Moro: 9 maggio 1978-2025

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Moro: 9 maggio 1978-2025

9 maggio 2025
di: Agnese Moro
Richiesta di un ricordo del padre Aldo Moro – ucciso dalle brigate rosse il 9 maggio 1978 – Agnese mette a disposizione dei lettori un capitolo del suo volume Un uomo così. Ricordando mio padre, BUR 2013 (qui). Risulta l’attualità delle parole e dell’intera vita dello statista, uomo credente.
Mi rendo conto di avere cercato, accanto ai bivi, i fili conduttori della esistenza di mio padre, Aldo Moro, quelli che, al di là, della dimensione della fede, hanno orientato e definito la sua vita.

Penso che la ricerca della pace sia stato il primo filo conduttore della sua vita, come quella di altri grandi personaggi che hanno agito in quella che gli storici chiamano “l’era della grande distensione”.

La costruzione della democrazia avverso il fascismo

Il secondo filo conduttore è la costruzione della democrazia, dopo il «deserto del fascismo». Elementi importanti su quale sia la democrazia alla quale pensa, lo possiamo capire dal discorso che fece il 13 marzo 1947 alla Assemblea Costituente (qui).
Il primo elemento che caratterizza quel particolare tipo di democrazia che è la Repubblica Italiana riguarda la natura della base comune sulla quale costruire la vita democratica.
«Divisi – come siamo – da diverse intuizioni politiche, da diversi orientamenti ideologici, tuttavia noi siamo membri di una comunità, la comunità del nostro Stato e vi restiamo uniti sulla base di un’elementare semplice idea dell’uomo, la quale ci accomuna e determina il rispetto reciproco degli uni verso gli altri. […] Mi sembra che questo elementare substrato ideologico nel quale tutti quanti noi uomini della democrazia possiamo convenire, si ricolleghi appunto alla nostra comune opposizione di fronte a quella che fu la lunga oppressione fascista dei valori della personalità umana e della solidarietà sociale. […]
Guai a noi se […] dimenticassimo questa sostanza comune che ci unisce e la necessità di un raccordo alla situazione storica nella quale questa Costituzione nasce in un momento di agitazioni e di emozioni. Quando vi sono scontri di interessi e di intuizioni, nei momenti duri e tragici, nascono le Costituzioni che portano il segno caratteristico di questa lotta. Non possiamo, se non vogliamo fare della Costituzione uno strumento inefficiente, prescindere da questa comune costante rivendicazione di libertà e di giustizia. Sono queste le cose che devono essere alla base della nostra Costituzione».
Un secondo elemento riguarda quelli che devono essere i pilastri della Repubblica Italiana: «Occorre che ci sia una precisazione intorno ad alcuni orientamenti fondamentali che storicamente caratterizzano la repubblica italiana. […] Questi pilastri, sui quali mi pare che posi il nuovo Stato italiano, sono: la democrazia in senso politico, in senso sociale ed in un senso che potremmo chiamare largamente umano».
Ecco come descrive la democrazia in senso politico: «Richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi sul secondo comma dell’articolo 1, “La sovranità emana dal popolo ed è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi”. […] A me pare che la formula […] serve bene a individuare l’appartenenza della sovranità in senso lato, cioè l’esercizio dei poteri politici, dei poteri di direzione della cosa pubblica in un regime democratico di tutti i cittadini, che sono, in quanto popolo, in condizioni fondamentali di eguaglianza nell’esercizio di questi poteri ed hanno la possibilità di determinare, mediante il loro intervento, la gestione della cosa pubblica nel senso più conforme all’interesse collettivo».
Ed ecco la democrazia in senso sociale: «Vengo ora all’altra parte dell’articolo 1: “la Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. […] Questo il senso della disposizione: un impegno cioè del nuovo Stato italiano di proporsi e di risolvere nel modo migliore possibile questo grande problema, di immettere sempre più pienamente nell’organizzazione economica e politica del Paese quelle classi lavoratrici, le quali, per un complesso di ragioni, furono più a lungo estromesse dalla vita dello Stato e dall’organizzazione economica e sociale […] indicando come meta di notevole importanza nella costruzione del nuovo Stato questa, cioè di dare accesso in modo reale, pieno e costruttivo, alle forze lavoratrici nella vita del nostro Paese».
E la democrazia in senso umano: «Abbiamo detto che occorre definire il volto del nuovo Stato in senso politico. In senso sociale, in senso largamente umano. L’articolo 6 riguarda quest’ultimo punto. Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità. La libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali essa integra la propria personalità. […] Vorrei proporre qui non il problema scientifico del pluralismo giuridico, ma il problema del pluralismo pratico e politico, ricordando, ancora una volta, perché siamo ancora sotto l’azione degli insegnamenti che ci vengono dalla tirannide donde siamo usciti, ricordando ancora le lunghe, dure, compressioni non soltanto della dignità della persona direttamente considerata, ma della dignità della persona considerata nelle formazioni sociali nelle quali essa si esprime e si compie. […]
Certamente la rivendicazione della libertà della persona, della autonomia delle formazioni sociali, della democraticità e socialità dello Stato, sono rivendicazioni che noi facciamo di fronte al fascismo e contro il fascismo: sono quelle da cui emergiamo per costruire un avvenire più degno. Ma non sono soltanto una motivazione – onorevoli colleghi – esse sono davanti a noi come mete da realizzare. […]
Abbiamo bisogno, perciò, di questo sicuro criterio di orientamento, per una lotta che non è finita adesso e che non può finire, lotta per la libertà e la giustizia sociale». Credo che l’attività politica e di governo di papà sia stata proprio legata a fare in modo che quei pilastri della democrazia diventassero qualcosa di effettivo per tutti gli italiani.
Lui stesso, riassumendo l’impegno che l’ha visto coinvolto nei primi trenta anni della vita repubblicana ha detto: «via via, nel corso di questi trent’anni, un sempre maggiore numero di cittadini e gruppi sociali, attraverso la mediazione dei partiti e delle grandi organizzazioni di massa che animano la vita della nostra società, ha accettato lo Stato nato dalla Resistenza. Si sono conciliati alla democrazia ceti tentati a volte di suggestioni autoritarie e chiusure classiste. Ma, soprattutto, sono entrati a pieno titolo nella vita dello Stato ceti lungamente esclusi, grandi masse di popolo, guidate dai partiti, dai sindacati, da molteplici organizzazioni sociali che oggi garantiscono esse stesse quello Stato che un giorno considerarono con ostilità, quale irriducibile oppressore».
L’entrata in gioco di «ceti lungamente esclusi», il loro contare politicamente, il loro indicare delle priorità programmatiche non era forse l’intenzionalità dell’esperienza del centro-sinistra degli anni Sessanta?
Sostenere la democrazia – e con essa la pace – è stato anche uno dei suoi impegni per quanto riguarda la politica estera. Basta pensare all’attenzione che diede alle nuove democrazie nate dalla decolonizzazione. Anche nei rapporti tra Stati gli elementi del consenso e della uguaglianza – Paesi maggiori con lo stesso peso dei Paesi minori – sono punti imprescindibili per la distensione e la pace. In questo ambito l’Italia – «una piccola potenza ma un grande Paese» – è di estrema importanza.

