«Caro Francesco…». Le “donne dei preti” scrivono al Papa

preti sposati
Già l’ho detto più volte: il celibato dei preti non è un comandamento evangelico, ma semplicemente una istituzione ecclesiastica. Per varie ragioni, di carattere esclusivamente pratico, la Chiesa a un certo punto ha stabilito come obbligo il celibato per tutti i suoi ministri. Naturalmente, per avallare le motivazioni di carattere pratico, ha pensato bene di tirar fuori  motivazioni teologiche e ascetiche. Non sto mettendo in dubbio la validità di alcune di queste motivazioni diciamo di carattere pastorale. La famiglia può creare dei vincoli, ecc. ecc.
Dico solo che è giunto il momento in cui la Chiesa riveda la sua posizione sul celibato dei preti. Deve lasciare libertà: se un prete vuole sposarsi, si sposi; se uno vuole rimanere celibe, lo faccia. Ma senza tirare in ballo la virtù della castità o altro. Tutto qui. Potrei, comunque, aggiungere che non si può mettere a confronto in modo esclusivo il celibato e l’amore per un uomo o per una donna. E se devo dire la mia in tutta schiettezza, l’amore umano non ha confronti.
da Vatican Insider
17/05/2014

«Caro Francesco…».

Le “donne dei preti” scrivono al Papa

La lettera di 26 firmatarie italiane «coinvolte sentimentalmente con un sacerdote o religioso»: si appellano a Bergoglio e gli chiedono di rivedere la legge sul celibato
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
«Caro Papa Francesco, siamo un gruppo di donne da tutte le parti d’Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d’amore con un sacerdote, di cui è innamorata». Inizia così la lettera firmata (con il solo nome di battesimo più l’iniziale del cognome o la città di provenienza, ma nella raccomandata inviata in Vaticano c’era un cognome e c’erano recapiti telefonici) da 26 donne che affermano di vivere relazioni sentimentali con dei preti. Le firmatarie di definiscono «un piccolo campione» ma affermano di parlare a nome di tante che «vivono nel silenzio».
«Come tu ben sai – si legge nella missiva – sono state usate tantissime parole da chi si pone a favore del celibato opzionale, ma forse ben poco si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell’innamoramento. Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa».
«Noi amiamo questi uomini, loro amano noi – scrivono le 26 donne – e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del “non pienamente vissuto”. Una continua altalena di “tira e molla” che dilaniano l’anima. Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l’abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta».
«Nel primo caso la forte situazione con cui la coppia deve scontrarsi viene vissuta con grandissima sofferenza da parte di entrambi: anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente, che possano restare al servizio della comunità, a svolgere la missione che per tanti anni hanno svolto con passione e dedizione, rinvigoriti adesso ancor di più dalla forza vitale dell’amore che hanno scoperto insieme a noi, che vogliamo sostenerli e affiancarli nel loro mandato».
«Nel secondo caso, ovvero nel mantenimento di una relazione segreta – si legge ancora nella lettera – si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio, che non può esistere alla luce del sole. Può sembrare una situazione ipocrita, restare celibi avendo una donna accanto nel silenzio, ma purtroppo non di rado ci si vede costretti a questa dolorosa scelta per l’impossibilità di recidere un amore così forte che si è radicato comunque nel Signore».
