ (in, dentro) + έρχομαι (entrare). Dunque, l’angelo, come commenta anche don Angelo Casati, non si è limitato a entrare nella casa dove abitava Maria, ma è entrato nell’essere interiore di Maria. Ed è qui che si è svolto il dialogo. Il pittore Luca rinuncia a dipingere l’evento dal di fuori, ma con un verbo dice tutto, o meglio fa capire dove si è svolto il dialogo tra l’angelo e Maria.
Certo, i pittori fanno il loro mestiere, ma talora esteriorizzano un mistero che dovrebbe mantenere il suo vero contesto, che è quello dello spirito.
Insisto su questo aspetto della interiorità. E lo faccio in ogni omelia. Viviamo in una società dove domina l’esteriorità, la banalizzazione di ogni mistero divino. Pensate al Natale: un vero bagno di banalità, di esteriorità, di iniziative anche lodevoli, ma sempre ai margini del Mistero.
Ciò che è avvenuto nell’essere interiore di Maria, quando l’angelo le ha annunciato la gioia che avrebbe partorito un bimbo, ovvero il Figlio di Dio in carne ed ossa, avviene ogni istante nel cuore di ogni essere umano.
Più che ricordare un evento del passato, che è sempre legato al passato come evento storico, il mistero natalizio si rinnova in ogni essere umano. E non si rinnova una volta l’anno, a Natale, ma sempre. Il vero grosso problema è che neppure a Natale, perciò una volta l’anno, ce ne ricordiamo dal momento che anche il Natale viene vissuto in tutta la sua esteriorità di un evento storico, per di più ambientato in un contesto ancor peggio di quello dei pagani che, se non altro, forse avevano un rispetto maggiore per le loro divinità.
Commenta don Angelo Casati: «Il racconto dell’annunciazione, che è il brano della Messa di oggi, è semplicemente un dialogo, tutto e solo dialogo. Sarà Natale vero, se io e l’angelo ci parleremo. Apri la porta (quella del cuore) e parla con l’angelo. Se no, sarà un natale di carta, niente più che un involucro. Che nasconde vuoto e assenza».
Azzeccata l’espressione “natale di carta”. Carta per confezionare i nostri regali. E dimentichiamo che il vero Dono, quello di Dio, è puro e semplice, non confezionato: è dentro di noi, nel nostro spirito: in tutta la sua nudità o essenzialità.

 

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