di don Giorgio De Capitani
Che dire? Caso isolato di malcontento oppure un preoccupante segnale che va oltre una zona, pur ristretta, della Diocesi milanese? Si sta rompendo l’omertà o, meglio, il velo dell’indifferenza del popolo di Dio, che finora, pur mugugnando senza però alzare troppo la voce di protesta, è rimasto finora succube di una situazione degenerativa di un generale appiattimento pastorale?
Ciò che è interessante della lettera, che vi proponiamo integralmente, è che essa proviene da alcuni membri dei Consigli pastorali di alcuni paesi della Valsassina (Lecco), che tra l’altro ho conosciuto, tantissimi anni fa, quando, nel mio primo incarico pastorale (era l’anno 1963) ero stato mandato a Introbio come aiutante del parroco don Arturo Fumagalli.
Ma credo che tutta la Diocesi sia soggetta ad una dissennata pastorale che sta via via omologando in una generale piattitudine le parrocchie cittadine, periferiche, di campagna, di collina o di montagna, senza rendersi conto che non si tratta dello stesso calderone, dove bolle di tutto, supposto che a bollire sia rimasto ancora qualcosa.
La Diocesi milanese è diventata una polveriera, che può da un momento all’altro scoppiare, ma i Superiori se ne stanno ancora tranquilli, confidando nella coglioneria di un popolo di fedeli, a cui basta poco per essere castrato nella coscienza: dar loro “panem et circenses”, intendendo per “panem” anche le ostie consacrate, private però del Mistero provocante del Cristo della fede, e intendendo per “circenses” tutto quell’insieme sempre più imponente e accattivante di feste culinarie e di attività apparentemente culturali, come gite o altro (purché “se magna”), con tanto fumo di opere caritative, che servono a scaricare dalla coscienza qualche peso di troppo di una vita ridotta al più osceno paganesimo, o per accaparrarsi già una fetta di paradiso.
Certo, il problema non è solo un clero alla deriva, o semplicemente di pacifici esecutori del minimo indispensabile per svolgere una pastorale del quieto vivere: sono coloro che si sentono ben stretta al culo la sedia di un incarico pastorale che dà da vivere, senza sudare come fanno i comuni operai costretti ad un genere di vita direi quasi disumano.
Il problema è anche del laicato cattolico, che frequenta gli ambienti parrocchiali, e qui sarebbe il caso di dire che le parrocchie, stando in periferia, ovvero prendendo la comunità cristiana nel suoi aspetti più deteriori, sono diventate centri commerciali, o di benessere estetizzante, o di consumo sacramentale nei suoi elementi rituali folcloristici, o di massa anonima che ondeggia or qua or là, anche con qualche tentativo di rinnovamento, ma senza mai arrivare a cogliere il vero nocciolo della questione, che è quello di una educazione sincera e integrale del cuore e della mente.
Basterebbe pensare ai ragazzi. Vengono educati ad una fede forse più catechistica che di vita, e poi in quale contesto pastorale sono costretti a vivere? E subito se ne vanno, lontano.
Sono d’accordo che la lettera dei laici valsassinesi pone solo qualche aspetto del problema pastorale, ma quando scrivono che i preti d’oggi, anche per il fatto che sono pochi, perciò hanno più mansioni pastorali, si limitano a fare i burocrati, dicono del vero, ma il problema è ancora più di fondo: oggi i preti non solo corrono di qua e di là come cavallette, ma incidono ben poco nel cuore della gente, che resta sempre più lontana da se stessa, perché fagocitata in mille preoccupazioni di carattere esistenziale.
E il clero che fa? Fa come quel prete conosciuto tanti anni fa che mi diceva, quasi rassegnato : “Ho suonato le campane, ho acceso le candele e ora aspetto la gente. Se viene viene, altrimenti che devo fare? Io ho fatto ciò che dovevo fare”.
Oggi la situazione è ancora peggiore, e i preti sono ancora più rassegnati: le chiese sono per lo più chiuse, le Messe sono più poche, e la gente è sparita dall’attività parrocchiale, stando in periferia della parrocchia, ovvero frequentandola nei suoi aspetti più esteriori.
Certo, qualche stratagemma lo si inventa: si organizzano raduni di Alpini, anniversari vari, celebrazioni extra, e allora qualche Messa sembra più frequentata. L’esempio viene dal Duomo, dove il cardinale Scola per riempirlo fa organizzare le Messe d’Avvento dalle varie Associazioni e Movimenti ecclesiali. Ma il Duomo, come le chiese della Diocesi, normalmente si è svuotato.
Ma la fede ordinaria del popolo di Dio dov’è?
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da www.valsassinesenews.com
“PARROCI O BUROCRATI?”.
LA RIBELLIONE DI ALCUNI FEDELI VALSASSINESI
16 dicembre 2016
VALSASSINA – “Siamo alcuni componenti dei consigli pastorali di alcuni paesi della valle e ci permettiamo di sottoporre al vostro giornale alcune nostre riflessioni sui comportamenti dei nostri Parroci”.
