Ragazzi al cellulare. “Vietare gli smartphone è una scelta semplicistica”

da www.huffingtonpost.it
18 Giugno 2025

Ragazzi al cellulare.

“Vietare gli smartphone

è una scelta semplicistica”

di Adele Sarno
Colloquio con Michela Fagiolini, direttrice dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e con Jaime D’Alessandro, direttore di Civiltà dei dati. Perché la decisione di Valditara è troppo drastica. Un conto è la tecnologia, un conto l’uso che se ne fa. Non proibire: insegnare a usare
Con la nuova circolare firmata dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, il divieto di usare i cellulari a scuola si estende ufficialmente anche alle scuole superiori. Dopo la stretta del 2023 che aveva riguardato elementari e medie, ora il provvedimento punta a tenere lontani gli smartphone anche dagli adolescenti. Ma in un’epoca in cui la tecnologia è ovunque, nella società dell’Onlife, vietare è davvero l’unica risposta possibile?
“Nel grande dibattito sul digitale si finisce sempre per vietare, perché è la soluzione più semplice e immediata. Ma la scienza comincia a raccontare un’altra storia, più complessa e sfumata”, spiega Jaime D’Alessandro, Direttore Responsabile di Civiltà dei dati della Fondazione Leonardo Ets, intervistato da HuffPost durante la presentazione del secondo numero della rivista dal titolo: “Possibili effetti collaterali. Come la tecnologia sta cambiando la nostra mente”. Il punto, sottolinea D’Alessandro, non è la tecnologia in sé, ma come viene utilizzata, e soprattutto chi la insegna e la media: “Pensare che esista un presupposto di naturalità contrapposto a qualcosa di tecnologico è totalmente sbagliato, anche storicamente”. Ogni innovazione, dalla scrittura al fuoco, ha trasformato la mente umana. Invece di spegnere i dispositivi, servirebbe imparare a guidarli, proprio come si fa con un’auto: “È come dare le chiavi di una macchina a una persona che non sa guidare; non gli dici “guida”, glielo insegni. Eppure oggi stiamo disinvestendo in educazione e ricerca, gli unici strumenti che potrebbero creare consapevolezza”.
È innegabile che la tecnologia offra oggi agli studenti opportunità straordinarie. Tuttavia, l’uso eccessivo della tecnologia, soprattutto se precoce e senza guida, può ridurre l’esperienza sociale e aumentare rischi come dipendenza e disturbi del sonno, incidendo negativamente sul cervello e sul corpo. Per questo, l’introduzione digitale dovrebbe essere graduale e accompagnata dagli adulti, con regole chiare e un coinvolgimento attivo di famiglia e scuola. Spiega ad Huffpost Michela Fagiolini, neo direttrice dell’istituto di Neuroscienze del Cnr, già docente del Boston Children’s Hospital della Harvard University. “La tecnologia ha indubbiamente aperto nuove possibilità anche ai più giovani. Oggi, ragazzi molto piccoli riescono a fare cose che un tempo si imparavano solo all’università o in età adulta: coding, design, composizione musicale. Questo dimostra che gli strumenti digitali, se ben usati, potenziano le capacità cognitive e creative, e possono permettere a intere generazioni di accedere a competenze complesse in anticipo. Quindi no, non è corretto dire che la tecnologia è “negativa” in sé. Il vero punto critico è il bilanciamento: quando viene introdotta, in che modo, e soprattutto cosa rischia di sostituire. Come specialista dello sviluppo del cervello nei bambini, posso dire che la questione centrale è l’equilibrio tra gli stimoli digitali e quelli sensoriali e relazionali”.
Facciamo un esempio. Una tecnologia, come WhatsApp, è uno strumento utile per comunicare, ma non può sostituire la ricchezza delle relazioni reali, fatte di contatto visivo, gesti, voce ed emozioni. Il cervello umano, soprattutto quello dei bambini, ha bisogno di stimoli sensoriali completi per sviluppare empatia e competenze profonde. L’uso precoce e squilibrato della tecnologia può impoverire le esperienze relazionali e limitare la crescita emotiva e cognitiva. Non è il cellulare in sé il problema, ma l’uso che se ne fa: va introdotto con misura, senza sostituire il gioco reale, la socializzazione e persino la possibilità di sbagliare, che è fondamentale per imparare. Insomma non è il cellulare il problema, ma quando, quanto e cosa toglie quando entra troppo presto o in modo sbilanciato nella vita di un bambino.
In quest’ottica, vietare del tutto gli smartphone a scuola può risultare una misura eccessiva e semplicistica. È preferibile scoraggiarne l’uso per ridurre le distrazioni, ma all’interno di un percorso educativo più ampio, condiviso tra scuola e famiglia. A chiarirlo è ancora Michela Fagiolini: “In classe, il cellulare non serve. Gli studenti dovrebbero confrontarsi tra loro, ascoltare l’insegnante, concentrarsi su ciò che viene insegnato. Lo smartphone distrae, e spesso risolve problemi che invece i ragazzi dovrebbero imparare ad affrontare da soli, anche sbagliando, anche facendo fatica. Perché l’errore è parte integrante del processo di apprendimento”. La neuroscienziata distingue però tra uso personale degli smartphone e integrazione del digitale nella didattica. “Non bisogna confondere il cellulare con la tecnologia in generale. Negli anni, la scuola ha introdotto strumenti innovativi e utili come lavagne elettroniche, computer, stampanti 3D. La tecnologia non è stata esclusa, anzi: è stata integrata per arricchire l’apprendimento. Ma limitare l’uso dei dispositivi personali è, secondo me, una scelta corretta: non per rifiutare il digitale, ma per eliminare fonti di distrazione e favorire relazioni più autentiche. Inoltre, credo che l’attuazione del divieto di portare il cellulare a scuola sarà complessa, anche perché gli insegnanti non hanno il potere di perquisire gli studenti né di confiscarne i dispositivi. Ancora una volta, dev’essere una scelta che parte dalle famiglie e dall’educazione che diamo ai nostri figli”.
Infine, c’è una questione più profonda, che riguarda la qualità delle relazioni e lo sviluppo emotivo. Passare troppe ore davanti a uno schermo può far dimenticare quanto sia essenziale il contatto umano per la crescita del cervello e della personalità. Oggi molti ragazzi vivono la socialità attraverso chat, videogiochi e social network, senza rendersi conto di ciò che stanno perdendo: lo scambio reale, il confronto diretto, la possibilità di sbagliare. “Per questo è importante intervenire presto, fin dall’inizio, aiutando i giovani a costruire un’idea di socialità che passi dal contatto diretto: parlare, giocare, uscire, affrontare gli altri e anche imparare dagli errori. E che integri anche la tecnologia. Limitare (e non vietare) i cellulari a scuola non è un rifiuto, ma un modo per riattivare queste esperienze: guardarsi, confrontarsi, gestire le emozioni”. In un tempo in cui anche gli adulti faticano a gestire il tempo digitale, i più giovani non hanno bisogno di divieti assoluti, ma di un percorso che li accompagni, con pazienza e consapevolezza, verso un uso più equilibrato e umano della tecnologia. Se i ragazzi imparano davvero quando, quanto e perché usarlo — e quando invece metterlo via — allora l’educazione può diventare più efficace del controllo. Perché non è il cellulare in sé il problema, ma l’assenza di una guida capace di trasformarlo in uno strumento di crescita, e non di isolamento.

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