La ricerca della libertà nella necessità

Il terzo filo conduttore è quello del legame tra necessità e libertà che papà ha bene riassunto in un passaggio del discorso di Benevento del novembre 1977: «anche nella necessità si può essere liberi, cioè si può essere convinti di fare qualcosa di utile: e non si sta lì, forzati, ma si cerca, di ritrovare qualche cosa di utile per il Paese, e di capire e di farsi capire, perché anche nella necessità qualcosa di utile può emergere».
Mio padre non si nascondeva nulla della realtà, né gli elementi negativi, né positivi. Non c’era in lui nessuna forma di semplificazione, di approssimazione, nessun occhiale ideologico a mascherare i fatti. È un tratto molto evidente nei suoi discorsi, nei quali vengono sempre descritte le situazioni, con le loro potenzialità e con i loro rischi; le varie possibili iniziative con ogni loro pro o contro; gli elementi strategici e le convinzioni ideali alle quali si fa riferimento; gli attori in gioco nell’ambito nazionale e internazionale.
Egli ha vissuto in un’epoca di grandi necessità e di grandi costrizioni e vincoli. Il fascismo, la Seconda Guerra Mondiale, la liberazione dell’Italia, la nascita della Repubblica; i pilastri e le regole della comune vita democratica da costruire, da formalizzare, da far agire; l’appassionamento e il coinvolgimento di tutti i partiti e di tutti i ceti nella vita politica e civile; la guerra fredda; la fine del colonialismo; la nascita dei nuovi Sati del Terzo Mondo; il conflitto medio-orientale; il ritorno e la fine delle dittature in Europa; la nascita delle Comunità Europee; i nuovi rapporti con gli Stati Uniti; il controllo degli armamenti; la crisi petrolifera; il terrorismo. Avvenimenti tutti che lo hanno visto protagonista e all’interno dei quali egli si è sempre comportato da persona libera.
Ecco, dunque, il secondo elemento: la libertà. Per Aldo Moro essa è la condizione da favorire, da rendere possibile, da garantire. È anche lo strumento con il quale si realizza appieno la vocazione di grandezza degli esseri umani. È una dimensione fondamentale in base alla quale si ha la facoltà di scegliere, e magari anche di fare il male. Nella sua accezione di liberazione e auto-liberazione, poi, la libertà è il senso di marcia e il segno dello sviluppo della storia dell’umanità che la politica – e la DC in maniera particolare quale grande partito popolare – doveva aiutare e sostenere.
Libertà, nel suo senso più pieno, per il Moro credente, è poi la condizione che caratterizza l’umanità liberata da Cristo, con la sua incarnazione, morte e risurrezione. È dalla libertà – e dalla verità che l’accompagna – che mi sembra papà abbia tratto la forza di cercare e di trovare soluzioni nuove alle diverse situazioni e necessità che la storia pone.
Penso che Aldo Moro sia stato un uomo libero sempre, anche nei giorni della sua prigionia nel carcere delle brigate rosse. Credo, anzi, che nella minuscola cella in cui era rinchiuso in quei terribili giorni, egli sia stato più libero di tutti noi. E che non sia stato lì forzato, ma che abbia cercato di «ritrovare qualche cosa di utile per il Paese e di capire e di farsi capire perché anche nella necessità qualcosa di utile può emergere»: qualcosa di utile come capire chi sono i terroristi, le forze in gioco nella vicenda, pulire il nostro futuro, evitare altre terribili e inutili morti.

