Gli ultimi sopravvissuti alla strage di Gorla del 1944: «Le bombe sulla scuola, e quella carneficina dimenticata»

da www.corriere.it
13 ottobre 2024

Gli ultimi sopravvissuti

alla strage di Gorla del 1944:

«Le bombe sulla scuola,

e quella carneficina dimenticata»

di Marco Imarisio
Milano, il documentario sulla carneficina di Gorla, compiuta per errore dagli alleati nel 1944. Lunedì 14 il presidente Mattarella alla commemorazione
«Finché sono al mondo». Che poi è uno dei modi per dire io esisto, ho avuto una vita, sono una persona con una storia da raccontare. E da far ricordare, soprattutto. Un gruppo di anziani, seduti intorno a un tavolo. La ripetono spesso, quella frase. «La mamma ha detto alla mia maestra, che bella giornata, signora. E con lei ci siamo avviati verso l’ingresso della scuola. Siamo andati in cortile, per l’alzabandiera. Poi in classe, per la preghiera. E poi abbiamo fatto una pagina di D maiuscole. Io le ho fatte bene, e per premio mi hanno mandato in segreteria a farle vedere». «La nostra insegnante, la maestra Gazzina, aveva cominciato a spiegarci come si fa un tema, e il titolo che ci aveva dato era Il mio quaderno».
Prima il piccolo allarme, poi quello grande. «Fate le cartelle, potete andare a casa». Oppure, finite di copiare il dettato e poi scendete immediatamente in cantina. «Io mi sono attardata, e questo è stato uno dei motivi della mia salvezza. Sei ancora qua? Mi disse la bidella. Mi prese per mano e mi scaraventò fuori dall’aula». Era una mattina di sole, quella del 20 ottobre 1944. I raggi si riflettevano sugli aerei in avvicinamento, che intanto lasciavano cadere qualcosa. Qualcuno si fermò, pensava che fossero cioccolatini o beni commestibili, ogni tanto gli alleati facevano così, per aiutare la popolazione.
La guerra era quasi finita. Molte famiglie milanesi sfollate in campagna erano già ritornate. L’anno scolastico era cominciato da cinque giorni. Nel quartiere di Gorla, alla periferia nordorientale della città, si respirava, finalmente, una cauta atmosfera di ottimismo, se non di speranza. Poche ore prima, cento aerei americani erano decollati dalla Puglia, per colpire le fabbriche del nord Italia riconvertite a scopi bellici dai tedeschi. Su Milano c’erano sei formazioni da sei aerei, le cosiddette fortezze volanti.
La missione era fallita. Cercavano la Breda, ma una pattuglia aveva sbagliato rotta. Il secondo gruppo ricevette così l’ordine di liberarsi dalle bombe inesplose, era proibito rientrare carichi, troppo pericoloso. Non si è mai capito perché il comando Usa impose di farlo subito, sulla città, e non in mare. Gli archivi militari tacciono ancora oggi. «Erano grappoli grossi…» È stato calcolato che ci misero 180 secondi a cadere. Tre minuti. Un tempo infinito, per vederle, per avere paura. Ma troppo breve per cercare scampo. Sotto quelle bombe, ci sono Gorla e la sua scuola, e i suoi piccoli alunni. «Mi tenevo la cartella in testa. Volevo buttarla, pensavo se muoio cosa la tengo a fare, ma poi se vado a casa senza magari prendo le botte dalla mamma». «C’erano bimbi coperti di polvere, che non riuscivo a capire di che colore avevano gli occhi. Ancora oggi, non riesco più a guardare negli occhi le persone».
Morirono 184 bambini, di età compresa tra i quattro e gli undici anni, 15 insegnanti, quattro bidelli. Ma non si è mai capito quante fossero davvero le vittime. «Della sua classe si sono salvati tutti?» La risposta è un lungo silenzio, e uno sguardo rivolto al nulla. Mario Calabresi e Silvia Nucini hanno radunato gli ultimi sopravvissuti di quella strage, tutti ottuagenari, tutti descritti con l’età che avevano all’epoca, come se per loro il tempo si fosse fermato. La vita scorreva comunque, ma c’era un dolore, il senso di colpa di chi è sopravvissuto, che in qualche modo li teneva fermi a quel giorno. Tanto maledetto, quanto dimenticato. Il documentario che i due giornalisti milanesi hanno scritto insieme porta il titolo della prima frase di questo articolo, e contiene non una richiesta di giustizia, ma di memoria. Sono stati loro, i sopravvissuti, a cercare gli autori. Perché adesso che il loro tempo si avvicina alla fine, volevano adempiere al ruolo di testimone che quel giorno gli è stato assegnato. «Dopo di noi, non ci sarà più nessuno per ricordare».
