Il Mistero pasquale e… il Giubileo

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Il Mistero pasquale e… il Giubileo

Sappiamo, e come credenti dovremmo saperlo, che il Mistero pasquale si può sintetizzare con tre parole: passione, morte e risurrezione di Cristo. Era questo, di tre parole, il messaggio (detto kerigma) degli Apostoli e dei primi cristiani. Il Vangelo era tutto qui. Un messaggio nudo, essenziale, senza fronzoli. Poi, solo successivamente, al kerigma o nucleo inziale si sono aggiunti dicta et facta, ciò che Gesù ha detto (discorsi e parabole) e ciò che Gesù ha fatto (anche i miracoli): solo più tardi, anche le notizie sulla sua infanzia (secondo Matteo e secondo Luca), e alla fine il tutto venne raccolto nei quattro Vangeli, dopo che le comunità differenti per origine (ex ebrei, ex pagani, ecc.), avevano riflettuto, meditato e pregato nelle frequenti assemblee liturgiche.
Già dagli inizi del Cristianesimo, erano così numerosi i testi che circolavano su Gesù di Nazaret (anche fantasiosi, pensate ai Vangeli apocrifi) che la Chiesa, già in parte strutturata, fu costretta a stabilire un “canone”, una norma per stabilire i Vangeli veramente autentici. Anzitutto, il Vangelo secondo Marco, oggi ritenuto dagli studiosi il più antico, poi in ordine: il Vangelo secondo Matteo, quello secondo Luca, e più tardi il Vangelo secondo Giovanni, il Vangelo ritenuto il più teologico/mistico.
Col passare del tempo, successe di tutto. Si perse l’essenzialità del Messaggio di Cristo, e la Chiesa istituzionale trasformò il Cristianesimo in una specie di religione, tradendo la Buona Novella nella sua essenzialità, quel nucleo iniziale (kerigma) che era: passione, morte e risurrezione di Cristo.
Certo, tutto serve come occasione per riflettere, anche la guerra, anche il covid. Ma il tutto nell’ottica divina, che ha un suo piano, secondo cui tutto deve rientrare nell’armonia iniziale.
O c’è una fede che è solo credenza religiosa, ridotta a ritualismi che coprono il Mistero divino, per di più inquinati di individualismo esasperato ed esasperante, o c’è una tale frammentazione anche culturale della società da rendere quasi impossibile trovare il bandolo della matassa, e ci si perde nei meandri che rendono difficile il ritorno all’Uno divino.
Ripeto, ogni occasione è come un seme di Grazia, quasi una “trappola”, come scriveva la filosofa francese Simone Weil, con cui il Bene Sommo ci cattura.
Anche il Giubileo è un’occasione di Grazia. L’anno di Grazia del Signore, così troviamo scritto in un passo del Vangelo (Luca 4,16-21):
«Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Forse sono solo mie impressioni, forse c’è anche qualche buona ragione per dire che il Giubileo viene visto e vissuto come qualcosa di troppo individuale, anche se si partecipa a iniziative di massa. Si è alla ricerca di qualcosa che dia qualche consolazione del tutto personale.
Che ognuno ricerchi la propria felicità, fa parte della nostra natura umana. Ma è stato scritto che: o ci si salva insieme, come umanità senza barriere, o ci si perde nei meandri della dis-somiglianza, direbbe ancora oggi Sant’Agostino, pensando alla sua negativa esperienza personale, prima della conversione.
La Grazia – e il Giubileo è un Anno di Grazia – è la Gratuità divina che compatta tutti nella stessa famiglia umana, anche se ogni singolo (preferisco dire “singolo” e non “individuo”, anche se “individuo” etimologicamente significa “indivisibile”, aggiungo: nel suo essere divino) deve fare la sua parte, svuotandosi di quell’ego che disunisce, separa, offusca la somiglianza con Dio. È questo il senso della parola “dis-somiglianza” usata da Sant’Agostino.
Forse la colpa di questo appropriarsi per sé, solo per sé, di ogni grazia divina, e perciò anche di ogni iniziativa del Giubileo, fa parte di una natura corrotta, perciò da rettificare, da correggere, da convertire, e qui entra in scena la pedagogia di una Chiesa che dovrebbe fare di tutto per farci capire che facciamo parte del “Corpo mistico di Cristo”, che è la Chiesa, espressione un tempo assai usata e anche strausata, e oggi caduta in disuso. E pensare che Pio XII aveva scritto nel 1943 una Enciclica, dal titolo in latino “Mystici Corporis Christi”.
Ma lo stesso Papa Pio XII pensava a quel mondo mistico che andava ben al di là di una Chiesa strettamente istituzionale.
E la Mistica sta tutta in quel Mistero pasquale, il cui nucleo è: passione, morte e risurrezione di Cristo, il quale sulla Croce, già avvolta nella Luce secondo il mistico Giovanni, mentre moriva donava il suo Spirito che avrebbe aperto infiniti orizzonti, al di là di individualismi di ogni genere e razza, di confini territoriali e religiosi, destinati a crollare, prima o poi.
Ogni Giubileo lo vedrei anche così: un colpo di grazia a ogni individualismo, a ogni razzismo, a ogni settarismo.
Se si va a Roma, si dovrebbe pensare che è la città definita “caput mundi”. Anche se l’espressione risale al poeta latino Marco Anneo Lucano, per indicare la grandezza dell’Impero Romano, penserà poi il Cristianesimo a trasformare Roma pagana nel cuore dello stesso Cristianesimo.
I “romei” si chiamavano così perché andavano in pellegrinaggio a Roma. Senza distinzioni di razza, di cultura o di ricchezza: tutti, poveri e ricchi, colti e analfabeti, italiani e forestieri, partivano da casa, senza nulla, e durante il percorso chiedevano elemosina come qualsiasi straccione, dormivano anche per terra, all’aperto, ripeto poveri e ricchi, colti e non colti. Questo era lo spirito di allora. Andavano da poveri in canna, per trovare poi quella grazia divina che li avrebbe arricchiti in umanità. Andavano anche singolarmente, per tornare come nuovo popolo di Dio, segno di quello Spirito, dono del Cristo morente, ma già Risorto.
In sintesi: ogni conversione è passione, morte e risurrezione, come il mistero pasquale che rivive ogni giorno. Ogni giorno è come un giubileo, un giorno di Grazia illuminante.
19 aprile 2025
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