Un’omelia pilatesca o alla don Abbondio… O forse solo enigmaticamente “laica”, per evitare quei “guai a voi…” lanciati da Cristo agli scribi e farisei

Un’omelia pilatesca o alla don Abbondio…

O forse solo enigmaticamente “laica”,

per evitare quei “guai a voi…”

lanciati da Cristo agli scribi e farisei

di don Giorgio De Capitani
Mi aspettavo che, morto Silvio Berlusconi, avrebbero chiesto di celebrare solennemente i funerali nel Duomo di Milano.
Me lo aspettavo, ma nello stesso tempo presentivo già quella interiore repulsione che qualche giorno fa ho sofferto, appena ho letto la notizia.
Nella cattedrale ambrosiana non si celebrano funerali “normali”, ma solo esequie di Stato e i funerali solenni per gli arcivescovi emeriti, e anche per personalità laiche ritenute illustri, con quale criterio non si sa bene.
Ma questo non importa, o meglio una cosa va chiarita: se si decide non saprei da parte di chi di celebrare funerali di Stato nel Duomo di Milano, l’arcivescovo non può opporsi: solo può al suo posto delegare un altro a celebrare il rito funebre, trovando un qualsiasi pretesto. Cosa che non ha fatto monsignor Mario Delpini.
Non chiedetemi che cosa sia scattato in lui perché si ritenesse all’altezza di celebrare i funerali di Silvio Berlusconi. In fondo, era un morto milanese, dunque della sua diocesi.
Qualcuno mi ha chiesto perché la Chiesa ha concesso di celebrare religiosamente le esequie di uno come Silvio Berlusconi. Solitamente la Chiesa non rifiuta a nessuno le esequie religiose, anche se nel passato non le concedeva ai suicidi e ai delinquenti.
Ma non è questo il vero problema. Il problema è quel dare spettacolo a funerali che, proprio perché religiosi, dovrebbero essere celebrati con devozione e in modo del tutto dignitoso.
Ancora una volta abbiamo assistito a una oscenità dissacrante, trasformando il Duomo, casa di Dio, in un avanspettacolo (in attesa del giudizio di Dio!) o in un circo equestre di animali di ogni specie. Tranne rarissime eccezioni!
Sarebbe ora che la Chiesa mettesse qualche norma per i funerali di Stato, dove si vede di tutto: politici e non politici che fanno la loro passerella, anche in chiesa.
Sì, mettere un po’ di ordine per ridare al luogo sacro, chiesa o cattedrale, la sua dignità, che esige per lo meno rispetto.
E se, come nel caso di Berlusconi, il funerale diventa una esaltazione collettiva, per non dire una santificazione laica, con la benedizione del ministro di Cristo, allora mi chiedo se non siamo giunti alla fine di un film assurdo e blasfemo.
Nessuno nega una silenziosa preghiera anche per Silvio Berlusconi (anzi, lui ne avrebbe veramente bisogno!), ma si prega Dio e non si mette sugli altari un farabutto che si faceva passare per dio.
Lo dico con tutta sincerità: ho aspettato qualche giorno prima di stendere queste riflessioni. Tante cose mi hanno bloccato, soprattutto il comportamento della Curia di Milano. Tante domande mi ponevo.
Nel vedere quell’Arciprete del Duomo di Milano tutto gongolante in una posa da paggetto conscio di servire un apparato regale, con quelle sue movenze untuose, anche inchinandosi devotamente sorridente a Viktor Orban, stavo male.
Ma era proprio necessario che fosse l’Arciprete in cappa magna a ricevere le autorità per indicar loro il posto da occupare in Duomo? Non c’era un laico decente?
E sì, è stata un’ottima occasione per dare sfoggio della propria boria.
E che dire dell’omelia di Mario Delpini?
Possiamo sicuramente dire che Delpini ha fatto centro: tutti ne hanno parlato, il video forse è stato quello più gettonato.
Ma che cosa in realtà ha detto, o meglio che cosa ha voluto dire, perché sta qui il punto. Il testo c’è, lo si può leggere, meglio leggerlo che sentirlo: irritante come al solito il suo tono mentre leggeva il testo, almeno nella prima parte.