Secondo le firmatarie, il servizio totale «a Gesù e alla comunità» sarebbe svolto «con maggiore slancio da un sacerdote che non ha dovuto rinunciare alla sua vocazione all’amore coniugale, unitamente a quella sacerdotale, e che sarebbe anche supportato dalla moglie e dai figli». Le 26 donne si appellano al Papa chiedendo di essere da lui convocate «per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze, sperando di poter attivamente aiutare la Chiesa, che tanto amiamo, verso una possibile strada da intraprendere con prudenza e giudizio». «Grazie Papa Francesco! – così si conclude la missiva – Speriamo con tutto il cuore che tu benedica questi nostri Amori, donandoci la gioia più grande che un padre vuole per i suoi figli: vederci felici!!!».
Com’è noto Bergoglio, da cardinale di Buenos Aires ma anche nei primi mesi di pontificato fino alla morte della donna, avvenuta nel novembre scorso, si era mantenuto in contatto con Clelia Luro, la vedova dell’ex vescovo Jerónimo Podestá. Nel 2000, l’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio aveva assistito Podestá sul letto di morte. Nel 1966 Podestà, quarantacinquenne vescovo della diocesi di Avellaneda, aveva incontrato Clelia – all’epoca trentanovenne, separata e madre di sei figlie – iniziando con lei una relazione che lo avrebbe portato ad abbandonare l’episcopato nell’anno successivo. Nel 1972 era stato dimesso dallo stato clericale e aveva sposato la donna.
Ciononostante, Bergoglio non si è mai espresso in favore della cancellazione della tradizione latina del celibato. Nel dialogo con il rabbino Abraham Skorka pubblicato nel libro «Il cielo e la terra», aveva detto: «È un tema che viene discusso nel cattolicesimo occidentale, su sollecitazione di alcune organizzazioni. Per ora si tiene ferma la disciplina del celibato. C’è chi dice, con un certo pragmatismo, che stiamo perdendo manodopera. Se, per ipotesi, il cattolicesimo occidentale dovesse rivedere il tema del celibato, credo che lo farebbe per ragioni culturali (come in Oriente), non tanto come opzione universale».
«Per il momento – continuava Bergoglio – io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori… La tradizione ha un peso e una validità. I ministri cattolici scelsero gradualmente il celibato. Fino al 1100 c’era chi lo sceglieva e chi no… è una questione di disciplina e non di fede. Si può cambiare. Personalmente a me non è mai passata per la testa l’idea di sposarmi».
Quello che il futuro Papa non tollerava, era la doppia vita dei sacerdoti. «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna, io lo ascolto – diceva Bergoglio nel dialogo con il rabbino – cerco di tranquillizzarlo e poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha anche diritto ad avere un padre con un volto. Io mi impegno a regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono, altri no. Alcuni purtroppo non vengono nemmeno a dirlo al vescovo». Correggersi, per Bergoglio significa «fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità. A volte dico loro: “Se non sei in grado di sopportarlo, prendi una decisione”».
A proposito del celibato non si deve dimenticare che, pur senza cambiare la posizione tradizionale, ribadita dai predecessori e dai Sinodi dei vescovi, Benedetto XVI nel novembre 2009 ha aperto un nuovo spiraglio, seppure circoscritto alle comunità anglicane decise a entrare nella comunione cattolica. Com’è noto, con la costituzione apostolica «Anglicanorum coetibus» Papa Ratzinger in quell’anno istituiva gli Ordinariati anglo-cattolici. Nel secondo paragrafo dell’articolo 6 della costituzione, dopo che in precedenza si era ribadita la regola del celibato per il futuro, il Pontefice tedesco stabiliva la possibilità di «ammettere caso per caso all’ordine sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede».
In ogni caso, come risulta anche dalla prassi delle Chiese ortodosse e delle Chiese orientali in comunione con Roma, non si è mai trattato di concedere al prete ordinato la possibilità di prendere moglie, ma soltanto di ammettere al sacerdozio (mai all’episcopato) uomini già sposati.

