dal Corriere della Sera
Vajont,
le carte segrete scoperte da Ruzzante:
«Tutti sapevano, operai messi a tacere
per 500 lire e tecnico licenziato»
di Michela Nicolussi Moro
L’ex parlamentare e consigliere del Pd nel libro «L’acqua non ha memoria»: «I pescatori recuperarono in mare pezzi di quei corpi straziati»
Piero Ruzzante, lei è uno storico con una lunga carriera di politico, parlamentare e consigliere regionale alle spalle. Di libri, approfondimenti, trasmissioni e spettacoli teatrali sulla tragedia del Vajont, di cui il 9 ottobre 2023 si celebrerà il sessantesimo anniversario, ne sono stati prodotti tanti.
Cos’ha di diverso «L’acqua non ha memoria» (Utet editore), che esce il 19 settembre e che lei ha scritto con Antonio Martini e presentato in anteprima a Pordenonelegge?
«Il libro rivela notizie finora rimaste segrete, perché costruito su 61 scatoloni di carte processuali, interrogatori dei carabinieri e della magistratura da me raccolti e studiati per quattro anni».
Dove ha trovato questi documenti inediti?
«Per caso, durante una visita all’Ateneo Veneto di Venezia, al quale li aveva regalati l’avvocato Alessandro Brass, padre del regista Tinto e all’epoca legale della Sade, l’ente gestore della diga poi crollata. Si tratta della documentazione esibita dalla difesa al processo che seguì il disastro (l’inchiesta fu aperta tre giorni dopo il crollo, ndr), responsabile di 1910 vittime. Alla morte di Brass è stato l’avvocato Mario Vianello di Venezia ad aiutarmi a riportare alla luce la verità. Il secondo archivio mai consultato da nessuno e al quale ho attinto appartiene all’avvocato Giorgio Tosi di Padova, che ha assistito le parti civili, cioè i sopravvissuti».
E cosa è emerso?
«Sono venute fuori notizie clamorose sul prima e sul dopo disastro, che dimostrano come i rapporti di dipendenza tra gli scienziati e il potere siano rimasti inalterati, nonostante tutto. Tutti sapevano, gli operai del cantiere fecero perfino sciopero, ma vennero messi a tacere con un’indennità di 500 lire. La gente di Longarone, di Casso ed Erto continuavano a dire che sarebbe venuto giù tutto, i movimenti della roccia erano aumentati nell’ultima settimana. E il 4 settembre, quando il territorio fu scosso da un forte terremoto, un operaio smise di andare al lavoro, dicendo: la vita è più importante delle quattro lire che prendo».
Eppure Sade ha tirato dritto.
«Sì, al punto che il 9 ottobre 1963, giorno della tragedia, i tecnici di Sade furono convocati sulla diga, per gli ultimi controlli. E in nottata un carabiniere, Rinaldo Aste, venne buttato giù dal letto e costretto a organizzare un posto di blocco sulla strada verso Erto. Gli dissero: devi andare là perché la Sade teme che ci sia un’ondatina d’acqua. Sapevano che la frana del monte Toc stava per crollare. Aste obbedì, mentre scappava è rimasto colpito alla schiena da una cascata d’acqua e fango ma si è salvato aggrappandosi alla roccia. In quel momento, girandosi, vide la grande ondata travolgere tutto, anche Longarone, dove la moglie e i figli moriranno».
Uno degli episodi più clamorosi che lei racconta riguarda Lorenzo Rizzato, negli anni Sessanta tecnico di Ingegneria idraulica all’Università di Padova.
«Sì, lavorava con il professor Augusto Ghetti, che nel 1961 aveva condotto un esperimento a Nove, sopra il lago Morto, per valutare con un modellino gli effetti di un’eventuale frana sulla diga del Vajont. Si rende conto che l’invaso non avrebbe retto e che Longarone era in pericolo. Ma nessuno disse niente e allora Rizzato consegnò copia dei documenti relativi alla simulazione a Franco Busetto, deputato del Pci, che presentò un’interrogazione parlamentare, denunciando il grave pericolo. Il giorno dopo, il 14 ottobre 1963, il tecnico allora 32enne venne arrestato e tenuto in carcere una settimana, prima di essere assolto per insussistenza di prove. Ma poiché la Sade finanziava Ingegneria Idraulica con 2,2 milioni di lire, Rizzato fu prima sospeso e trasferito dall’Ateneo, che per quattro anni gli ridusse lo stipendio di un terzo, e poi licenziato».
Da qui il suo appello all’Università di Padova?
«Sì, dopo sessant’anni e anche se ormai lui non c’è più, il suo nome va riabilitato. Lorenzo Rizzato ha avuto un coraggio da leone».