I commenti sono stati diversi, anche se la maggior parte dei giornalisti ha stimato ciò che ha detto Delpini, tranne pochi che hanno ritenuto l’intervento un discorso laico.
Sono ancora qui a chiedermi che cosa l’arcivescovo di Milano ha voluto dire in quell’omelia durante i funerali di Berlusconi.
Una domanda ancora: che c’era di evangelico in quell’omelia? Forse nulla, forse tutto poteva essere ridotto all’ultima frase: “Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio”. È stata la frase apparsa su tutti i giornali italiani.
All’estero per fortuna non sanno chi è Delpini, e tanto meno hanno voluto seguire i funerali di Berlusconi. Unico è stato il giudizio dei mass media all’estero. Berlusconi è stato un pagliaccio!
Che sia stato un pagliaccio che ha preso per i fondelli tutti gli italiani, all’estero l’hanno capito, qui da noi no, e tanto meno l’ha capito Delpini, o, forse l’aveva capito, ma durante i funerali ha fatto il finto tonto, facendo un’omelia che ancora oggi mi sta ponendo la domanda: Ma che cosa ha inteso dire?
Ma la domanda diventa ancor più seria, non diciamo drammatica (beh, siamo seri!): sapendo come predica Delpini, il dubbio c’è che egli abbia preso in giro un po’ tutti, con quell’ironia che sta diventando un’abitudine perfino nella casa del Signore.
Quando senti Delpini non capisci se scherza o se fa sul serio. Solitamente sembra scherzare anche quando intende fare sul serio.
A parte la mia domanda che resterà sempre tale, una cosa va detta con una contro domanda: “Delpini non poteva scegliere anche e soprattutto per Berlusconi la pagina delle Beatitudini?”.
L’avrei letta personalmente, scandendo ben bene le parole, con le dovute pause, e poi avrei tenuto tutti in silenzio per dieci minuti.
Chissà forse lo Spirito santo avrebbe detto qualcosa di “suo” ai presenti!.
Invece Delpini ha voluto dire qualcosa “di proprio”, ed è uscito un misto di parole e di allusioni, che solo Berlusconi forse avrà avuto la fortuna di chiarire, chiedendo direttamente a Dio il senso delle parole del suo Ministro.
Avrà chiesto al Padre Eterno, magari balbettando come Fonzie: «Signor Padre Eterno… (si fermò)… sono qui come “uomo”… (si fermò)… ho commesso anche io qualche “peccatuccio”… (si fermò)… ma non dimenticare tutto il bene che mi sono fatto, e poi come alleati avevo i tuoi amici ciellini, devoti e scaltri, anche loro come me amanti del denaro e degli affari, ma loro castamente ed io… (si fermò)… avevo un debole con le donne… solo qualche “peccatuccio”…».
Smisi di fantasticare.
Ma una cosa vorrei fare: se mi capiterà l’occasione, chiedere a Delpini che cosa ha inteso dire nell’omelia durante i funerali di Berlusconi.
E pensare che, nei giorni precedenti il funerale, volevo mandare a Delpini un messaggio tramite posta elettronica per chiedergli se aveva bisogno di un aiuto nel preparare l’omelia.
Secondo voi, mi avrebbe risposto? Da tempo con me ha chiuso, perché sa che sono la voce della sua coscienza, e che gli do fastidio: preferisce fare di testa sua.
A proposito, non sarà uno dei milioni e milioni di italiani, a cui Berlusconi ha tagliato la testa?
Forse no, forse sì… Chi lo sa?
In ogni caso, vescovo Mario (così familiarmente tutti ti chiamano), hai perso un’altra grande occasione, forse l’occasione che ti avrebbe riscattato. Ma la tua cecità e la tua ottusità, a causa del tuo orgoglio, ti hanno di nuovo tradito, e hanno tradito le speranze di una Diocesi che sta aspettando la venuta di un vero ministro di Cristo, che sappia parlare con “parresia” quella Buona Novella, ancora in germe, per la persistenza di inverni gelidi che ritardano la Primavera. Ma non fai mai un sincero esame di coscienza, guardandoti nello specchio del tuo essere interiore? E chiederti: “Che faccio sulla cattedra di Ambrogio?”.

