Ucraina, l’intervista a Olena Zelenska: «L’invasione di Putin è radioattiva»

dal Corriere della Sera
18 gennaio 2024

Ucraina, l’intervista a Olena Zelenska:

«L’invasione di Putin è radioattiva»

di Marta Serafini
La first lady: come con i danni di Chernobyl, la violenza russa si diffonderà se non è contenuta. Fino al 40% in Europa e negli Stati Uniti soffre gli effetti della guerra sotto forma di stress e ansia
Mentre il marito è di ritorno da Davos dove ha incontrato miliardari, leader, e diplomatici, Olena Zelenska, la first lady ucraina, la first lady di guerra, continua il lavoro a Kiev, nel mirino dei missili di una super potenza nucleare. Agenda fitta, impegni filantropici, spesso accanto al presidente nelle visite di Stato, si è ritagliata un compito ben preciso: essere il volto umano della Bankova . E in questi due anni, tra interviste – la prima su Vogue, discussa perché considerata dai detrattori troppo glamour – impegni pubblici, commemorazioni, non si è risparmiata e ha migliorato le sue capacità comunicative. Calma, pacata, sobria, non troppo giovane e nemmeno troppo agé, Olena potrebbe un giorno trovarsi sul prato della Casa Bianca a stringere la mano a Melania Trump, donna molto diversa da lei. Ma soprattutto, mentre i repubblicani bloccano gli aiuti al Congresso, il suo profilo potrebbe diventare una delle chiavi di volta della sopravvivenza di un governo, quello di suo marito, che naviga in acque tempestose.
«Non voglio che Volodymyr si ricandidi» aveva detto all’Economist in maggio, parole diffuse dal settimanale britannico in un podcast pubblicato poi novembre, dopo che Zelensky aveva annunciato che l’Ucraina non andrà al voto per le presidenziali. Ma in questa intervista, realizzata via mail tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, chiede privacy per i suoi figli e per il suo rapporto con il marito. E chiede che l’interesse del pubblico si concentri maggiormente sulle esigenze degli ucraini, popolo che sta per entrare nel terzo anno di guerra e di cui il mondo si occupa sicuramente meno rispetto ai primi mesi dell’invasione russa.
Non solo gli aiuti statunitensi all’Ucraina. Anche quelli europei sono bloccati, vincolati dal veto ungherese. Perché è vitale che la situazione cambi?
«Rispondo con una metafora. Dopo l’esplosione della centrale di Chernobyl, la comunità internazionale ha stanziato più di un miliardo e mezzo di euro per mettere al sicuro gli impianti. Era chiaro a tutti che nonostante Chernobyl si trovasse su territorio ucraino, le radiazioni avrebbero raggiunto tutti in Europa. Ecco dopo due anni, mi pare sia chiaro: l’invasione russa è come le radiazioni e si diffonderà ben oltre l’Ucraina se non viene contenuta adesso. Proprio come il mondo civilizzato e democratico si ispira al coraggio degli ucraini, le dittature di tutto il mondo si ispirano all’esempio della Russia. Quindi smettere di aiutare l’Ucraina significa accettare la sconfitta della democrazia. Ci piacerà un mondo governato da dittatori? Ne dubito. Se ora l’Ucraina riesce a contenere con successo l’esercito di uno dei più potenti dittatori del mondo, il mondo ha la possibilità di mettere fine a questo. Ma possiamo farlo solo insieme. Solo così tutti gli aggressori e dittatori del pianeta vedranno che la guerra non serve a raggiungere i loro obiettivi. Perché il mondo libero è ancora più forte».
Crede che il mondo si sia stancato delle sofferenze ucraine? E crede sia per questa ragione che è più difficile per il governo di Kiev ricevere supporto?
