Ai margini della Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” di papa Francesco sull’amore nella famiglia
di don Giorgio De Capitani
Dire ai margini non significa che queste considerazioni che farò siano da prendere come marginali.
1. Anzitutto, che senso dare alla parola “esortazione”? Esortazione deriva da esortare che significa persuadere una persona o un gruppo con argomenti adatti: anche dare consigli, fare raccomandazioni, ecc. Non sembrerebbe, dunque, includere l’imposizione di leggi o dogmi. Ma nelle Esortazioni papali, oltre a consigli e raccomandazioni, sono anche presenti dei paletti come indicazioni obbligatorie di cammino.
E che senso poi dare all’aggettivo “apostolica”? Significa forse che il papa sia l’erede dell’apostolo Pietro e che, in quanto tale, le sue raccomandazioni o le sue prescrizioni risalgano all’origine del cristianesimo, come una catena ininterrotta di dottrine e norme intoccabili, anche se, lungo i secoli, qualcosa di nuovo è successo, tra corsi e ricorsi storici, tra alti e bassi, ma così lentamente da chiederci dove sia finita la promessa di Cristo sulla presenza creativa dello Spirito santo?
2. Il Documento papale (preferisco chiamarlo così’?), “Amoris laetitia” (dalle prime parole che significano “la gioia dell’amore”), è fortemente biblico, ovvero fondato su una interpretazione della Bibbia, senza una chiara distinzione tra lettera e Spirito, tra narrazioni mitiche e fatti storici. E, quel che è peggio, è una rilettura del Testo Sacro (più esattamente sarebbe dire Testo religioso) in funzione della tradizionale dottrina di una Chiesa, più istituzionale che spirituale. Si presuppone, cioè, che la dottrina della Chiesa sia divina e intoccabile, e, per convalidare tale tesi, si ricorre alla Bibbia usandola come pezzo giustificativo.
E, cosa ancor più ingannevole, si cercano sempre nella Bibbia nuove interpretazioni, solo apparentemente aperte, che rafforzano ancor più i dogmi ecclesiastici.
Si usa lo stesso metodo con i Padri della Chiesa, ricorrendo alle solite citazioni ad effetto, dimenticando filoni di pensiero che potrebbero aprire orizzonti veramente nuovi.
3. La parola “mistica” è usata non più di due volte, tra cui l’unione profonda con Dio nella preghiera, ma cosa del tutto personale. Eppure, la Mistica dovrebbe essere la via d’uscita per superare il dogmatismo di una religione, che ha fatto della famiglia il caposaldo della propria struttura, da salvaguardare a tutti i costi, come se la famiglia, oltre che caposaldo, fosse in funzione della stessa istituzione ecclesiastica.
Non intendo aprire il discorso sulla Mistica. Occorrerebbe, più che un libro scritto, un libro aperto all’Infinito. Dico solo che la Mistica può capovolgere la Chiesa e ribaltarla, svuotandola della sua presunzione di detentrice della verità, e aprendo gli orizzonti su un mondo, quello divino, quello spirituale, dove l’essere s’impone sul dogma, saltando ogni mediazione religiosa.
Con la Mistica, la stessa famiglia umana troverebbe il respiro vitale, soffocato dalla Chiesa-struttura. Sì, perché Mistica significa Amore superlativo, che non sopporta quei paletti che pretendono di restringere l’Amore divino entro norme o regole, che solo Dio sa quanto pesino sul cuore umano.
4. E allora parliamo di amore umano, restando comunque con i piedi a terra. Parliamo di quell’amore che unisce due esseri umani, al di là di quella eredità millenaria che vorrebbe come sacro e intoccabile l’unione standard tra maschio e femmina, secondo le convenzioni sociali per cui, una volta celebrato il vincolo o il patto reciproco, tutto diventi irreversibile, come se a contare o a prevalere su tutto sia l’ordine sociale da proteggere in ogni caso: in tal modo, l’amore è soprattutto in funzione della struttura sociale. E la Chiesa, fin dalle origini, continuando la tradizione ebraica, ha mutuato dalla società antica tali convenzioni, quando stato e religione si sostenevano a vicenda imponendo una determinata struttura familiare, più o meno monogamica, fondata prevalentemente sul capo famiglia, sulla sottomissione della moglie e sulla procreazione di numerosi figli.