Così viene introdotta una lettera durissima giunta stamattina in redazione – che vi proponiamo integralmente e sulla quale Valsassinanews allargherà il dibattito, interessando parroci, decanato della Valle e Diocesi.
S. NATALE 2016
NELLA NOSTRA VALLE CI SONO PARROCI O BUROCRATI ?
Povera Chiesa e poveri cristiani, che cosa ci tocca di vedere: i nostri Parroci benedicono le nostre case solo su richiesta – probabilmente da inoltrare in posta elettronica.
Già ci era toccato di sentire che per far celebrare messe in onore dei familiari scomparsi bisognava inoltrare loro specifiche richieste via posta elettronica!
Ma questi parroci cittadini – trasferiti in valle da qualche anno – si rendono conto che si trovano in realtà di Periferia dove l’essere cristiani, con i nostri riferimenti di fede e di tradizione, ci fa sentire possibilmente più vicini e coesi nelle nostre comunità?
Questi sono Sacerdoti, burocrati, o testimoni della fede cristiana?
Noi Valsassinesi non siamo cittadini di quartieri con migliaia di residenti ove realmente diventa difficile testimoniare con gesti di tradizione e di fede la nostra cristianità.
I Parroci della valle da qualche anno a questa parte si sono limitati a comportarsi come se fossero in un quartiere di una grande città, infatti hanno testimoniato:
– La chiusura delle chiese (o meglio sono aperte solo per le S. Messe) dimenticandosi dell’appello del Santo Padre lanciato nel settembre 2015 dove letteralmente ha detto “le istituzioni con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei”
– La celebrazione delle cresime e comunioni dei nostri figli non nelle nostre Chiese Parrocchiali ma addirittura Lecco
– La capacità di smistare bollette di utenze varie cambiando i diversi call center
– La gestione dei patrimoni delle parrocchie quasi fossero dei ragionieri o degli impresari
– Dismettono – di fatto – le nostre tradizioni
– Celebrano processioni decanali e non più nei nostri paesi
– Minacciano la chiusura degli oratori
– E tante altre cose ancora che non vale neanche la pena di elencare.
Sinceramente non era questo che ci aspettavamo dopo la partenza dei nostri vecchi Parroci e ne siamo delusi.
Ma nella loro vocazione – forse – non erano questi gli obiettivi da raggiungere, ma ben altri.
Con quale coscienza si presenteranno davanti al Santo Padre Papa Francesco quando sarà a Milano nella prossima primavera?!
Papa Benedetto ha affermato che “la chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”; i cittadini delle parrocchie della valle si domandano se i nostri Parroci siano o meno capaci di “attrarre” applicando cosi l’auspicio di Papa Benedetto, oppure no.
Certo, questi Parroci con i loro comportamenti – rispetto alla fede che dovrebbero testimoniare – potrebbero essere collocati nella divina commedia tra gli ignavi.
Parroci: burocrati o testimoni della fede? Non sono né un parroco, né un fedele della Valsassina. Sono solo un nonno quasi settantenne accattone dello Spirito che “vede” la soluzione all’interrogativo dei fedeli della Valsassina in Paolo di Tarso. Prendo spunti dalla riscoperta di Paolo dello studioso Rinaldo Fabris. Paolo proclama il vangelo di Dio come offerta di salvezza a tutti (ai cittadini dei quartieri di una città e ai paesani della Valsassina) facendosi “ebreo con gli ebrei e greco con i greci” (cittadino con i cittadini e paesano con i paesani). I parroci della Valsassina, penso, lo conoscano attraverso le sue lettere. Se sì, sarà per loro un sano antidoto contro il rischio di ridurre l’esperienza cristiana a un moralismo sterile o a un ritualismo superficiale (il nostro caso). Resteranno fedeli, come fa Paolo, alla logica del Vangelo che è la rivelazione dell’amore di Dio dentro la condizione umana. Paolo ripete continuamente: “Amatevi gli uni gli altri”. L’amore reciproco è la conseguenza diretta dell’esperienza di fede che diventa attiva nell’amore. La reciprocità di rapporti positivi deriva dall’amore donato da Dio che libera la persona dal suo egoismo e nello stesso tempo la rende disponibile ad accogliere il dono dell’altro. La dimensione relazionale dell’esperienza cristiana è una terapia contro la tendenza all’individualismo e contro il rischio dell’intimismo spirituale. La libertà cristiana proposta da Paolo è un antidoto contro il rischio dell’appiattimento e del conformismo. Solo persone libere interiormente sono in grado di stabilire con gli altri relazioni equilibrate senza cadere nel gregarismo sociale e senza cedere alla pressione del corporativismo. Il suo metodo è un antidoto contro il proselitismo che fa leva sul ricatto delle persone e sulla pressione psicologica. Nella logica della grazia di Dio e nell’orizzonte della libertà dello Spirito la missione si realizza nello reciproco scambio dei doni ricevuti da Dio (i parroci che scambiano con i fedeli i loro doni). Non bisogna lasciarsi impressionare dall’azione di Paolo condizionata dal suo temperamento (quello di don Giorgio non è da meno, ma anche don Milani e padre Turoldo che ho conosciuto non scherzavano). Il suo pensiero dipende dall’ambiente culturale in cui vive ed opera, resta comunque sempre valida la sua capacità di sintonizzarsi con i grandi problemi dell’essere umano e di comunicare con immediatezza ed efficacia la sua esperienza di fede. Buon Natale a don Giorgio e a chi scrive su questo blog.
