Il fallimento dei Seminari diocesani
di don Giorgio De Capitani
Che i seminari milanesi (a proposito quanti sono attualmente?) non funzionino o, meglio, non sfornino preti diocesani all’altezza di una nuova pastorale, lo si constata ogni giorno: i giovani preti fanno paura, o perché troppo moderni nell’esteriorità ma con la testa fasciata, o perché troppo tradizionalisti sia nelle formalità che nella testa. Non c’è alternativa. Qualche eccezione ci sarà? Può darsi, ma non la vedo. O, se c’è, rimane nell’anonimato, per paura di provvedimenti troppo precoci. E così i superiori sono costretti a spostare preti giovani, sempre malcontenti o ad assistere a continue bizze di giovani preti che, scriteriatamente, fanno e disfano sulla pelle della gente.
Ma non vorrei parlare di questo. Sto notando che c’è un’altra cosa che non funziona, ed è la mancanza chiara di ciò che è un seminario diocesano: qual è la sua funzione? Preparare i preti al servizio della Chiesa in senso generico o, in modo più specifico, per metterli al servizio della propria diocesi? Ma che significa mettersi al servizio della diocesi?
Sto assistendo a un fenomeno strano, vedi l’ultimo caso di don Michele Di Monte, giovane sacerdote milanese, che ha deciso di trasferirsi a Lornico sopra Vendrogno, per fare l’eremita.
Capisco se, a un certo punto della sua vita sacerdotale, dopo anni e anni di aver servito la propria diocesi, un prete decidesse di fare il monaco. Non lo escluderei. Ma qui non si tratta di fare il monaco impegnato nella vita pastorale, ma di fare l’eremita, abbandonando quindi ogni attività pastorale. Si può anche essere monaco e fare lo stesso il prete diocesano. Ma come si può conciliare la scelta di essere eremita e di essere prete diocesano?
Il problema vero è che si tratta in genere di scelte a priori, fatte già quando si era in seminario. E allora, torna la domanda: quale funzione ha il seminario diocesano?
E non mi pare che si tratti di casi eccezionali, visto che più giovani preti diocesani decidono di ritirarsi a fare l’eremita.
Certo, erano altri tempi, ma non era paradossale che Ildefonso Schuster, diventato arcivescovo di Milano, indicasse come segno di vocazione per un prete diocesano l’amore incondizionato per gli oratori? Schuster era un monaco benedettino!
Lo ripeto, se qualcuno non mi avesse ancora capito: vorrei tanto che il prete diocesano, soprattutto quello ambrosiano, talora marchiato di essere troppo pragmatico e super-attivo, magari con il “mal della pietra”, fosse più spirituale, nel senso mistico della parola, diciamo anche monacale, ma sempre al servizio di una parrocchia o di una attività diocesana.
Sarei tentato di allargare il discorso, ma, siccome ho già trattato questo argomento altre volte, lo accenno soltanto, tornando sulla domanda: che funzione ha il seminario diocesano? Lasciare via libera ai movimenti ecclesiali, per cui i preti diocesani possano essere di Cl, dell’Opus dei, focolari, neocatecumenali, ecc.? Mi chiedo come si possa conciliare lo spirito diocesano di servizio a tempo pieno per la diocesi con le altre spiritualità che hanno altri punti di riferimento? Da anni sto dicendo queste cose, ma nessuno sembra ascoltarmi.
E così succede che, appena fuori del seminario, i preti mettano in moto tutte le loro ideologie movimentiste, facendo della parrocchia un appoggio solo logistico, per poi evadere altrove, arrivando al punto di andarsene in un eremo.
Il Seminario diocesano che funzione ha?
Dipende se volete animatori o assistenti sociali (i preti modernisti di oggi…) o dei santi sacerdoti cattolici.
Mi viene spontanea una domanda: «non sarà che il seminario tiene i giovani isolati dal mondo, abituandoli ad una solitudine in cui poi si rifugiano?». Chissà, forse una volta fuori si sentono come dei pesci fuor d’acqua e fanno fatica ad inserirsi nella quotidianità della vita parrocchiale. Del resto, se non sbaglio, i seminari in genere seguono ragazzi che altrimenti frequenterebbero le scuole medie e le superiori, quindi che stanno vivendo proprio il periodo più fertile della loro adolescenza, caratterizzato dalla voglia di socializzare e condividere esperienze con il prossimo. Quando parecchi decenni fa frequentavo l’Azione Cattolica ricordo alcuni preti e dei responsabili che nelle riunioni ed adunanze raccomandavano di tenere a distanza “quelli là fuori”. Confrontarsi, se necessario, poteva anche andar bene, ma “scendere al loro livello” assolutamente no. Si creava così una sorta di dualismo assurdo tra “noi”, che avremmo dovuto sentirci come degli eletti o dei privilegiati, e “gli altri” che incarnavano invece il mondo e le sue tentazioni. Non è forse vero che l’abbandono dell’abito talare, da parte di alcuni preti, non è determinato da crisi di fede, ma dal desiderio e in certi casi dal bisogno di poter vivere altre esperienze o scelte di vita che non si sono potute fare al tempo dovuto? Sarà un caso, ma la maggior parte dei preti che mi hanno insegnato qualcosa e in cui ho trovato consiglio, conforto e comprensione avevano avuto una vocazione tardiva e quindi, essendo in età adulta, avevano già un po’ di esperienza e non avevano certo studiato in seminario…
Hai colto nel segno, caro don Giorgio: che funzione ha il Seminario? Nella mia diocesi, mi sembra un pollaio per sfornare preti… ma quali? Il parroco della parrocchia più grande della mia diocesi ha come aiutante un sacerdote ottantenne, e mi ha detto che preferisce così perché i preti di ultima generazione sembrano appartenere al settecento: sempre rigorosamente in talare, pizzi, merletti, tutto il giorno in casa, mai all’oratorio, incapaci di dialogare con i giovani…che ce ne facciamo di viceparroci o parroci del genere? Ma ecco ritornare la domanda…quale seminario li ha formati?
Probabilmente, alcuni sentono una vocazione…diciamo spirituale ma non si sentono poi, dopo un po’, appagati da quel che il seminario offre loro.
Del resto, solo maturando una piena consapevolezza, alla fine di un percorso, si sa, forse, e dico forse, dove si vuole arrivare.
Certamente il sacerdote dovrebbe essere al servizio della comunità, ma alcuni non si sentono probabilmente integrati in questa funzione, e, quindi, la decisione di andare a fare l’eremita probabilmente li appaga maggiormente, anche se fare l’eremita è abbastanza inconciliabile con la funzione sacerdotale al servizio di una comunità.
MA non dobbiamo dimenticare che gli eremiti, o anacoreti, fanno comunque parte della tradizione cristiana.
Quanto al seminario, assolve alla funzione, certo, di impartire una preparazione sacerdotale, ma che non necessariamente sfocia nella formazione di sacerdoti a servizio della comunità, visto che, appunto, anche quella dell’eremita è una possibilità contemplata.
In verità, il seminario talora si apre anche ad una funzione culturale più generale, pensiamo alle biblioteche aperte al pubblico, a concerti, e via di questo passo e, sotto il profilo più strettamente religioso, appunto, a esiti diversi della formazione sacerdotale.
Sicuramente, chi intende dare alla propria dimensione spirituale un connotato maggiormente contemplativo, preferisce seguire la via di Don Michele