Omelie 2022 di don Giorgio: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

18 settembre 2022: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 43,24c-44,3; Eb 11,39-12,4; Gv 5,25-36
Mi soffermerò a commentare il primo e il terzo brano della Messa di oggi. Non è che il secondo, un brano tolto dalla Lettera agli Ebrei, di autore ignoto, non sia importante, ma è sempre questione di tempo a disposizione.
Il primo brano ci lascia sempre un po’ perplessi nel sentire o leggere le parole del profeta anonimo, che interpreta la voce di Dio, il quale sembra condonare ogni infedeltà del popolo eletto, che spesso e volentieri violava l’Alleanza, quando in realtà sappiamo che Dio lo puniva anche duramente: pensiamo prima alla schiavitù egiziana e poi alla schiavitù babilonese.
Ma Dio agisce sempre con il suo stile che non rientra nella nostra logica umana. Dio è paradossale per natura, l’Indicibile, il Mistero di quel Bene Sommo che spiazza sempre il nostro modo di pensare e di vivere.
Noi giudichiamo il perdono di Dio a modo nostro: Lui ha un suo modo di perdonare, che non è mai un condono tanto per chiudere un occhio, magari per qualche nascosto intento, come purtroppo facciamo noi, esseri mortali che ragioniamo con la logica del fingere di donare per ottenere qualcosa di concreto.
Già la parola “perdono” dovrebbe fare riflettere: per-dono, ovvero un dono al superlativo. Ma anche qui, la parola “dono” esce dal nostro modo di vedere il dono. Noi siamo abili nel dare assolutezza a manchevolezze, con l’idea che assolutizzarle diventino virtù.
Il dono di Dio fa parte della sua natura divina: è la Gratuità assoluta, perciò esente da ogni condizionamento. Dio non perdona perché ci ama. Lui ama se stesso in noi, in quanto fragili creature sempre disponibili alle infedeltà e debolezze. Ecco allora le parole: «Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso», e dunque non per amore di te stesso.
Qui c’è un concetto importantissimo: Dio non ci ama per quello che siamo, ovvero, in quanto peccatori, ma Dio vuole il suo Bene, che è Assoluto, in noi. Volendo il suo Bene in noi, egli ci trasforma in Lui. È così che può iniziare la nostra conversione o proseguire sul cammino già intrapreso verso la scoperta di quel Sé divino che è in noi.
Bello, confortante, di gioia sentire la promessa del profeta anonimo che parla in nome di Dio: «Non temere, Giacobbe mio servo, Iesurùn che ho eletto, poiché io verserò acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido. Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri».
Il termine “Iesurùn” è di difficile interpretazione e traduzione, forse richiama la giustizia e la rettitudine.
Invece, molto chiara, immediata e significativa l’immagine dell’acqua, che tornerà in tutta la sua realtà mistica nel quarto Vangelo: pensiamo all’incontro di Gesù con la samaritana attorno a un pozzo che naturalmente richiama l’acqua, che per Gesù è quella zampillante per la vita eterna, oppure pensiamo alle parole di Gesù: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: «Dal suo grembo sgorgheranno fiumi d’acqua viva». (Giovanni 7, 37-38)
Immaginate il grembo divino, da cui sgorgano fiumi di acqua viva! E dove sgorgano queste acque? “Sul suolo assetato, sul terreno arido”.
Ed ecco la parola diciamo magica, “spirito”, che Dio verserà sulle generazioni future, ma Dio, se è purissimo Spirito, è eternamente presente già nell’oggi del nostro essere interiore.
Dio, per mezzo del profeta anonimo, promette: “Verserò il mio spirito sulle generazioni future”, “Dal suo grembo, dice la Scrittura per mezzo del Vangelo secondo Giovanni, sgorgheranno fiumi d’acqua viva”. Tutto al futuro, ma Dio non conosce il futuro, perché è il presente, l’eterno presente, perciò ogni promessa di Dio si realizza già nell’oggi.
Quando penso alla presenza divina penso alla “grazia”, un termine che purtroppo è uscito dal linguaggio cristiano, eppure grazia dice tutto quel modo di essere di Dio che è unico, come unico è Dio. La Grazia è Gratuità, l’Essere senza perché di Dio che dona senza ricevere nulla in cambio, o meglio Egli dona Se stesso, che è il Tutto.
Il terzo brano della Messa è lungo e sembra abbastanza complesso e anche difficile da capire al volo. Tuttavia, ci sono alcune parole che sembrano subito suggerci qualcosa di importante.
Pensiamo alla parola “ora”: una parola importantissima nel quarto Vangelo, richiama Ora della croce o della salvezza, l’ora dello Spirito, perché, proprio sulla croce, mentre muore, Gesù effonde il suo spirito, lo Spirito santo.
Gesù parla della sua Ora a Maria, a Cana di Galilea, sempre pensando all’Ora della salvezza.
E poi non dimentichiamo le parole di Gesù alla donna di Samaria: “Viene l’Ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”.
Gesù nel brano di oggi dice: «In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno… Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna».
Chi sono i morti, di cui parla Gesù? Sono quanti non sono stati illuminati dal suo Vangelo.
E i morti come potranno allora risorgere? Ascoltiamo la Parola di Dio, ovvero il suo Verbo, il Logos, di cui parla Giovanni nel Prologo.
Gesù parla di una duplice risurrezione: di vita e di morte.
In questo mondo tutto è così confuso, tutto è così capovolto, tutto sembra in balìa dell’inganno che copre la verità, che oscura la luce.
Tutti siamo in un sepolcro, dice Gesù. Platone parla di una prigione, quella del corpo che tiene in catene lo spirito. Liberare lo spirito dalle catene, questo è il nostro compito, se vogliamo venire alla luce.
Tomba o grembo, è la stessa cosa. Un grembo che partorisce vita, o un grembo che partorisce morte.
Quando un bambino nasce, si dice che viene alla luce. E poi entra in un mondo di tenebre. Al bambino non va tolta la sua realtà interiore, che è una gestazione di vita. Subito si recide il cordone ombelicale, e così il mondo interiore si allontana dalla luce. A me sinceramente fa paura, quando penso ai figli che oggi nascono già distaccati dal loro essere divino.

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