La risposta alla domanda è : SI, super si.
Comunque le chiese fuori dalla diocesi di milanosono ancora più vuote. In Emilia ad esempio conosco paesi da 7000 abitanti con una sola chiesa n funzione in cui l’unica messa domenicale ha circa 30-40 fedeli rimasti, e tutti over 70. nemmeno i bambini del catechismo vanno più a messa…ormai la parrocchia avrù un decennio di vita o forse meno..
“avrà” scusate la battitura.
Comunque è necessaria una riforma che riscopra i colori del nostro spirito.
I tempi cambiano, anche per colpa di certi comportamenti.
Oggi i fedeli sono certamente in diminuzione, ma anche tra i sacerdoti le cose vengono viste diversamente.
Alcune attività, per loro natura, erano considerate vere e proprie missioni, una volta, come anche quella del medico.
Poi, probabilmente anche per una certa secolarizzazione dell’intera società, invece ecco che anche quelle attività sono oggi, da molti, viste più come incarichi, che come missioni.
Più come lavori, che altro.
Di qui anche un senso di fastidio, da parte di alcuni sacerdoti, nell’andare oltre l’ordinario, nel venire incontro anche a chi non è interessato solo a feste e festicciole varie ( occasioni che portano comunque qualche soldo).
Posso anche confermare quanto detto da Giuseppe, proprio con un aneddoto personale.
Per motivi legati ad un supporto legale, che ho dato gratuitamente, in via di amicizia, ho partecipato ad una riunione di un condominio, proprio recentemente tenutasi nei locali di una parrocchia.
Ebbene, ho visto che l’amministratore tirava fuori un libretto degli assegni per pagare il parroco.
Ne desumo, peraltro, che la cifra non doveva essere modica, perchè in quel caso presumo che il pagamento sarebbe avvenuto in contanti.
Comunque sia, devo dire che ho spesso trovato più comprensione per vicende umane ed esistenziali, in genere, presso dei laici, che presso dei sacerdoti.
Ricordo ancora che, rispetto a mie esigenze di esercitarmi su un organo a canne, erano più i no, dei sì.
I sì li ottenevo, ma quando il parroco, essendo l’organista di ruolo impossibilitato, per qualche motivo, allora doveva ricorrere ad un esterno per la musica.
Insomma, il classico do ut des, che forse, sopratutto in certi ambiti, proprio non dovrebbe esistere, o sbaglio?
Comunque, per venire alla domanda conclusiva, cioè la fede dove sia finita, vorrei rispondere ancora con un aneddoto personale.
Quando ho il computer che non funziona, capita che usi quello di un internet point, per le mie esigenze.
Ovviamente, anche i computers degli internet point si guastano, e in una di queste occasioni, ho sentito il dialogo tra il titolare ed un tecnico, che ne stava appunto aggiustando uno.
Si parlava proprio di religione, ed il tecnico più o meno esprimeva questo concetto: secondo lui, se la religione continuava di questo passo, tra un po’ non avrebbe più significato nulla per la maggior parte delle persone.
Tempo, secondo lui, una o due generazioni, e le chiese sarebbero rimaste definitivamente vuote.
Non so se abbia ragione o meno, ma, di sicuro, certi comportamenti dei parroci aiutano in tal senso, cioè a non smentire coloro che dicono: religione, andare in chiesa?
Per carità, meglio lasciar perdere….
Interessante il suo aneddoto dell’internet point. n potrei elencare di simili a decine. Oggi è difficile anche solo credere nel proprio intimo ad un’entità soprannaturale come quella ce intende (questa) gerarchia. Non è assolutamente più adatta alla conoscenza a cui la scienza ci fa accedere. e la società poi ha enormi e gravissimi difetti comunque ovvio. La fede profonda sopravviverebbe dove dicesse cose credibili (non in contrasto manifesto con la scienza) e non strutturali.
Credo che il fenomeno sia molto diffuso, e investa un po’ tutte le località del nostro bel paese. Mancano pochi giorni a Natale e quale migliore occasione per organizzare mercatini, mostre e rappresentazioni di arte varia? So di parrocchie che lasciano usare i propri locali (non solo in questo periodo dell’anno) per assemblee condominiali, feste private, riunioni conviviali e incontri delle più diverse associazioni, ma non gratuitamente o dietro rilascio di un offerta simbolica, come ci si aspetterebbe da un organismo di questo tipo, bensì dietro pagamento di un vero proprio canone di locazione, con tariffe prestabilite e, volendo, in ceri casi, anche con fornitura di servizio di catering…