Oggi sta uscendo prepotentemente il primato dell’amore come realtà costitutiva dell’essere umano: un amore che, se richiede anche una certa consacrazione sociale, non può rimanerne vittima, quando ci si accorge che l’istituzione familiare è venuta meno, perché è venuta meno l’armonia familiare fondata sull’amore. Che senso ha continuare a fingere di amarsi, quando l’amore è sparito, per diversi motivi che non vale la pena qui di analizzare, perché alla fine è la realtà che conta, ovvero che l’amore non c’è più.
Ora non ha più ragion d’essere quel principio, un tempo ritenuto saggio perché poteva coprire tante cose, tra cui salvare la faccia davanti all’opinione pubblica, ovvero: “per il bene dell’istituto familiare, per il bene dei figli, ecc. ecc. conviene stare insieme, anche come fratelli e sorelle!”. Ciò è veramente inconcepibile, assolutamente riprovevole, per un essere umano, la cui felicità non può dipendere da una convenienza sociale da proteggere. L’amore, anzitutto! L’istituto familiare, se non è fondato sull’amore, non ha più valore.
L’amore poi non fa questione di sessi: è amore, e basta. E l’amore ha anche un aspetto erotico, che non spetta alla Chiesa governare.
5. Infine, la questione inerente agli ordinamenti canonici o ecclesiastici circa la recezione dei sacramenti, in particolare della Comunione o della Riconciliazione sacramentaria, da parte dei divorziati risposati o dei conniventi o degli sposati in Comune, sembra il punto dolens di una Chiesa che non sa come uscire da un circolo vizioso.
Non c’è che una via, ed è quella indicata a suo tempo anche dal teologo Hans Küng. Ecco le sue testuali parole: «Che in seno alla Chiesa cattolica la resistenza, e in determinate circostanze anche la disobbedienza, possano pagare, è dimostrato dall’esempio delle chierichette. Anni fa, il Vaticano vietò a bambine e ragazze di servir messa. L’indignazione del clero e del popolo cattolico fu grande e in molte parrocchie si continuò semplicemente a tenerle. A Roma la situazione venne da principio tollerata, infine accettata. Così cambiano i tempi. Anzi, un articolo uscito il 7 agosto 2010 sull’Osservatore Romano ha elogiato questa evoluzione come il superamento di un’importante frontiera poiché oggi non si può più ascrivere alla donna alcuna “impurità” e in questo modo è stata eliminata una “disuguaglianza profonda”».
Sì, resistenza e disobbedienza! Se tutti i preti, o una buona parte di essi, avessero il coraggio di ammettere ai sacramenti e alle attività strettamente pastorali anche divorziati risposati e conviventi, ecc., che sinceramente vorrebbero accostarsi, sono convinto che anche la gerarchia della Chiesa sarà costretta a cedere di fronte ai fatti compiuti.
E allora… basta lamentarsi, borbottare. Bisogna disobbedire! E non solo privatamente, quasi di nascosto, ma pubblicamente: dire apertamente che i sacramenti non sono solo per quelli che sono in regola con gli ordinamenti canonici, ma sono per tutti; dire che la masturbazione non è peccato, che i contraccettivi non sono da condannare, che anche i gay hanno diritto di amarsi, ecc. ecc.
“Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”. Con le parole non si risolvono i problemi. Il papa, essendo il pastore supremo, può prendere anche delle decisioni scomode. Giovanni XXIII l’ha presa indicendo il Concilio Vaticano II. L’”Amoris laetitia” non l’ho letta, ma sembra non vada in questa direzione. Penso sia fatta di troppi compromessi. E come tutti i compromessi dicono tutto e non dicono niente. Un modo per lasciare le cose come stanno. I vescovi sono maestri in queste cose. Godono dell’infallibilità papale anche loro. Hans Kung ha esortato a toglierla (l’infallibilità) perché mina il dialogo con gli altri cristiani. Papa Francesco non ha il coraggio di papa Giovanni XXIII? “Il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare”. La sua storia in Argentina con i militari al potere è “nebulosa”. Il coraggio l’ha avuto Oscar Romero, “conservatore”, che si è fatto “popolo” nel El Salvador. Il coraggio l’ha avuto il cardinal Martini quando ha detto che la chiesa è indietro 200 anni. E che fa papa Bergoglio? Si incontra con i “lefrevriani” scomunicati da Paolo VI. Che delusione!