 

10 Commenti

  1. Valentina ha detto:

    Per Giobatta (messaggio del 22 maggio 2014 alle 14:30): Abbia rispetto anche per le persone di cui non condivide le opinioni. Non mi pare che qui ci sia un unico commento intelligente, io ne ho trovati altri molto sensati e interessanti. Il fatto che lei non li condivida non l’autorizza a disprezzarli.

  2. dottginkobiloba ha detto:

    in alcune comunità cattoliche mediorientali (per es. i maroniti) ci sono preti sposati, ma attenzione, delle persone sposate possono diventare prete ma i preti “già fatti” non possono sposarsi come mi pare di capire sia il caso di questo articolo

  3. Valentina ha detto:

    Sono completamente dalla parte di queste “donne dei preti”, capisco e condivido le loro motivazioni e spero che il loro appello sia ascoltato. Sono favorevole al matrimonio dei sacerdoti.

  4. dottginkobiloba ha detto:

    ma la possibilità di sposarsi dovrebbe valere solo per i preti o anche per monaci e suore ? magari di clausura ?

  5. Paolo ha detto:

    Uno stralcio di una intervista a Stefano Sodaro, redattore di “Mosaico di pace”, il mensile promosso da Pax Christi. La tesi, discussa nell’ottobre scorso (relatore Giovanni Minnucci), è diventata un libro, “Keshi. Preti sposati nel diritto canonico orientale” (con prefazione di p. Dimitri Salachas, docente di diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale e consultore della Congregazione vaticana per le Chiese orientali), edito da FPE – Franco Puzzo Editore di Trieste.
    Domanda: In conclusione, che cosa pensa del celibato nella Chiesa d’Occidente?
    Risposta: Guardi, le risponderò con estrema franchezza: considero il celibato abbracciato come scelta volontaria un grande dono di Dio. Dilatare il proprio cuore fino a considerare ciascuno come propria carne, come proprio sposo, propria sposa, è una dimensione di sconvolgente bellezza. E questo fa il monachesimo cristiano di tutti i tempi e di tutte le latitudini, secondo il quale, come afferma Evagrio Pontico, “il monaco è separato da tutti ed unito a tutti”. Se anche il celibato sacerdotale è vissuto così, non vedo quale sia il problema, anzi, ripeto, si tratta secondo me di una immensa ricchezza. Se però il celibato è soltanto obbedienza di tipo giuridico ad una norma canonica, allora esso inevitabilmente manifesterà i segni di una menomazione esistenziale che avrà terribili ricadute di ordine psicologico, sociologico e pastorale. Riconsegniamo allora il celibato alla sua matrice monastica, che è, a mio parere, la sua matrice più pura e consideriamo, proprio in quest’ottica, che le Chiese orientali ci presentano una duplice figura di presbitero: lo “ieromonaco”, cioè il prete monaco, il prete celibe, che, in quanto celibe, ha compiuto appunto un’opzione monastica, ed il prete sposato, che ha intrapreso un’altra strada. Per quanto mi risulta non c’è polemica, in Oriente, sulla compresenza di queste figure sacerdotali. E poi, se posso permettermi, mi piacerebbe che si riscoprisse quanto insegna il Vaticano II, al n. 16 del Decreto Presbyterorum Ordinis: il celibato, sebbene risulti particolarmente confacente alla vita presbiterale di dedizione alla causa del Regno dei cieli – che è una causa rivoluzionaria, come ci insegnano i teologi del Sud del mondo -, “non è richiesto dalla natura stessa del sacerdozio, come dimostra la prassi della Chiesa primitiva e la tradizione delle Chiese orientali, presso le quali, accanto ai vescovi che sono tutti celibi, esistono eccellenti presbiteri coniugati”. Questo è il Vaticano II, non il pamphlet di qualche polemista. Ma forse il Concilio conosce un periodo di indebita sottovalutazione: è compito di noi tutti ricollocarlo al centro della vita ecclesiale. Senza il Vaticano II, quale Chiesa avremmo oggi?

    Lunedì, 14 aprile 2003

  6. Paolo ha detto:

    La migliore risposta l’ha già data la Chiesa cattolica da centinaia di anni: i preti cattolici della Chiesa bizantina possono sposarsi, perchè no gli altri?

  7. Giuseppe ha detto:

    Credo che il miglior commento sia contenuto nella presentazione che ha fatto don Giorgio. Certo l’argomento è stimolante e già più volte lo abbiamo affrontato su queste pagine, ma mi sembra superfluo versare altri fiumi di inchiostro e cascate di parole, quando il nostro padrone di casa è stato così efficace nella sua sintesi iniziale.

  8. Edoardo ha detto:

    E dai! Ogni tanto si tira in ballo il celibato dei preti.
    Quando io mi sono sposato in Chiesa sapevo che il mio matrimonio religioso sarebbe stato indissolubile. Potevo rifiutarmi di considerare questa clausola e sposarmi civilmente ma poi l’ho accettata liberamente e per coerenza ho mantenuto l’impegno.
    Ebbene, quando i preti hanno accettato la consacrazione sapevano dell’impegno alla castità e l’hanno liberamente accettata. Non dico che questa condizione non sia criticabile, ci mancherebbe altro, ma chiedere che venga eliminata “tout-court” mi sembra molto superficiale.
    Quando si fa una promessa la si onora, Ordine o Matrimonio è indifferente.