 

Il re Acab e la vigna di Nabot

Il racconto biblico
Il racconto emerge per la sua drammaticità. Il re Acab dovrebbe essere riconoscente al Signore, perché ha ricevuto il suo regno da Dio; inoltre, per intercessione di Elia, ha ottenuto la fine della siccità che stava riducendo tutti alla fame e distruggendo il regno. E invece, non solo non ringrazia Dio, ma si comporta da prepotente verso i sudditi.
Il modo in cui egli si impossessa della vigna di Nabot è quanto mai paradigmatico. Il testo biblico narra:
«Nabot possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab re di Samaria. Acab disse a Nabot: “Cedimi la tua vigna: ne farò un orto, perché è confinante con la mia casa. Al suo posto ti darò una vigna migliore di quella, o se preferisci, te la pagherò in denaro al prezzo che vale”» (1 Re 21,1-2).
Nabot si rifiuta di cedergli la vigna, perché è l’eredità dei suoi padri.
Una lettura superficiale della vicenda potrebbe far pensare che Nabot abbia fatto male a non cedere la sua vigna ad Acab, il quale dopotutto non voleva usargli violenza: si trattava di un acquisto, gli offriva l’equivalente in denaro, gli proponeva perfino una vigna migliore. Ma per il povero quella vigna non era semplicemente una proprietà: era il patrimonio ereditario della sua famiglia, e quindi dei suoi padri, un’eredità santa che aveva ricevuto da Dio. Cederla significava venir meno alla vocazione di custode della terra avuta dall’Alto. Di qui la sua recisa risposta al re: «Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri» (1 Re 21,3).
Il re è amareggiato per il rifiuto. Gezabele allora prende l’iniziativa e, con un’iniqua strategia, mette su un processo farsa contro Nabot, accusato di aver bestemmiato Dio e il re. Nabot è processato, condannato a morte e lapidato. Il re può finalmente annettersi la sua vigna.
Quando il re prende possesso della vigna, gli va incontro il profeta Elia, che gli annuncia la parola del Signore:
«Hai assassinato e ora usurpi! […] Nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue» (1 Re 21,19).
Acab si pente del suo peccato e fa penitenza per scongiurare la condanna divina. Ma il pentimento non è sincero e il castigo incomberà ugualmente sulla sua famiglia.
***
Dal libro “La storia di Nabot di Jezrael” di Sant’Ambrogio:
«La storia di Nabot è accaduta molto tempo fa, ma si rinnova tutti i giorni. Qual è il ricco che non ambisce di continuo alle cose altrui? Qual è il ricco che non aspira a strappare al povero il suo piccolo possesso e a invadere i confini dell’eredità dei suoi antenati? Chi si contenta di ciò che ha? Chi non viene eccitato nella propria cupidigia dal possesso del vicino? Non c’è stato solo un Acab; tutti i giorni Acab nasce di nuovo, e mai si estingue il suo seme in questo mondo… Ah, ricchi! Fino a dove aspirate a portare la vostra insensata cupidigia? Siete forse gli unici abitanti della terra? Per quale ragione voi espellete dai loro possessi quelli che hanno la vostra stessa natura, e rivendicate per voi soli il possesso di tutta la terra? La terra è stata creata in comune per tutti, ricchi e poveri: perché dunque vi arrogate il diritto esclusivo del suolo? Nessuno è ricco per natura, dal momento che questa tutti li genera egualmente poveri; veniamo al mondo nudi e senza oro né argento…
La natura non fa distinzioni tra gli uomini, né al momento della nascita né in quello della morte. Tutti allo stesso modo li genera; e tutti, allo stesso modo, li riceve nel seno del sepolcro. Puoi forse stabilire delle classi tra i morti? Forza, scava nei sepolcri, e vedi se ti è possibile distinguere il ricco. Dissotterra una tomba, e vedi se riesci a riconoscere il bisognoso. Forse è possibile fare una distinzione, solo perché, insieme con il ricco, sono molte più cose a imputridire… Tu forse pensi in cuor tuo che, almeno finché sei in vita, possiedi, questo sì, cose in abbondanza. Ah, uomo ricco! Non immagini quanto sei povero e quanto bisognoso divieni, per stimarti ricco! Quanto più possiedi, più desideri. E se anche riuscissi ad acquistarti tutto quanto, seguiteresti nondimeno a essere indigente. Perché, con il lucro, l’avidità brucia sempre più forte, anziché estinguersi. Il ricco è tanto più tollerabile, quanto meno possiede…
E voi, ricchi: togliete agli altri ciò che posseggono. Questo lo desiderate più ancora che possedere. Vi preoccupate più di spogliare i poveri che del vostro stesso reale vantaggio. Ma perché vi attraggono tanto le ricchezze della natura? Il mondo è stato creato per tutti, e voi, taluni pochi ricchi, vi sforzate di riservarvelo per voi soli. E non è questione solo della proprietà della terra: fino allo stesso cielo, l’aria e il mare, tutto reclamano per il proprio uso tal uni pochi ricchi… Voi, ricchi, tutto strappate ai poveri, e non lasciate loro nulla; e ciò nondimeno, la vostra pena è maggiore della loro… Siete voi in persona, per la vostra passione, a patire tribolazioni pari a quelle della stessa povertà. I poveri, per davvero, non hanno di che vivere. E voi non usate le vostre ricchezze, né le lasciate usare agli altri. Tirate l’oro fuori delle vene dei metalli, ma poi lo nascondete nuovamente.