Credo fermamente che l’amore sia alla base di tutto e sia, altresì, il mezzo indispensabile che ci consente di vivere e, al tempo stesso, lo scopo della nostra stessa esistenza. E sono anche convinto che sia la colonna portante del messaggio evangelico… “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”… Immagino che su questo la maggior parte di noi possa essere d’accordo, anche se poi ognuno ha una visione dell’amore strettamente personale che, probabilmente, non sempre coincide con quella degli altri. Tra l’altro, l’essere umano, sia individualmente che in associazione con altri, è da sempre portato ad operare delle distinzioni, classificando cose, persone e sentimenti in categorie e schemi predeterminati che inevitabilmente pongono dei paletti e dei limiti alla libertà di pensiero e di azione. Personalmente, se dovessi dare una definizione dell’amore, mi verrebbe spontaneo condividere le parole con cui San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, ne offre l’immagine più completa e sublime, mettendo per di più l’accento anche su certi aspetti che potrebbero quasi apparire come una forma debolezza rispetto al modo di pensare comune. Mi sembrerebbe logico, perciò, che l’amore per essere vissuto pienamente dovrebbe aver bisogno di essere svincolato da ogni forzatura e convenzione tendente a suggerire, o imporre, quei comportamenti che la società e la chiesa cattolica, in ciò pienamente d’accordo, ritengono più idonei e corretti. Non per niente ne circoscrivono il campo d’azione all’ambito della cosiddetta “famiglia tradizionale” e di un rapporto di coppia rigorosamente eterosessuale, basando le proprie convinzioni addirittura sulle parole della Bibbia. Ma possibile che solo a me appaia evidente la grande contraddizione tra un simile atteggiamento e il senso stesso dell’amore? Perché mi dovrei scandalizzare se qualcuno prova questo sentimento verso una persona del suo stesso sesso e desideri condividerlo? Oppure che l’amore coniugale improvvisamente possa venir meno e si abbia il desiderio di intraprendere un nuovo cammino con qualcun altro? Non sarebbe meglio lasciare che un sentimento così spontaneo ed universale sia libero di esprimersi e di manifestarsi, senza che ci sia qualcuno pronto a mortificarlo e addirittura trasformarlo in qualcosa di negativo?
Un’esortazione apostolica non è, certo, equivalente ad una costituzione o ad un’enciclica, e pertanto ha, si dice tradizionalmente tra gli studiosi delle fonti vaticane, un significato più che altro interpretativo, quello che nelle fonti del diritto potremmo definire regolamento di attuazione, o meglio ancora direttiva, circolare interpretativa.
Certo, interpretativa di qualcosa che già esiste.
Almeno in apparenza, perchè, come costituzione apostolica post sinodale, dovrebbe interpretare qualcosa che proviene dal sinodo in materia familiare, ma, a sua volta, richiede una sorta di interpretazione.
Forse, non è un caso che non chiarisca tutto perfettamente, proprio perchè tende, come dire, per certi versi, a una concezione tipica in primis di certo protestantesimo, quando rinvia certe scelte alla responsabilità dei singoli.
Certamente il documento è espressione della concezione del magistero come proveniente da fonte divina, e, come tale, facente parte del cosiddetto magistero ordinario della chiesa.
A tale riguardo, va richiamata la dottrina cattolica che, a differenza di quanto indicato talora, ma erroneamente, non dichiara infallibile solo quanto indicato ex cathedra, ma anche l’ordinario magistero, espresso in varie tipologie di documento,
a partire proprio dalle esortazioni apostoliche.
Come detto anche in altra occasione, la mistica prescinde dalla chiesa.
Il grande problema che la mistica si trova ad affrontare è, comunque, se nel rapporto, diciamo, con la dimensione metafisica (spiegherò poi perchè uso questo termine), basti il rapporto del mistico in quanto tale, oppure no.
