Omelie 2022 di don Giorgio: DELLA INCARNAZIONE o della Divina Maternità di Maria

18 dicembre 2022: DELLA INCARNAZIONE o della Divina Maternità di Maria
Is 62,10-63,3b; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Prima di dire qualcosa sui brani della Messa, proclamiamo, anche con una solenne pubblica gioia, che questa sesta domenica di Avvento, che precede il Natale, è dedicata dalla Liturgia alla Divina Maternità della beata sempre Vergine Maria.
Non è bastata una festa, ovvero l’Immacolata Concezione di Maria, dell’otto dicembre, a farci uscire, anche se per un solo giorno, da un periodo penitenziale di attesa (penitenziale per modo di dire): questa sesta domenica è come una potente luce che si riflette sul mondo intero e che parte da un grembo femminile fecondato con il seme dello Spirito.
Sta qui tutta la radicale differenza tra Giovanni il Battista, che tra l’altro ha fatto bene la sua parte di precursore nel preparare gli animi della gente alla conversione, anche se solo di carattere morale, e Maria di Nazaret, che va ben oltre la sua fisicità: l’incontro con il messaggero celeste è un capolavoro di quella Grazia che afferra la realtà più interiore.
Già ci siamo soffermati sulla grazia nell’omelia di domenica scorsa, ma non basta, se è vero che “tutto è Grazia”, come tutto è Dono gratuito divino. Dire gratuito non sembra scontato, visto che solitamente i doni che ci scambiamo vogliono un certo tornaconto.
Parlavo di incontro, ed è già interessante la parola “incontro”: etimologicamente dice quel mettersi l’uno di fronte all’altro, non tanto per una sfida, per un insanabile contrasto, quanto invece per un confronto, pur dialettico.
Ogni incontro che troviamo nei Vangeli dice o suggerisce appunto questo: pensiamo all’incontro/dialogo tra Gesù e la samaritana, tra Gesù e Nicodemo, tra Gesù e il cieco dalla nascita, tra Gesù e le sorelle Marta e Maria, tra Gesù e la Maddalena.
Ma l’incontro dell’angelo Gabriele con Maria di Nazaret è del tutto eccezionale: ha richiesto tutta l’abilità letteraria di Luca, senza dimenticare l’ispirazione divina, che ci ha messo del suo. Ma dietro l’evangelista troviamo anche e soprattutto la fede autentica dei primi cristiani. Forse meno (qui una critica non guasta), aiuterà poi l’arte di pittori e di scultori che, ognuno, anche con una certa dovizia di particolari fuori posto, hanno tentato di raffigurare ciò che i primi cristiani avevano fatto appena intuire anche con parole umane, talora tradite nel loro senso originale con una traduzione poco felice e fuorviante. Pensate alla prima parola dell’angelo: in greco troviamo “kàire”, tradotta in latino “ave”, in italiano “salve”, ovvero “ti saluto”. Kàire in greco significa “gioisci, rallegrati”.
E se i pittori più famosi, in modo più o meno dignitoso, si sono limitati a raffigurare fisicamente l’angelo (il Beato Angelico non fa eccezione pur nella sua peculiare nobiltà artistica), solo i Mistici ci aiutano a cogliere l’Incontro nella sua anche lirica interiorità.
Più il dialogo tra l’angelo e Maria si fa intimamente interiore, più acquista il senso profondo del Mistero divino: tanto più si scende nel Pozzo dell’essere, tanto più ci si immerge nel mondo dello Spirito. Maria si è trovata, quasi di colpo, senza che se l’aspettasse, a contatto con lo Spirito, che l’angelo ha comunicato nel modo più celestiale.
Dunque, il contesto dell’annuncio dell’arcangelo Gabriele che Maria di Nazaret sarebbe diventata la Madre di Dio per opera dello Spirito non poteva che essere del tutto spirituale o interiore o all’interno di quell’essere che è spirito e che richiede un contatto del tutto spirituale. E qui le parole dello stesso angelo assumono, come ho accennato prima, un significato del tutto mistico, perciò da cogliere al di là del racconto letterario di Luca.
Luca scrive: «L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria».
Nessun scrittore, romanziere o poeta, sarebbe stato più conciso, diciamo essenziale. Senza abbellimenti o particolari distrattivi. Con l’unica o quasi preoccupazione di garantire autenticità all’evento. L’evangelista Luca non ha alcun ritegno nel dire: “L’angelo Gabriele fu mandato da Dio”. In realtà ogni angelo è mandato da Dio. È nella sua stessa natura angelica essere un inviato di Dio. Ma Luca non intendeva dire questo, già sottinteso, ma che l’angelo era stato inviato a Nazaret per una missione del tutto speciale.
Tutto nel disegno di quel Dio che sceglie le cose più umili: un piccolo paese, Nazaret, e una ragazza semplice, Maria, un nome però senza limiti o confini, se è vera l’etimologia forse azzardata di “insieme di mari o di oceani”. Non è la prima volta e non sarà l’ultima a riproporvi l’interpretazione di S. Gerolamo che ha tradotto il versetto 10 del capitolo 1 della Genesi con questo gioco di parole latine: “Congregationes aquarum appellativit Maria”, ovvero Dio “ha chiamato Maria o i Mari la riunione delle Acque”.
Le acque rimandano alle origini della vita, quando, come scrive sempre l’autore sacro, Genesi 1: “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”.
Al di là di una lettura puramente scientifica (che non era mai l’intento dell’autore sacro, anche se per millenni tra scienza e fede c’è stata, diciamo stupidamente, un duro contrasto tra la gerarchia ecclesiastica e una certa parte di scienziati), da cogliere è dunque la realtà sempre sorprendente dello Spirito che addirittura viola ogni legge fisica fecondando un ventre carnale, quello della vergine Maria, ma anche per portarci alle origini di quel Mistero che, fuori o prima del tempo, era un grembo diciamo di donna vergine (piace anche pensarlo così) già dalle origini, fuori del tempo.
Che significa allora “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”? Forse ci richiama una chioccia che cova le uova in attesa della nascita di pulcini (non è mia questa immagine). Qualcuno ci ha visto invece l’immagine di un volatile, da qui forse il simbolo della colomba per indicare lo Spirito santo.
Tutto comunque richiama un grembo di vita. Lo stesso Mistero natalizio richiama non solo un grembo, quello fisico di Maria che partorisce per opera dello Spirito santo, richiama anche il grembo spirituale di ogni essere umano, in cui sempre, ogni giorno, ogni istante, si realizza una rinascita interiore, quella rinascita di cui Gesù ha parlato nell’incontro notturno con Nicodemo, che però, legato alla legge carnale, non riusciva a capire che senso dare alle parole di Gesù.
Non è la stessa incomprensione dell’uomo moderno, legato alla fisicità di una carne che parla solo carne, mentre lo spirito parla di spirito, ribaltando l’ordine della realtà divina?
Se il Natale richiama un Mistero divino, che senso ha tutto quel contesto per nulla spirituale che ha avvolto una Festività, oramai ridotta a un insieme di sentimenti, a loro volta incartati per coprirne la precarietà?
Chiare le parole di Cristo a Nicodemo: “Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito”. Non c’è una via di mezzo.

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