E quante vite rinchiudete insieme con quell’oro! lo in persona ho visto come veniva detenuto un povero, per costringerlo a pagare ciò che non teneva; ho visto come lo incarceravano, perché era mancato il vino dalla mensa del possidente; ho visto come metteva all’asta i propri figli, per differire il momento della condanna. Con la speranza di trovare chi lo possa aiutare in questa situazione di necessità, il povero ritorna alla propria casa e vede che non c’è speranza, che ormai non gli resta niente da mangiare. Piange un’altra volta la fame dei suoi figli, e si duole di non averli piuttosto venduti a colui che avrebbe potuto dare loro di che vivere. Ci pensa su ancora una volta, e prende la decisione di vendere qualcuno dei suoi figli. Ma il suo cuore si lacera tra due sentimenti opposti: la paura della miseria e l’affetto paterno. La fame gli reclama il denaro, la natura gli richiede di compiere il proprio dovere di padre. Molte volte ha preso la decisione di andare a morire insieme con i suoi figli, piuttosto che staccarsi da essi. E altrettante volte è ritornato sui suoi passi. Tuttavia, ora ha finito col vincere la necessità, non l’amore; e la stessa pietà ha dovuto cedere dinanzi al bisogno. Dio ti concede la prosperità proprio perché tu non possa accampare scuse di fronte all’obbligo di vincere e condannare la tua avarizia. Ma quanto egli ha fatto sorgere, per mezzo tuo, a vantaggio di molti, tu intendi riservartelo per te solo, o, per meglio dire ancora, intendi perderlo per te solo: poiché tu stesso guadagneresti di più nel condividerlo con gli altri, dal momento che la grazia della liberalità la riceve chi è d’animo liberale…
Mi replicherai ciò che voi ricchi siete soliti dire: che non si deve soccorrere chi Dio, lui per primo, maledice e vuole che patisca la necessità. E io ti dico che i poveri non sono maledetti, dal momento che sta scritto: “Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli” (cfr. Mt 5,3). E non del povero, ma del ricco, dice la Scrittura: “Maledetto sia colui che riceve l’interesse per il grano” (cfr. Pr 11,26). D’altra parte, non tocca certo a te giudicare i meriti di ciascuno. Perché è proprio della misericordia non considerare i meriti ma aiutare nel bisogno; soccorrere il povero e non esaminare la sua giustizia. Poiché sta anche scritto: “Beato chi ha cura del bisognoso e del povero” (cfr. Sal 41[40],2). E chi è colui che ne ha cura? Ebbene, è chi ne ha compassione; chi comprende che quello è partecipe della sua stessa natura; chi sa che tanto il ricco come il povero sono stati fatti dal medesimo Dio; chi crede che destinare parte dei propri guadagni per i poveri sia la maniera conveniente di benedirli…
La Scrittura, come dipinge bene i modi di fare dei ricchi! Si rattristano, se non possono rubare l’altrui; cessano di mangiare e digiunano, e non per riparare il proprio peccato, ma solo per preparare le proprie ribalderie. E talora li vedrai pure venire in chiesa, tutti compiti, umili, assidui, per ottenere che i loro delitti abbiano una buona riuscita. Ma Dio dice loro: “Non è questo il digiuno che mi aggrada. Sai qual è il digiuno che io voglio? Sciogliere le catene inique, liberare gli oppressi, spezzare ogni giogo iniquo, dividere il pane con l’affamato, accogliere nella propria casa chi è senza tetto… “. Quanto dai al bisognoso, è un guadagno anche per te stesso. Quanto riduce il tuo capitale, accresce in realtà il tuo profitto. Il pane che dai ai poveri, è esso ad alimentarti. Perché chi prova compassione per il bisognoso, coltiva se stesso con i frutti della propria umanità. La misericordia, la si semina sulla terra, ma è in cielo che germoglia. La si pianta nel povero, ma è in Dio che la si moltiplica… Perché tu, al povero, non dai del tuo, ma semplicemente restituisci del suo. Perché ciò che è comune ed è stato creato per l’uso da parte di tutti, ebbene, di questo, ora tu solo ne stai usando. La terra è di tutti, non soltanto dei ricchi. Ma sono molto più numerosi quelli che non ne godono di quelli che ne sfruttano. Quando tu aiuti, dunque, non dai gratuitamente quel che non seitenuto a dare, ma ti limiti a pagare un debito…
Voi, viceversa, denudate gli uomini e rivestite le vostre pareti. Il povero nudo geme alla tua porta, e tu non ti degni di guardarlo in faccia, preoccupato come sei solamente dei marmi con cui ti appresti a ricoprire i tuoi pavimenti. Il povero ti domanda il pane e non lo ottiene, mentre i tuoi cavalli rodono l’oro del freno sotto i loro denti. Che severo giudizio stai preparando per te stesso, oh ricco! Il popolo ha fame e tu chiudi i tuoi granai. È povero sul serio colui che ha i mezzi per liberare tante vite dalla morte e non lo fa! Le pietre del tuo anello avrebbero potuto salvare le vite di un intero popolo. È il proprietario che deve essere signore della proprietà, non la proprietà signora del proprietario! Ma chiunque usa del patrimonio di cui dispone a proprio arbitrio, e non sa dare con larghezza né ripartire con i poveri, costui è servo dei propri averi, anziché signore di essi. Perché guarda alle ricchezze altrui come se fosse un domestico, e non usa di esse come se fosse un signore».

