Signora Nora Lisa Passoni, Giudice monocratico del Tribunale di Lecco
Signora Nora Lisa Passoni, potrà sembrarLe del tutto inusuale che io scriva una lettera pubblica al Giudice monocratico di Lecco, che recentemente ha emesso una sentenza di condanna nei miei riguardi.
Signora, mi creda: la ritenga del tutto innocente, e in buona fede.
Anzitutto – forse avrei dovuto farlo nella mia ultima dichiarazione spontanea, ma mi sembrava una “captatio benevolentiae” inopportuna, anche se doverosa – La devo ringraziare per aver creato, in ogni Udienza, un tale clima di serenità da farci sentire a nostro agio: me, in particolare, che, essendo per fortuna la prima volta a dover subire un processo, all’inizio ero quasi pauroso di aprire la bocca. Non ho mai notato sul Suo volto un segno di stizza o di insofferenza, ma solo una grande attenzione e rispetto per quanto succedeva in Aula. Gentilezza e fermezza, unitamente ad una grande lucidità di sintesi degli interventi.
Detto questo, vorrei permettermi qualche personale riflessione sulla sentenza. Se questa merita rispetto, non mi toglie però il diritto di dire la mia opinione, che è anzitutto l’amarezza per una condanna che non solo ha ferito la mia persona (qui sì che è in gioco anche la persona), ma quel diritto alla libertà di opinione, sul quale i miei avvocati, magistralmente, hanno costruito le loro arringhe, allo scopo di demolire quella inveterata e scontata mentalità (senz’altro presente in Italia), secondo cui ogni parola fuori dei canoni è ritenuta necessariamente un’offesa alla persona.
So di essere ripetitivo e noioso, per non dire petulante, ma non mi stancherò mai di insistere sulla distinzione tra persona e comportamento, tra giornalista e servizio giornalistico, ecc., e ritengo del tutto assurdo che non si comprenda, o non si voglia comprendere, che tale distinzione è fondamentale, anche perché permette di andare oltre il singolo caso, per allargare il discorso sul comportamento sociale, che purtroppo sembra sfuggire ad ogni valutazione critica, perché c’è sempre il cappio di una querela sempre pronta a minacciare chiunque tentasse di turbare il rispetto della persona.
E qui, signora Giudice, vorrei alzare il tono. Ma perché ho scritto quell’articolo, ritenuto “offensivo” e per il quale sono stato “condannato”? Forse perché ce l’avevo con la signora Grazia Graziadei? Nessun motivo di carattere personale, solo che il suo servizio giornalistico l’ho ritenuto lesivo della veridicità dei fatti e perciò lesivo della professionalità di una giornalista che, con tutto il diritto di esprimere anch’ella la sua opinione, doveva però prima descrivere i fatti obiettivi, senza reinterpretarli in vista dell’accondiscendenza del regime di turno. Non ho mai offeso nessuno per il gusto di offendere la singola persona, ma casomai ho sempre combattuto con l’unico intento di difendere quei valori umani, sociali e politici, nonché religiosi, quando restano vittime di uno strapotere strutturale o di una massa di gente che non sa difendersi dal trucco perverso di chi la soggioga.
Ed ecco cosa succede? Si prendono due o tre parole di troppo, si estrapolano dal loro contesto e così si manda a ramengo tutta una lotta, che è già rischiosa di per sé, fino a portarla alla ghigliottina finale. E come al solito chi sono i vincitori?
Signora Giudice, pensavo che finalmente si arrivasse a cogliere, se non altro, la possibilità di uscire dal cerchio stretto di una legge, tanto formale da accontentarsi delle parole in sé, senza andare oltre il loro aspetto esteriore.
Sì, qualche speranza l’avevo che si uscisse una buona volta dal cerchio ferreo di sentenze “copia e incolla”. Ma… si è sempre fatto così, e si continua a farlo! Perché rischiare la propria carriera? Questo è il punto: non voler rompere il cerchio, per evitare di subirne qualche conseguenza. E così le conseguenze le paga chi invece ha il coraggio di subire querele, pur di rompere il cerchio dei timorosi che tacciono per paura di una condanna, che sembra inevitabile in un Paese, come l’Italia, dove le querele per diffamazione danno sempre ragione alla parte “lesa”.
Ma forse non è neanche così, dal momento che oramai tutto sembra permesso su internet, dove, se metti una notizia, ricevi subito mille insulti. Sembra che sia nata la convinzione che oramai tutto sia permesso, in nome di chissà quale principio non si sa. Ma mi sta bene così, soprattutto se, ad essere preso di mira è un personaggio pubblico, che deve essere disposto ad ogni critica e anche ad ogni offesa. Ed è accettando anche eventuali prevaricazioni che si difende quel sacrosanto diritto di opinione o di espressione che, invece, potrebbe essere messo in pericolo, proprio per condannare offese o insulti, trovando sempre il modo per giudicarli tali, anche quando non lo fossero. Ed è togliendo la possibilità di querelare che si toglie anche la possibilità di mettere a rischio la libertà di opinione.