La storia viene scritta dai vincitori, ogni tanto le frasi fatte si rivelano anche vere. Quella di Gorla è una strage rimossa. Le ragioni per cui quella carneficina è rimasta fino a pochi anni fa un fatto locale, non nazionale, forse neppure milanese, quasi soltanto di quartiere, sono evidenti. Quel che restava della propaganda fascista, cavalcò subito la vicenda. Sul tavolo attorno al quale si sono radunati per le riprese i vecchi bambini di allora, nella biblioteca ricavata dalla chiesa dove vennero portati i corpi dei loro compagni di scuola, sono sparsi gli oggetti recuperati dalle macerie, pennarelli, quaderni, cartelle ancora impolverate. C’è anche un manifesto dell’epoca, che raffigura una grande mano con la scritta Usa che stritola dei bimbi. A produrlo fu il ministero della cultura popolare della Repubblica sociale italiana.
Anche dopo, ci fu solo silenzio. «Per parecchio fu solo una cerimonia tra tante, mandavano qualcuno dal Comune e finiva lì» raccontava Sergio Francescatti, sette anni nel 1944. Insieme a Giuliano Lazzaroni, hanno regalato al documentario la loro ultima testimonianza prima di andarsene. Nell’Italia liberata dagli Usa, ferita al cuore dagli eccidi nazisti come quello di Marzabotto, avvenuto soltanto due settimane prima, la strage di Gorla compiuta per errore dagli alleati americani non aveva diritto di cittadinanza, non aveva un suo posto, non si sapeva bene dove metterla, meglio tacerla del tutto. E così fu. «Per un certo periodo ho cercato di rinnegare questa esperienza, quasi istintivamente, poi ci siamo tutti convinti che quello che abbiamo provato noi può essere in qualche modo di monito ad altri».
All’improvviso, succede qualcosa. Il nulla o quasi, per ottanta anni. Al massimo un sindaco, ma solo ogni tanto. E poi succede qualcosa. La volontà di questo gruppo, sopravvissuti che non si sono mai costituiti in una associazione, semplici persone dotate di incrollabile fiducia nel potere della parola e nel dovere della memoria, è quella di avere infine un riconoscimento pubblico. Non per sé stessi, ma per i loro amici, che sono rimasti bambini per sempre. «Finché sono al mondo», il documentario, è la leva che fa trovare il coraggio di una segnalazione al Quirinale.
Domani, Sergio Mattarella sarà il primo Presidente della Repubblica italiana a rendere omaggio di persona alle vittime di Gorla. La cerimonia che vedrà presente la più alta carica dello Stato si terrà davanti a quel monumento costruito grazie alla disperata determinazione dei genitori delle vittime. Per finanziarlo vendettero i mattoni che avevano schiacciato i loro figli. Due lire per quelli interi, cinquanta centesimi per quelli spezzati. Il partigiano Antonio Greppi, primo sindaco di Milano liberata, un figlio di 23 anni ucciso a sangue freddo dai fascisti, era riluttante. C’erano problemi di opportunità. Poi diede il suo assenso. «Anche io sono un padre».
Il figlio di Piero Sironi invece si chiamava Ambrogio ed era al suo primo giorno di scuola. Era appena tornato da Chiavenna con la madre. Per non andare in classe, si nascose nella cesta del fieno sul carro del suo papà. Quando Piero lo scoprì, a causa della segnalazione di un passante, si arrabbiò molto. Girò il carro, e portò il figlio a scuola. Non lo rivide mai più. Da allora, trascorse ognuna delle sere che gli restavano in osteria, schiacciato dal rimorso che lo ha accompagnato fino al suo ultimo giorno. Ci sono molti episodi come questo, alcuni tristi, alcuni che consolano, in un documentario di grande umanità, che andrà in onda il 19 ottobre su Rai 3. Perché Calabresi e Nucini credono al potere salvifico delle storie e degli esseri umani che le raccontano.
Non c’è una morale, non c’è nessuna frase scolpita nel marmo. A dire che la guerra fa schifo ci pensano con parole semplici i sopravvissuti di Gorla, che l’hanno subìta sulla loro pelle. Ma in questi tempi così inutilmente stupidi e cattivi, la scelta del nostro presidente di curare una antica ferita e la visione di «Finché sono al mondo» sono due cose buone e necessarie, che fanno bene al cuore.

IL PRESIDENTE MATTARELLA ALL’80° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI GORLA – fotografo: IMAGOECONOMICA VIA QUIRINALE

 

 

 

 

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