3 Commenti

  1. Alex ha detto:

    Io (e sottolineo “io”, ossia la mia e’ considerazione del tutto personale) ho sentito nell’omelia di Delpini un fortissimo imbarazzo. L’imbarazzo di chi avrebbe voluto dire qualcosa di molto diverso ma non poteva oggettivamente farlo. Pur nell’occasione triste di un funerale, che gioia poter condividere la vita di un santo o almeno di un buon uomo! Ma qui….? E allora e’ giocoforza mantenere il decoro della circostanza. La circostanza di un di un funerale di Stato, nel Duomo di Milano, trasmesso in lungo e in largo; non la cerimonia sbrigativa all’alba in una cappelletta della Patagonia. Avranno impiegato tutta la notte (lui e qualche aiutante senza dubbio) a limare le parole fino alle virgole. Secondo me, avesse potuto fare a cambio con Zuppi e celebrare il funerale della prof.ssa Franzoni non ci avrebbe pensato due volte. Io non ci avrei pensato due volte di sicuro.

    • Don Giorgio ha detto:

      Te lo garantisco: ha fatto tutto da solo. Non si consiglia mai con nessuno. Lui è l’EGO in persona. “Piccolo di statura” ma “grande” nell’EGO. Come la Melloncella: sono uguali!!!

  2. Giuseppe ha detto:

    Non ho seguito le esequie di Berlusconi in televisione, quella persona mi dava sui nervi da vivo, figuriamoci da morto. DI conseguenza non conosco il contenuto dell’omelia di Delpini, ma non ho motivo di dubitare della tua opinione.
    A mio avviso ci sarebbe stata la stessa folla e la stessa confusione se Berlusconi fosse stato condannato a morte e decapitato o fucilato in piazza. <in certe occasioni l'essere umano perde la sua dignità e diventa massa, come un gregge di pecoroni che si limita a seguire il capo branco…

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