Signora Giudice, Lei comprende benissimo ciò che sto dicendo, anche se il mio modo di esprimersi può sembrare contorto. E allora per essere più chiaro: la Sua sentenza mi brucia, e mi brucerà sempre, nonostante il tempo che, come dicono, è come un rimedio che risana ogni male. Mi brucia anche perché mi pare di aver letto un certo disagio tra le sue parole, quando ha pronunciato la sentenza. Forse Lei voleva “personalmente uscire dai soliti binari, ma, come Giudice, non si è sentita di farlo.
Ma il tempo mi darà ragione, anche se quel momento, quando arriverà, non potrà essermi di conforto, poiché le mie ceneri saranno dissolte in qualche torrente locale e non potranno assistere a un Suo eventuale rimorso: sì, perché, quando Lei sarà avanti negli anni, magari riconoscerà di aver perso una grande occasione: poteva essere la prima, o quasi, a uscire dal cerchio, emettendo una sentenza di assoluzione per il diritto di opinione. E magari sarà Lei a sentire il bruciore per una sentenza “copia e incolla”, emessa quando era ancora giovane, preoccupata però di non rischiare, uscendo da una consuetudine quasi sacra e intoccabile. Ma, ne sono sicuro, non passerà molto tempo, e qualche Giudice più coraggioso aprirà una nuova strada: nuova per modo di dire, visto che già la nostra Costituzione è aperta ad essere interpretata in favore della libertà di opinione.
Signora Giudice, rispetto la Sua sentenza, ma non riesco proprio a condividerla: dividerla cioè con la mia coscienza di cittadino deluso e dividerla con quel principio della libertà di opinione che fa parte di ogni vera Democrazia.
Ossequi sinceri
don Giorgio De Capitani
Si è vero, ci sono alcune categorie professionali per le quali, usando un eufemismo, ho una certa diffidenza, come ad esempio avvocati e giornalisti. Vorrei tanto non fare generalizzazioni, ma il mestiere dell’avvocato, a volte (troppe), mi fa venire in mente l’Azzeccarbugli di Manzoni , non fosse altro che per la sfacciataggine con cui svolgono il loro compito. Non per niente, se ci si fa caso, spesso gli avvocati bravi, o quelli “di grido”, devono la loro fama più che all’abilità nel saper assistere i propri clienti dimostrandone la non colpevolezza o comunque rendendo loro giustizia, all’astuzia e alla disinvoltura con cui riescono a trovare lacune o scappatoie nei risvolti nella legge e nei meccanismi procedurali, così da poter manipolare la situazione e aggirare le norme più facilmente. In pratica stabilire la verità dei fatti non è una priorità, la cosa importante è vincere o comunque sapersi vendere bene. Anche per i giornalisti, o almeno alcuni di loro, la verità non è fondamentale, considerato che non si fanno molti scrupoli nell’accertare l’autenticità di ciò che raccontano e verificare l’attendibilità di testimonianze e circostanze. Quello che conta è suscitare interesse stimolando la curiosità dei lettori e, possibilmente, riuscire a fare scalpore. Tanto c’ e sempre la possibilità, se si rende necessario, di ricorrere alle smentite o scaricare le responsabilità su qualcun altro, nascondendosi dietro al segreto professionale, così da evitare di rivelare le proprie fonti e il modo in cui si è venuti a conoscenza dell’accaduto.
Aggiungo questo commento, suggeritomi da Giuseppe.
In parte non centra direttamente con il tema specifico, cioè la sentenza pronunciata dal giudice Passoni, ma visto il precedente intervento, in cui sembra quasi che alcune professioni, come tali, siano tra il peggio che possa esistere….
Credo che ogni professione, quella dell’avvocato, come quella del giudice, del giornalista, e tante altre, possano essere svolte correttamente o meno.
In spregio anche solo alle più elementari norme deontologiche, o nel pieno rispetto delle stesse.
Dico questo, in particolare avendo svolto, per un periodo della mia vita, proprio l’attività forense, ed avendo avuto modo di conoscere direttamente un certo contesto.
Peraltro avvocato e giornalista sono professioni alla base dei fondamenti non solo della democrazia, ma di quello che chiamiamo stato di diritto.
Una democrazia senza una informazione libera e corretta rischia di divenire solo il simulacro di una democrazia, come uno stato di diritto senza avvocati.
Anche sulla professione forense esistono peraltro molti luoghi comuni.
Intanto, non tutti gli avvocati sono penalisti.
Inoltre anche tra i penalisti c’è anche chi rappresenta le vittime di un reato, contrapponendosi alla difesa.
