18 agosto 2024: XIII^ DOPO PENTECOSTE
2Cr 36,17c-23; Rm 10,16-20; Lc 7,1b-10
Vorrei soffermare la vostra attenzione sulla seconda lettura della Messa: è un breve brano della Lettera che l’apostolo Paolo ha scritto ai cristiani di Roma.
Anzitutto, diciamo almeno qualcosa su questa lettera. Scritta nell’inverno del 57-58 d.C., essa si colloca in un particolare momento storico dell’attività missionaria di Paolo. Conclusa l’opera di evangelizzazione dell’Oriente (Asia Minore, Grecia e Macedonia) alla fine del suo terzo viaggio, egli si trova a Corinto e sta per tornare a Gerusalemme per riferire al collegio degli Apostoli i risultati della sua missione sulla conversione dei pagani. In seguito, ha in animo il progetto di compiere il quarto viaggio verso l’Occidente, specificamente in Spagna. Durante questo nuovo viaggio, egli pensa di poter fare tappa a Roma, dove esiste già una comunità cristiana, non fondata da lui, notoriamente affermata per la fede e per lo spirito di solidarietà comunitaria. Le informazioni che ha su questa comunità sono notizie di seconda mano, riferitegli da altri, dalle quali, tuttavia, si deduce che essa è una popolazione mista, composta da cristiani provenienti dal giudaismo e cristiani provenienti dal paganesimo.
Gli argomenti trattati sono molto simili a quelli già esposti nella precedente Lettera ai Galati: il confronto tra la Gerusalemme terrestre (la schiavitù dell’Antica Legge) e la Gerusalemme celeste (la nuova Chiesa fondata da Gesù Cristo); il confronto tra l’uomo vecchio (carnale) e l’uomo novo (spirituale); i frutti malefici di chi vive secondo la carne (fornicazioni, impurità, dissolutezza, inimicizie, liti, gelosie ecc.) a confronto con i frutti benefici dello Spirito (gioia, amore, pace, fratellanza ecc.). Egli analizza alcuni aspetti complementari e altri conflittuali esistenti tra la Legge mosaica e la fede in Cristo; tra l’etica di chi vive secondo la Legge (Giudaismo) e l’etica di chi vive secondo la fede cristiana, basata sul comandamento dell’amore. Rispetto alla Lettera ai Galati, la materia concettuale è più approfondita e il tono espositivo è più pacato.
Per capire la sua enorme importanza, questa lettera ha suscitato nei secoli successivi enormi dibattiti negli studi della filosofia e della teologia in tutti i tempi, dall’Alto Medioevo ai giorni nostri: questa lettera ha affascinato santi come Agostino di Ippona, lo stesso Martin Lutero che vi ha attinto per la sua riforma, ha affascinato altri riformatori come anche Calvino, il Concilio di Trento e lo stesso Concilio Vaticano II che ha fatto largo uso dei concetti contenuti nella Lettera ai Romani; per la verità, l’assise conciliare ha fatto largo uso, non solo di questo documento, ma dell’intero epistolario paolino. C’è stato chi ha scritto che “Le grandi ore della storia della Chiesa sono state le grandi ore della lettera ai Romani”.
Premetto una riflessione di carattere generale, che interessa tutti gli scritti biblici, anche le lettere di San Paolo. Una riflessione sì generale, ma che coinvolge la fede dei cristiani di tutti i tempi. Con qualche paradosso, il primo è questo: anche per me, ma sento dire da più parti che le lettere di San Paolo sono difficili da comprendere, anche per un linguaggio diciamo rabbinico, eppure, ecco il paradosso, i cristiani di allora comprendevano ciò che scriveva l’Apostolo. E perché noi no?