Lei la sua scommessa con questo libro l’ha vinta?
«Sì, era appunto di trovare verità nascoste e di riportare in vita le voci del popolo del Vajont. Ho recuperato mille voci dei sopravvissuti, il loro dolore e, per molti, il cruccio di non aver mai trovato i corpi dei familiari rimasti uccisi. E nemmeno dei resti, degli oggetti che potessero arginare una sofferenza mai sepolta. La frana del monte Toc ha ucciso 1910 persone: 1464 sono sepolte a Fortogna, ma di 181 non si è mai trovato il corpo. E poi ci sono 761 salme non identificate».
Lei scrive che i pescatori recuperarono in mare pezzi di quei corpi straziati.
«Sì, ma ho voluto raccontare anche le storie di chi si è miracolosamente salvato. Come la signora Maria di Pirago, dove è rimasto in piedi solo il campanile. Il giorno della tragedia, alle 18, il marito Giobatta pescava sul lago del Vajont e, rendendosi conto del rischio, la mandò a dormire dai parenti, a Forno di Zoldo, che lei raggiunse a piedi. Maria così sopravvisse ma il figlio no, perché non volle credere alle parole del padre».
Spiacevole, comunque, il refuso contenuto nell’articolo (e prontamente notato da Andrea G): la diga non e’ affatto crollata. Sta ancora in piedi. E’ un manufatto tecnologicamente fantastico; nel suo genere (e considerando quando fu innalzata) un capolavoro. Il problema e’ che non avrebbero mai dovuto piazzarla li’. E’ il monte ad esser crollato, perche’ geologicamente instabile. E questo l’avevano visto tutti, da lungo tempo.
Una delle innumerevoli questioni che hanno inquinato una lettura sana della sciagura del Vajont e’ la coloritura politica dei protagonisti: della SADE, del governo, di chi denunciava inascoltato, di chi ancora oggi aggiunge tasselli al mosaico. La tragedia di 2000 vite spezzate continua ad essere al centro di un tiro alla fune ideologico al quale non furono estranei neppure giornalisti del calibro di Montanelli. Persino sulla pagina wikipedia “disastro del Vajont” si cerca di minimizzare, ancor oggi a 60 anni di distanza, il risvolto economico della questione in quanto non avrebbe “trovato fondamento in sede giudiziaria” (il riferimento puntuale e’ alla c.d. corsa al collaudo). Pur inchinandoci alla versione processuale, giuridicamente acquisita, resta agli atti che fu lo stesso CDA della Sade a dar prova che il profitto era il nocciolo della questione: “Il giorno 19 di questo mese [ottobre, 10 giorni dopo la frana] perveniva il seguente telegramma a firma del Presidente dell’ENEL: “Immane frana monte Toc et riempimento parte essenziale invaso elettrico Vajont rivela mancanze delle qualità essenziali dell’intera opera a fini elettrici STOP Enel fa pertanto la più ampia riserva esercizio tutti diritti et azioni derivanti circostanze situazioni et fatti sopra denunciati”.
La SADE ribatte cosi’: «Appare evidente, dall’insieme di tali prese di posizione, che riecheggiano l’irresponsabile campagna della stampa di sinistra [evidentemente pure 2000 morti sono una “presa di posizione”], come esse siano preordinate a negare al complesso delle opere del Vajont la natura di BENI ELETTRICI allo scopo di portare il relativo VALORE IN DETRAZIONE DELL’INDENNIZZO spettante alla Società per la espropriazione dell’impresa elettrica” (maiuscolo mio). A fronte del disastro, l’Enel non vuole riconoscere alla diga del Vajont lo status di “bene elettrico” o a fine elettrico, ma la SADE non ci sta perche’ l’indennizzo sarebbe minore (il passaggio da SADE ad Enel non fu vendita ma esproprio con conseguente indennizzo). Non mi pare ci sia molto altro da aggiungere. La sciagurata condotta che ha permeato questo disastro (occultamento di perizie, connivenza politica-accademia-industria, scaricabarile di responsabilita’ etc) non ha fine: nessuno ha pagato, nessuno paghera’. Possiamo sperare che, almeno, si impari qualcosa?
Un grazie, al solito, a Don Giorgio per questo spazio.
Paolini eccezionale, ebbi modo di vedere la sua “Diretta sulla Memoria”, anni fa, e non solo una volta. Mi vengono ancora i brividi… Racconto estremamente coinvolgente, eccezionale. E pensare che la diga, probabilmente la migliore al mondo, è rimasta su! Contemporaneamente espressione del genio italiano e del crimine italiano…