Ed anche tra i difensori, non tutti sono azzeccagarbugli.
Peraltro il cosiddetto azzeccagarbugli non ha neppure ragion di esistere, perchè i giudici non sono lì per farsi ingannare da costoro.
L’avvocato difensore è comunque uno che si deve rendere conto che talora cercare di ingannare il giudice va solo a spese del proprio assistito.
Inventandosi ad esempio ricostruzioni che non stanno in piedi, che comporteranno un aggravio di pena, se sostenute dal proprio assistito.
Quanto a cavilli e quant’altro, questi non sono creati dagli avvocati, ma esistono nella legge stessa, ed è stato il legislatore, in primis, a volerli.
Se, ad esempio, la legge ritiene che un reato debba cadere in prescrizione, perchè dopo un certo periodo di tempo lo stato non ha più interesse a perseguirlo, il difensore nel rilevarla non fa altro che svolgere il suo compito, cioè svolgere la miglior difesa possibile, nei limiti della legge stessa, garantendo il diritto alla difesa.
Del resto, perchè non domandarsi, semmai, se i magistrati in primis, non commettono errori o abusi.
E chi vigila su di questi, se non l’avvocato?
Peraltro in molti casi i giudici sono onorari, quindi, ad esempio, anche avvocati presi a prestito dall’ordinamento giudiziario, come i vice procuratori onorari, che svolgono ruoli di pm.
E pensiamo, peraltro, a casi come quello di Enzo Tortora.
Se non fosse stato per alcuni avvocati, chi avrebbe restituito giustizia alla sua persona ed alla famiglia?
Comunque sta all’avvocato decidere se difendere o meno un determinato caso, quindi un avvocato onesto proporrà solo la difesa che ritiene utile, e compatibile con la situazione e le norme di legge, oltre che con la propria coscienza.
Poi, certo, avvocati, piuttosto che giornalisti disonesti, ci sono, ma quale categoria si salva?
Appunto, non credo nelle generalizzazioni, non ci ho mai creduto, ed a maggior ragione non posso condividerle in ambiti, di cui ho avuto diretta esperienza.
Ma, del resto, pensiamo anche proprio ai giudici.
Nei diversi gradi e nelle diverse fasi in cui si può articolare un processo, notiamo spesso decisioni contrastanti.
Pensiamo ad esempio al caso di Roberta Ragusa ed alle contrastanti decisioni del precedente giudice con quelle attuali della cassazione
Allora questo non dimostrerebbe che qualcuno, proprio, in primis tra i giudici, è il primo ad aver sbagliato?
Perchè, se uno decide il giusto, necessariamente è errata la decisione, difforme, di un altro giudice.
Nello specifico caso di don Giorgio, il giudice avrà sicuramente deciso secondo coscienza, in applicazione della propria conoscenza della legge e secondo i propri convincimenti, ma ho già evidenziato, nel mio NON è, a mio avviso, condivisibile tale sentenza.
Per cui, se andiamo a vedere, non mancano in primis gli errori giudiziari, e compito dell’avvocato è proprio quello innanzi tutto di correggere o cercare di far correggere tali errori, funzione impossibile senza avvocati.
Aggiungo poi che il diritto è uno strumento, anche quotidiano, di regolazione dei rapporti civili.
E, senza specifici legali, preparati in materia, come si farebbe anche solo ad arrivare a preparare certi contratti?
Oppure pensiamo alle leggi.
Molte sono elaborate proprio da legali, che poi passano il testo ai politici per farle approvare.
Anche solo questo aspetto dimostra che senza professionisti in tale ambito, probabilmente la società neppure potrebbe esistere.
Già gli antichi romani dicevano: ubi jus, ibi societas, ubi societas, ibi jus.
Non sapevo che una giornalista avesse portato in giudizio Don Giorgio e che avesse resistito fino a farlo condannare; spero la questione venga risolta in appello. Bene ha fatto ribadire il suo dissenso rendendo pubblica una lettera nella quale rilevo una fame di giustizia, di equilibrio e di lontananza dalla “realtà” veramente commoventi; da lontano, ma vicino nel cuore desidero esprimere la massima solidarietà.
una condatta alla LIBETA’ DI OPINIONE… povera Democrazia!!!
Coraggio don Giorgio, noi siamo con te.
scusate i refusi!
Non sapevo di questa condanna, e molte sono le cose che mi vengono in mente.
Procederò quindi in ordine sparso, come mi vengono.
LA prima riflessione è che mi auguro si tratti solo di una condanna che verrà ribaltata nelle successive fasi di giudizio.
Immagino, infatti, che i legali stiano già preparando ricorso…..
Altra fondamentale riflessione è proprio questa, prendendo spunto dalle esatte parole dell’articolo.
Certo, le sentenze si rispettano, ma questo non va confuso con il condividerle.