Ho appunto parlato di dimensione metafisica, ma non di Dio, perché non necessariamente un rapporto diretto con la dimensione metafisica è con quello che, solitamente, si definisce Dio.
Per la stessa chiesa cattolica, e non solo, il rapporto può essere con luoghi o entità, che di paradisiaco poco o nulla hanno.
Consideriamo chi, tra vita e morte, dichiara di essere stato in una specie d’inferno, o coloro che parrebbero in diretto contatto con entità demoniache, eccetera.
Pertanto la chiesa, secondo una certa posizione, dovrebbe comunque esserci per evitare, come dire, che il contatto possa degenerare verso situazioni negative.
A prescindere da tale particolare argomentazione, comunque c’è da domandarsi se tutti siano capaci di mistica, intesa come relazione vera, diretta, con Dio, non quella forma di autopsicologia, per cui per Dio si scambia, invece, solo il proprio pensiero, e quindi ecco che se la risposta è no, allora si pone la questione di tutti coloro che, appunto, alieni da capacità mistiche, per così dire, cercano comunque Dio e lo cercano tramite la religione, più o meno istituzionalizzata.
Del resto, molte correnti del misticismo sono elitarie, e ritengono che l’essere mistici sia per pochi, peraltro non nascondendo i rischi insiti nella natura di quello che, per molti, in tale ambito, è un vero e proprio viaggio fuori dal corpo, in cui si potrebbe anche non più rientrare.
L’estasi mistica, quindi, soprattutto come viaggio fuori dal corpo, viene spesso indicata come pericolosa.
Certo, si potrebbe ritenere preferibile una sorta di meditazione, ma questa, ovviamente, non è misticismo inteso nel senso di contatto diretto con Dio, e rischierebbe, ancora una volta, di tradursi in una sorta di autoriflessione.
Infine, il tema di cosa dice o non dice la religione.
Personalmente, non me ne farei un gran problema, nel senso che chi non si trova concorde, non deve aspettare che la chiesa cambi.
Non lo ha prescritto nessuno che ci si possa sentire a proprio agio solo se quello che si fa o si dice è conforme a qualche dettato religioso.
Per molti, invece, non è così, e sperano che la propria religione di riferimento dica cose diverse, ma dimenticano che esistono religioni diverse e, per chi non volesse cappelli sulla testa, anche il libero pensiero, pur per chi crede in una dimensione metafisica.
Infine, il tema dell’ ipotizzata disobbedienza.
A mio avviso, sulla questione comunione a risposati e divorziati, non è necessaria alcuna disobbedienza, almeno interpretando quello che sembrerebbe, a prima vista, il significato più evidente dell’esortazione papale sul tema, e cioè il rinvio alla responsabilità decisionale dei singoli.
In altri termini, appunto, decida il singolo sacerdote, valutando il singolo caso, se concederla o meno.
Pertanto, chi la concederà non dovrebbe essere considerato disobbediente, proprio perché applicherebbe quanto previsto dalla Amoris laetitia.
Certo, come dicevo altrove, resterà poi tra i fedeli il problema di chi dirà: ma perché a me no, ed a quell’altro s?
Ma sarà agevolmente superato, nel senso che basterà recarsi da altro sacerdote che, dotato di metro di giudizio più largo, la conceda.
Penso che tale interpretazione sia peraltro conforme a certi canoni di azione e pensiero di questo papa che, come hanno detto alcuni, se ne lava le mani, di voler prendere una decisione netta e definitiva su diverse questioni in prima persona, preferendo delegare ad altri.
Appunto l’ennesima delega ai singoli sacerdoti che, se si ritiene che sbaglino, saranno personalmente responsabilizzati.
Forse è questa, ripeto, l’unica, vera innovazione in un documento che, personalmente, ho trovato complessivamente lungo e noioso.
Forse, anche questa forma è stata utilizzata, per mischiare la novità con tante altre cose che non centrano, e per confondere un po’ le acque, in modo che non si metta troppo l’accento su un tema che tuttora scotta, appunto quello della concessione della comunione a divorziati risposati.