«Alla vigilia di Capodanno, mentre il mondo intero festeggiava, la Russia ha condotto massicci bombardamenti sull’Ucraina. Hanno tirato in contemporanea contro tutte le città e con tutti i tipi di armi. Di solito lo fanno di notte per demoralizzare i civili. Invece di fare brindisi e auguri, contavamo i morti: 10, 15, 30… A Kiev, i soccorritori hanno ripulito le macerie il giorno di Capodanno. A Kherson, i bombardamenti russi hanno ucciso un ragazzo di 11 anni. Il suo nome era Hlib e la sua famiglia dice che sarebbe potuto diventare un pianista eccezionale perché aveva imparato a suonare il piano e gli piaceva molto… Così è iniziato il nuovo anno a Kherson. Immagina i sentimenti con cui gli ucraini si addormentano e si svegliano ogni giorno da due anni. Immaginati di vivere così: la maggior parte della nostra gente soffre di disturbo da stress post-traumatico».
Lei si è spesa più volte per sottolineare quanto sia grave la sindrome da stress post traumatico sia per militari che per i civili…Cosa è stato fatto per porvi rimedio?
«Stiamo accelerando la formazione di tutti – medici di famiglia, volontari, impiegati di banca e addetti ai trasporti – sui fondamenti dell’assistenza psicologica. Promuoviamo l’auto-aiuto tra la popolazione. Perché in ogni momento ogni persona può diventare testimone e partecipe di qualcosa di grave. L’obiettivo è far sì che questo dolore non spezzi le persone, vogliamo che lo sopportino.E’ una lotta che va condotta, esattamente come si lotta per la propria salute fisica, anche quella mentale è importante. E ancora una volta voglio sottolineare che la salute mentale, come le guerre, non ha confini. Il mondo è globale. Per questo lo scorso settembre ho dedicato interamente il Summit delle First Ladies and Gentlemen al tema della salute mentale. Abbiamo condotto un sondaggio in 11 Paesi. E abbiamo scoperto che fino al 40% delle persone nell’UE e negli Stati Uniti soffrono gli effetti della guerra sotto forma di stress e ansia. Cioè, anche se la guerra non è nel tuo Paese, ciò non significa che non ti avvelenerà. Questo è un altro motivo per cui è importante prevenire le aggressioni dei dittatori nel mondo».
Nel settembre 2022 ha presentato la sua fondazione. Di che progetto si tratta?
«Parto dal giorno in cui la fondazione ha consegnato le chiavi della nuova casa costruita per una famiglia affidataria numerosa. Si tratta di famiglie che adottano fino a 10 bambini e li allevano come propri. Quando è iniziata l’invasione russa, i genitori, Zhanna e Oleksandr, e i loro 8 figli si sono ritrovati nei territori occupati. Hanno vissuto nel seminterrato di una fabbrica locale per 2 mesi, nascondendosi dai bombardamenti, e sono miracolosamente fuggiti dall’occupazione. Tuttavia, hanno perso tutto ciò che avevano. Casa, lavoro, tutto. Trovare casa è difficile per ogni sfollato, ma è ancora più difficile per chi ha 8 figli adottivi. Zhanna e Oleksandr sono la seconda famiglia a cui abbiamo regalato una casa del genere. Avreste dovuto vedere la felicità nei loro occhi, negli occhi dei loro figli. In Ucraina ci sono più di 80 famiglie affidatarie di questo tipo che hanno perso la loro abitazione. E così costruiamo per loro appartamenti grandi, già arredati. E anche con un rifugio antiaereo. Vogliamo sostenere le famiglie affinché, qualunque cosa accada, tutti i bambini abbiano una famiglia e un luogo dove siano