Immagino peraltro, come solitamente avviene, che in aula sia stato letto solo il cosiddetto dispositivo, cioè la decisione, comprensiva di aspetti penali e civili, ma la vera sentenza sta nella motivazione, ed è in questa che vanno colti gli elementi di fatto e di diritto che, nel loro complesso, costituiscono infatti motivazione.
Sarò sincero, fossi stato nell’avvocato, dopo aver appurato la mancata comprensione di tale fattispecie tra quelle depenalizzate (ed in tal caso il giudice sarebbe stato costretto ad assolvere), avrei continuato a suggerire di chiudere il tutto con qualche forma di oblazione.
Non già perchè non vada difeso il punto di vista del proprio assistito, ma proprio conoscendo sino in fondo certa mentalità appunto conservatrice dei giudici italiani.
Vorrei naturalmente cogliere l’occasione per dire che sono sinceramente dispiaciuto di come sono andate le cose, ma vorrei, al contempo, suggerire un’ulteriore linea di difesa, che proprio per i principi esposti, sarebbe ulteriore difesa di certi principi anche costituzionali.
Ebbene, la nostra costituzione afferma, tra l’altro, che il nostro ordinamento si informa ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.
Tra questi principi, vorrei dire che sussiste proprio quello indicato da una sempre più ampia giurisprudenza estera, quindi internazionale, per il quale la ripresa di altri articoli, come, se non ricordo male, avvenuto proprio nel caso in questione, non costituisce diffamazione.
Inoltre, anche senza necessità di scomodare il diritto internazionale generalmente riconosciuto, espressione specifica della nostra costituzione, mi pare che nel caso di specie sia presente una scriminante quanto meno putativa.
Anche in tal senso non possono condividere, in primis in punto di diritto, la succitata sentenza.
Mi spiego.
Nel nostro diritto penale esistono circostanze, non solo quelle tipiche indicate dalla legge, ma altre, atipiche, definite dalla giurisprudenza, in presenza delle quali non sussiste l’illiceità di un fatto, altrimenti considerato illecito.
A mio avviso questa scriminante è da ravvisare nel fatto che ormai, piaccia o non piaccia, in certo agone politico un certo tipo di linguaggio è la consuetudine.
E che nel caso in questione si tratti di questione politica mi pare ovvio, visti i contenuti dell’articolo della giornalista, che si occupava di politici.
Pertanto, si può anche essere indotti a pensare, per giustificato motivo, che la materia della Graziadei ricadesse in un ambito, in cui un certo tipo di linguaggio, usato per esprimere critiche ed opinioni, è ormai divenuto la consuetudine.
Pertanto scriminante, perchè circostanze che scrimina un comportamento, e quanto meno putativa, perchè si è stati indotti a ritenere, anche se eventualmente erroneamente, che di tale materia si trattasse.
Infatti di politici si trattava e di ricostruzione di un fatto, ricostruzione rispetto alla quale le critiche erano lecite e, ritenendosi di essere in ambito politico, si poteva anche essere indotti a pensare che, come di consuetudine in un certo contesto, fosse lecito un certo tipo di linguaggio.
Ma, si sa, spesso molti giudici non vanno troppo per il sottile,
e chissà se mai applicano o hanno applicato a qualche caso questa fattispecie, che pur esiste nel nostro diritto penale, della scriminante quanto meno putativa.
Vorrei aggiungere una cosa: se necessitano fondi, anche solo per pagare spese, basta indicare un iban o un conto corrente bancario, e non solo da parte mia, credo che la solidarietà non mancherebbe.
Ringrazio per la solidarietà e per la disponibilità a pagare le spese (che non sono poche, arriverò a 10 mila €), ma sono sempre del parere che chi sbaglia paga di tasca sua. Per sapere come sono andate le cose nell’ultima udienza, ecco il link
http://www.merateonline.it/articolo.php?idd=67256
Ho letto il resoconto e noto almeno una cosa positiva.
E’ stata almeno accolta la tesi che riportare un articolo di altri non costituisce reato.
Bisognerebbe, a mio avviso, in caso di ricorso, puntare sulla scriminante quanto meno putativa, come dicevo sopra.
Sono convinto che almeno a livello di cassazione la tesi potrebbe essere accolta.
Una strategia, infatti, consisterebbe eventualmente nel saltare l’appello e ricorrere direttamente in cassazione.
Questo tipo di strategia ha i suoi pro ed i suoi contro ( tra i contro il fatto che si rinuncia, di fatto, ad un periodo di tempo utile alla eventuale prescrizione, saltando l’appello), ed il collegio difensivo saprà sicuramente valutare al meglio.
“E’ stata almeno accolta la tesi che riportare un articolo di altri non costituisce reato”. Così la penso anch’io, ma non è dello stesso parere il mio avvocato. Comunque, vedremo le motivazioni.