  9. GIANNI ha detto:

    Ampiamente dibattuta, anche su queste pagine, la questione meriterebbe diversi approfondimenti, anche teologici e culturali, ma probabilmente questi non interessano a tutti.
    Mi pare invece interessante come l’articolo potrebbe rinviare anche ad altri temi, direttamente o indirettamente collegati a quello principale.
    Anche per dare ordine alle mie riflessioni, mi impongo un piccolo indice:
    l’amore ed i rapporti umani
    la scelta
    la posizione del papa

    Personalmente, credo che non si possa fare un confronto tra la dimensione umana e quella che io definisco dimensione metafisica, se non si è avuta un’esperienza diretta di entrambe.
    Come talora dico, anche se poche volte, discendendo, forse questa è la causa, in linea maschile da una famiglia che ha sempre avuto esperienze di questo tipo(anche per scelta, un mio antenato era sacerdote esorcista), anche a me, senza peraltro aver particolari meriti, sono capitate.
    Non intendo dettagliarle, ma solo spiegare che paragonandole, per quanto un paragone possa non dire nulla, oserei davvero dire che qualsiasi rapporto umano è nulla, sia esso catalogabile come amore o altro, rispetto a quella che è un’esperienza metafisica.
    Forse è per questo che coloro che si definiscono mistici non hanno davvero difficoltà a tralasciare i rapporti umani.
    Anche coloro che, intellettualmente, sono più vicini a questo mondo, in quanto ecclesiastici, possono, credo, avere solo una lontana idea di cosa sia questa dimensione.
    Ma di questo mi sono nel tempo reso conto non solo direttamente, ma anche tramite esperienze di altri.
    In particolare di coloro che stavano morendo, con il cosiddetto corpo spirituale già distaccatosi da quello materiale,e poi tornati in vita.
    Mentre se ne stavano andando verso quello che viene rappresentato, tradizionalmente, come paradiso,hanno provato una tale dimensione, che per loro il ritorno al nostro mondo è stato vissuto con dolore.
    Ed anche intervistati a distanza di tempo, paragonando l’esperienza terrena anche comprensiva dei rapporti umani,hanno detto di aver vissuto con rimpianto il ritorno al nostro mondo, segno che forse anche questi rapporti sono deludenti, al confronto.
    Credo, quindi, vi sia molto di illusorio in questi, quanto meno al confronto con una dimensione, che certo per il sacerdote idealmente rappresenta un interesse prioritario.

    LA scelta: credo,anticipando un punto successivo,molto sagge le parole del papa.
    L’uomo sempre si trova di fronte ad una scelta, non solo il sacerdote.
    E credo che queste parole possano trovare applicazione in diversi ambiti.
    Molti, troppi, cercano di fare scelte di comodo, quando certe situazioni richiederebbero scelte radicali.
    Qualche esempio: è pronto il medico che affronta la sua attività come missione a sacrificare altri interessi,magari studiando anche fino a notte fonda, per capire se talune patologie possano trovare qualche rimedio?
    E’ pronto un avvocato a non limitarsi ad assistere, ma far realmente sue le posizioni dell’assistito, e se durante il giorno è impegnato in tribunale, a studiare sino a notte fonda per cercare ulteriori soluzioni?
    E’ pronto un concertista d’organo a farsi chiudere in una chiesa e provare e riprovare, fin tanto che senta che la sua prossima esecuzione darà qualcosa in più?
    Il tutto, anche a costo di rinunciare a cose e rapporti terreni,umani?
    In generale, molte attività sono forse da vedere come missioni, non solo quella sacerdotale, ma esiste una scelta: farne un semplice mestiere, o farne una missione.
    Ma non esiste missione che non richieda sacrificio.
    All’uomo la scelta.
    In campo sacerdotale, peraltro,di scelte ne esistono molteplici, più che in altri ambiti.
    Si può scegliere non solo di essere sacerdoti o meno.
    Si può anche decidere di essere sacerdoti in una chiesa riformata, che non impone il celibato.

    Posizione del papa:
    in coerenza con la tradizione, sottolinea egli stesso l’importanza di una scelta.
    E a questo proposito, sottolineo, ancora una volta, come il cattolicesimo ha nel suo dna talune caratteristiche, a partire dal ruolo della dottrina, della tradizione, ed altri aspetti complementari.
    E’ quindi ovvio che chi cerca una teologia, anche riferita al tema del sacerdozio, solo in un rapporto diretto con i testi sacri, non deve guardare al cattolicesimo, ma ad altre religioni o confessioni, magari ad una di quelle chiese riformate, che non riconoscono dottrina,nè autorità dottrinale,pur credendo ad un altro fondamentale principio del cattolicesimo, quello del libero arbitrio.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*