amati e in sicurezza. Vogliamo promuovere forme di educazione familiare e incoraggiare ancora più persone a diventare genitori adottivi. Questo è uno dei progetti principali della fondazione in questo momento. Se riassumiamo le nostre attività, possiamo dire che ci impegniamo ad aiutare gli ucraini non solo a sopravvivere, ma a vivere una vita dignitosa. Con speranza. Con opportunità. Con prospettive. Solo quando le persone si sentono supportate oggi credono nel domani. Questa è resilienza. Ecco perché abbiamo scelto di dare priorità al sostegno dell’istruzione e della sanità per la Fondazione. Dopotutto, si tratta di bisogni fondamentali e vitali che nessun aggressore ha il diritto di portargli via. Oggi, solo un terzo dei nostri bambini può studiare a tempo pieno a causa dei bombardamenti russi, quindi stiamo allestendo rifugi nelle scuole in modo che più bambini abbiano diritto a un’istruzione completa e di qualità – come tutti i bambini nel mondo. Certo, è assolutamente atroce che migliaia di bambini nel centro dell’Europa si siedano negli scantinati per continuare gli studi, ma noi ci sforziamo di dare loro almeno questa opportunità. Quindi ora stiamo attrezzando rifugi antiaerei per scuole e asili. Questa è un’opportunità per tornare all’istruzione a tutti gli effetti. I nostri figli vogliono studiare e hanno diritto all’istruzione, proprio come tutti i bambini del mondo. Vogliamo che abbiano una prospettiva e un futuro e ci impegniamo a darglielo. Laddove ora è possibile solo l’istruzione online, c’è bisogno di supporti tecnologici. Ecco perché, dall’inizio dell’invasione, abbiamo distribuito più di 50mila device– laptop e tablet – a insegnanti e alunni. E stiamo supervisionando il restauro di diversi ospedali nei territori liberati. I russi riportarono le città all’età della pietra. Laddove c’erano ospedali moderni con apparecchiature all’avanguardia e sale operatorie, ora ci sono muri bruciati. Stiamo ricostruendo. Vorrei sottolineare che tutto ciò che fa la Fondazione è a spese dei mecenati stranieri. Siamo diventati un ponte tra loro e gli ucraini per aprire la strada a un’assistenza quanto più rapida possibile. E questo «club di aiuto» comprende già persone provenienti da 25 Paesi che si prendono cura di loro. Non mi stanco mai di ripetere quanto sia loro grata. Perché dietro ogni donazione c’è un destino umano. L’opportunità di qualcuno di essere curato. Andare a scuola. Sognare. Grazie e sono sempre disponibile alla collaborazione. Ancora una volta, non si tratta solo di ricostruire l’Ucraina, ma di preservare l’umanità nel mondo così com’è».
Quale messaggio manda alle donne che aspettano i loro mariti dal fronte e alcune delle quali stanno perdendo la speranza?
«Mi permetto una correzione: ci sono anche uomini che aspettano che le loro mogli tornino a casa dal fronte. Ci sono più di 60.000 donne nell’esercito e il loro numero è quasi triplicato negli ultimi anni. Tutte volontarie. Penso che la speranza non ci manchi. È ciò che ci fa andare avanti ogni giorno in cui ci alziamo e speriamo di essere vivi alla sera. È il nostro carburante, la base della nostra resilienza. Senza speranza non esisteremmo più. Facciamo molto affidamento sull’aiuto e sulla comprensione dei nostri partner in tutto il mondo. La nostra speranza dipende anche da voi. E a voi chiediamo di non distruggerla».
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da www. huffingtonpost.it
18 Gennaio 2024

