19 gennaio 2025: SECONDA DOPO L’EPIFANIA
Est 5,1-1c.2-5; Ef 1,3-14; Gv 2,2-11
Non mi soffermo sul primo brano, ci vorrebbe troppo tempo per spiegare la figura di Ester e il suo comportamento per evitare lo sterminio degli ebrei. Eppure, sarei tentato di parlarne, visto che si tratta di una donna, e che Donna!, tanto più che oggi sembra che, nonostante le conquiste dei diritti delle donne, il cosiddetto “genio femminile” sembra sparito nel nulla, anche perché, siamo sinceri, tanto più donne vanno al potere tanto più rivelano la loro pochezza di Donna nel suo genio.
Il secondo brano fa parte della Lettera agli Efesini: un brano che è complesso anche se c’è un giro di parole che non possono non affascinarci. Secondo gli studiosi si tratta di una preghiera di benedizione (in ebraico “berakah”), costituta da un’unica frase lunga 11 versetti, molto elaborata e molto complessa. Si tratterebbe in realtà di sei benedizioni divine.
Non possiamo elencarle tutte, però diciamo che ci sono parole che non possono non affascinarci. Anzitutto, si parla di “benedizione spirituale”: la benedizione è del Bene Sommo che tocca anzitutto l’essere, per poi toccare anche il corpo. Si inizia dall’essere, dall’interno, per poi uscire in periferia. Non si va in periferia con l’intelletto spento. La rivoluzione parte dal di dentro, se vogliamo che anche le istituzioni civili e religiose possano cambiare in meglio. E poi, Paolo dice che in Cristo siamo stati scelti dal Padre celeste “prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Bisogna partire dall’inizio, dal mistero trinitario. E aggiunge: “a lode dello splendore della sua grazia”. E poi: Cristo ci salva, cioè ci toglie dal male, “secondo la ricchezza della sua grazia”. Sempre e tutto nella Grazia, che è sovrabbondante nel donarci, così scrive ancora Paolo, “ogni sapienza e intelligenza”, che sono il frutto dello Spirito. Solo con gli occhi interiori, quelli dello spirito, illuminato dall’Intelletto divino, possiamo cogliere, al di là di ogni esteriorità, qualcosa del Bene assoluto.
Passiamo al terzo brano, che merita un’attenzione particolare, perché, essendo noto a tutti come il miracolo di Cana, si è anche travisato l’aspetto più importante, farcendosi prendere da tanti particolari, senza cogliere l’insieme. Del resto lo stesso Giovanni ce lo dice, parlando di “segno”, perciò di un evento, pur strepitoso, ma da cogliere nel suo significato interiore, al di là del fatto in sé.
Carlo Maria Martini ha scritto un bellissimo commento, che sarei tentato di riproporvelo per intero, ma il tempo a disposizione non ce lo permette. Vorrei almeno riprendere, per sottoporla alla vostra attenzione, quale interessante riflessione.
Martini dice: «Al centro del racconto è Maria. Persino Gesù e i suoi discepoli appaiono in una luce più sfumata: “Fu invitato alle nozze anche Gesù”. Per l’evangelista la figura della madre è senza dubbio centrale ed è da lei che l’attenzione si proietterà poi su Gesù. Il miracolo, la manifestazione della gloria di Cristo, passa attraverso la madre».
Martini poi si sofferma sviluppando tre aspetti di Maria: Maria vede l’insieme; Maria si immedesima; Maria è intrepida.
1. “Maria vede l’insieme”. Martini, rifacendosi a una espressione di Santa Teresa di Gesù Bambino, dice che «Maria ha saputo cogliere “con un colpo d’occhio” la situazione. Soltanto Maria vede l’insieme, ha il colpo d’occhio e capisce che cosa di essenziale sta succedendo e che cosa di essenziale sta mancando. Questo è lo spirito contemplativo di Maria, il suo dono della sintesi, la capacità di attendere alle cose particolari… Il dono della sintesi è tipicamente femminile: saper vedere il punto focale con l’intelligenza del cuore non attraverso il ragionamento o l’analisi immediata e puntuale di tutti gli elementi.
Maria percepisce il gemito inespresso del mondo e lo esprime semplicemente: “Non hanno più vino”. È l’unica a dire questa parola. È probabile che altri se ne stessero accorgendo ma come in sogno: vedono che qualcosa sta venendo meno e non sapendo come fare preferiscono proseguire fingendo di niente».
2. “Maria si immedesima”. Scrive Martini: «La Madonna, una volta compiuto il suo gesto contemplativo potrebbe accontentarsi. Se avesse fatto così non avrebbe però espresso la tenacia della Cananea, il suo immedesimarsi con la situazione. Avrebbe fatto una rilevazione, un’analisi sociologica, statistica senza entrare nel problema. Maria, invece, vi è entrata tanto da meritare quasi un rimprovero di Gesù».
3. “Maria è intrepida”. Martini scrive: «Gesù non dice che provvederà, ma Maria dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”… Ella è sicura del suo figlio perché è il Figlio di Dio. Questa è forse la certezza a cui veniamo meno più facilmente. Magari ci accorgiamo della mancanza del vino, magari ci immedesimiamo un po’ tristemente nella secchezza della nostra vita, della nostra comunità, delle nostre chiese locali. Non riuscendo tuttavia a passare il “guado della fede”, ci arrestiamo nella considerazione amara della situazione oppure cerchiamo delle soluzioni inadeguate».
Basterebbero queste annotazioni di Martini per farci riflettere: un po’ tutti, soprattutto chi ha delle responsabilità sia civili che religiose. Manchiamo di sintesi, del colpo d’occhio per cogliere l’insieme, ci limitiamo ai particolari che ci distraggono dall’essenziale.
Mi ha particolarmente colpito l’osservazione di Martini: Maria non ha fatto “una rilevazione, un’analisi sociologica, statistica senza entrare nel problema”.
Martini, se fosse qui oggi, non so che cosa direbbe del suo successore che proprio fa così. Pensate ai Discorsi tenuti da Delpini la vigilia della festività di Sant’Ambrogio: “una stucchevole quanto inutile rilevazione, un’analisi sociologica, una statistica…”.
Una domanda: noi preti, il vescovo, il papa non dovrebbe parlare, anche di ogni cosa, ma da prete, da vescovo, da papa? Che serve fare un lungo elenco, tra l’altro stucchevole, di cose che non vanno, senza indicare l’alternativa, che non è esteriore, carnale, ma che è nel profondo dell’essere umano, dove Dio è presente in tutta la sua realtà?
Le soluzioni ai problemi non si devono trovare a partire dai problemi, ovvero rimanendo in superficie, ma occorre andare alla radice, da dove nascono i problemi. Ed è sempre dal cuore umano, come ha detto lo stesso Cristo, che escono le cose belle e le cose brutte.
Non è triste, paradossale, insopportabile che i gerarchi della chiesa facciano gli psicologi, i sociologi, i politici, dimenticando di essere ministri di quel Cristo che ha detto: “Convertitevi! Metanoèite! Ovvero cambiate il vostro modo di pensare”? E non dovrebbe essere la Chiesa istituzionale, approfittando dell’anno giubilare, a sentire il dovere di cambiare mentalità, il suo modo di pensare e perciò di agire?
Bisogna puntare all’essenziale, e solo nell’essenziale si troverà la strada della salvezza. Solo l’essenzialità purifica il nostro mondo interiore. Ma la Chiesa parla oggi di spiritualità o è solo preoccupata di svuotare le carceri, per poi mettervi gli spiriti liberi?
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