La domanda diventa ancor più provocatoria. Noi cristiani che abbiamo fatto dei misteri di Dio? Che parte hanno nella nostra vita quotidiana? Risento le parole convinte e convincenti del cardinale Carlo Maria Martini quando si poneva il problema del primato di Dio e della sua Parola, e vorrei aggiungere che non è una parola qualsiasi, una tra le tante che circolano sui social. Magari siamo impegnati a giudicare e combattere il mondo secolarizzato, ma che posto occupano nella nostra vita i Misteri di Dio? Facciamo certamente discorsi, anche molto belli, su Cristo e sui Misteri di Dio, ma essi richiedono ben altri spazi in noi, e più che delle nostre parole hanno bisogno del nostro silenzio interiore, perché solo nel silenzio interiore Dio e la sua Parola mettono le radici. È tutto il nostro modo di vivere che deve essere radicalmente trasformato dai Misteri di Dio e conformato alla morte e alla risurrezione di Cristo, che è il Mistero pasquale: la predicazione e il messaggio contenuto nelle lettere di Paolo, anche se in modo anche scandalistico, sembrava che riducesse il Mistero pasquale alla Croce. Ma è proprio sulla Croce, mentre muore, che Cristo dona il suo Spirito.
Anche la lettera di Paolo ai Romani è una grande rivelazione dei Misteri di Dio e di Cristo, mediante l’intelligenza, che non significa conoscenza esteriore di una cosa, ma va intesa come dice la parola “intelligenza”, dal latino “intus”, dentro, + legere, leggere, scoprire, vedere.
Nei passaggi storici decisivi in cui la Chiesa ha dovuto affrontare un impegno di conversione, di rilancio evangelico, la Lettera ai Romani di Paolo è stata oggetto di particolare attenzione: elemento di contrasto e insieme provocazione, nel servizio che la Chiesa svolge per l’annuncio del Vangelo di Dio.
È stato scritto che “prendere contatto con Paolo apostolo è prendere contatto con un cristiano: Paolo è un uomo attraversato dall’opera potente di Dio che salva, un uomo filtrato dalla Pasqua di Cristo Signore; è un uomo bruciato e ricostruito; un uomo che ha vissuto per intero il percorso della conversione”.
Lui stesso ha riconosciuto: io sono il frutto di una Grazia. Mentre si recava a Damasco per perseguitare i cristiani, è stato folgorato dalla luce potente di Dio, e, scrive Luca, autore degli Atti degli apostoli: “Saulo allora si alzò da terra, ma aperti gli occhi non vedeva nulla”. È una traduzione non corretta del testo greco che dice invece: “Paolo ha visto nulla, il nulla, ovvero Dio”. Dio è il nulla in quanto è essenzialmente spoglio, sciolto (assoluto, ab solutus) da ogni cosa che riguarda una fede che lega gli spiriti al corpo religioso.
Saulo è stato folgorato dalla Grazia che gli ha tolto dagli occhi ogni pregiudizio umano, terreno, una visione carnale della realtà, ovvero le apparenze della realtà.
Saulo ha visto il nulla, ovvero i Misteri divini nella loro purezza. Ecco cosa significa la conversione di Paolo sulla via per Damasco, quando la Grazia divina lo ha reso puro nello sguardo, che gli ha permesso di vedere la realtà divina, e non le apparenze di una religione che è in ogni caso violenta, perché violenta la libertà degli spiriti puri.
Del resto già Cristo, fin dall’inizio del suo ministero pubblico, aveva invitato a cambiare mentalità: “Metanoèite!”. Ovvero, per vedere Dio che è il nulla, occorre avere gli occhi puri dello stesso Spirito divino. Paolo è stato accecato, perché la Luce della Grazia gli ha tolto ogni carnalità, così da vedere poi la realtà dei Misteri divini, e annunciarli a tutti.
Se oggi i cristiani non vedono i Misteri divini, è perché sono ciechi in quanto vedono solo la carnalità di una esistenza fatta di cose e cose, che sono degli inganni. Da quando la Grazia divina gli ha aperto gli occhi sui Misteri divini, Paolo non ha mai smesso di annunciare la Buona Novella anche ai pagani. E i cristiani di oggi che cosa pretendono? Di vedere i Misteri divini con gli occhi carnali?
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