In Italia si polemizza

per l’invio delle armi agli ucraini.

Ma gli ucraini ci salvano Piombino

di Andrea Pira
La multinazionale dell’acciaio Metinvest ha messo sul piatto un investimento di due miliardi di euro per una nuova acciaieria green nella cittadina toscana. L’intesa è fondamentale per la rinascita di Piombino
Alcune indiscrezioni vedono gli ucraini di Metinvest come possibili cavalieri bianchi per il rilancio dell’ex Ilva. Indiscrezioni, però, che hanno poco fondamento. Perché la multinazionale ucraina – che nel suo portafoglio ha l’acciaieria Azovstal, distrutta durante la battaglia di Mariupol dopo l’invasione russa dell’Ucraina e in Italia gestisce la Trametal, a San Giorgio di Nogaro, e la Ferriera Valsider, in provincia di Verona – sta facendo qualcosa di ancora più importante per il sistema siderurgico italiano: entra in pompa magna a Piombino, cove c’è il secondo polo dell’acciaio in Italia.
Assieme a Danieli, il gruppo ucraino ha infatti messo sul piatto un investimento da 2 miliardi di euro, con il progetto di un nuovo impianto verde, basato sul forno elettrico e con l’intento di rilanciare il territorio. Mercoledì 17 gennaio i propositi si sono concretizzati con un protocollo d’intesa siglato assieme al ministero delle Imprese e alla Regione Toscana. Sembra un paradosso: mentre il sostegno militare a Kiev è accompagnato in Italia da continue polemiche e ormai una certa titubanza, ecco che proprio un gruppo ucraino è in campo per salvaguardare uno dei settori chiave e strategici per l’economia nazionale.
Il progetto industriale, spiega una nota del ministero, ha come obiettivo finale “la costruzione, la proprietà, l’esercizio e la manutenzione di un impianto ambientalmente sostenibile per la produzione di prodotti finiti di acciaio ottenuti dalla trasformazione di materiali ferrosi in coils laminati a caldo soggetti ad ulteriori lavorazioni, da realizzare a Piombino su una superficie di circa 260 ettari”. Acciaio green quindi, ciò che si attendeva potesse arrivare dall’investimento di ArcelorMittal nell’ex Ilva, quando il gigante franco-indiano, primo operatore al mondo nella siderurgia se si escludono i player cinesi, vinse con 1,8 miliardi la gara per rilevare la società dall’amministrazione straordinaria.
L’intesa prevede uno studio coordinato di fattibilità per valutare “le condizioni di stabile e duratura operatività del polo e a valorizzare le potenzialità industriali e produttive del territorio, privilegiando le soluzioni più compatibili con l’ambiente urbano”. L’iniziativa dovrà infatti convivere con Jindal. Gli impianti affiancheranno infatti l’ex acciaieria Lucchini, oggi Jsw Steel Italy e in capo al gruppo indiano cui sarà chiesto di liberare la concessione demaniale scaduta per consentire l’insediamento del nuovo impianto. Della possibilità di una coabitazione ha parlato il ministro delle Imprese, Adolfo Urso.
“Ci auguriamo che anche l’altro progetto di investimento di JSW Steel Italy possa procedere viste le interdipendenze e possibili complementarietà tra la produzione di acciai piani (da parte di Metinvest) e lunghi (da parte di Jsw)”, ha commentato il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani.
L’intesa è considerata un patto per la rinascita della città. L’investimento non era inizialmente pensato per la Toscana. Sarebbe dovuto essere in Friuli, regione dove Metinvest già è attiva e dove, a Buttrio in provincia di Udine, ha sede Danieli. L’operazione è però saltata per l’opposizione di gruppi ambientalisti e comitati locali. Per rendere sostenibile il progetto si sarebbe dovuto collegare l’impianto a una banchina attrezzata per far arrivare navi merci con una portata di almeno 20mila tonnellate. Si pensò quindi dragare un canale di accesso e la Regione si disse pronta a mettere 10 milioni di euro per la bonifica di un sito industriale dismesso e altri 80 milioni per lavori sul porto. Alla fine tutto è saltato e l’attenzione si è spostata verso Piombino da tempo alla ricerca del rilancio.
Piombino è uno dei quattro poli assieme a Taranto, Terni e alle acciaierie del Nord sul quale il governo intende costruire il proprio piano siderurgico. Mercoledì 17, prima della sigla del memorandum con Metinvest, il ministro Urso ha avuto un confronto sul tema con Gianpiero Benedetti, presidente del gruppo Danieli. Oggi è stato il giorno del faccia a faccia con Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e in predicato per una candidatura alla guida di Confindustria, nonché numero uno di Duferco, gruppo è fresco di un recente investimento strategico da 250 milioni per il più grande laminatoio travi d’Europa. E dopo Gozzi la discussione è stata intavolata con i rappresentanti dei Jindal, sia su Piombino sia sul futuro della siderurgia italiana in generale, ora alle prese con il destino dell’ex Ilva. Il governo ha preparato le condizioni per il commissariamento di Acciaierie d’Italia, come è chiamato ora il gruppo dell’acciaio, e per il passaggio in maggioranza di Invitalia, socio pubblico oggi al 38%, tagliando fuori i Mittal. Una crisi che va avanti da anni e che in queste ore sta cercando una soluzione.

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