Il radicamento nella fede

Il quarto filo conduttore è quello della capacità di coniugare un profondo radicamento in una dimensione di fede e una altrettanto profonda laicità. Mi pare lo abbia spiegato benissimo in un passaggio al XII Congresso DC del 1973.
«Non c’è, certamente, nella caratteristica cristiana del partito, nessuna pretesa di utilizzare una inammissibile disciplina confessionale, di costruire una sorta di sbarramento che impedisca a taluni di entrare e ad altri di uscire. […] Complessivamente, nelle sue varie modulazioni, l’esperienza cristiana è sentita come principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale. E come forza di liberazione, accanto ad altre, diverse per le loro motivazioni ed i loro modi di essere, dobbiamo considerare la nostra (forza), alla quale rispetto e fiducia nell’uomo tolgono la tentazione del ricorso traumatico ed illusorio alla violenza ed attribuisce invece un compito di evoluzione che, per essere realizzata attraverso i canali del sistema democratico, non è perciò meno incisiva e radicale».

La consapevolezza del bene

Il quinto filo conduttore è quello della consapevolezza della presenza del bene attorno a noi e della sua consistenza. In un articolo comparso su Il Giorno il 20 gennaio 1977, papà propone una riflessione proprio su questo aspetto.
«Si può dire ancora oggi, malgrado tutto, che la realtà sia tutta e solo quella che risulta dalla cronaca deprimente e talvolta agghiacciante di un giornale? Certo il bene non fa notizia. Quello che è al suo posto, quello che è vero, quello che favorisce l’armonia è molto meno suscettibile di essere notato e rilevato che non siano quei dati, fuori dalla regola, i quali pongono problemi per l’uomo e per la società. Ma questa ragione, per così dire tecnica, questo costituire sorpresa, questo eccitare la curiosità non escludono certo che, nella realtà, ci sia il bene, il bene più del male, l’armonia più della discordia, la norma più della eccezione.
Penso all’immensa trama di amore che unisce il mondo, ad esperienze religiose autentiche, a famiglie ordinate, a slanci generosi di giovani, a forme di operosa solidarietà con gli emarginati ed il Terzo Mondo, a comunità sociali, al commovente attaccamento di operai al loro lavoro. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Basta guardare là dove troppo spesso non si guarda e interessarsi di quello che troppo spesso non interessa. […]
Il bene, anche come restando sbiadito sullo sfondo, è più consistente che non appaia, più consistente del male che lo contraddice. La vita si svolge in quanto il male risulta in effetti marginale e lascia intatta la straordinaria ricchezza dei valori di accettazione, di tolleranza, di senso del dovere, di dedizione, di simpatia, di solidarietà, di consenso che reggono il mondo, bilanciando vittoriosamente le spinte distruttive di ingiuste contestazioni».
Mi rimane la convinzione che le due sostanze più profonde della vita di mio padre siano state l’intelligenza e l’amore, nella capacità di guardare in profondità, di vedere e comprendere; la capacità di amare e di corrispondere all’amore, senza riserve. Non mi spiego altrimenti la quantità di fiducia e di affetto che ebbe allora da tante persone e che ha, ancora oggi.

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