da Repubblica
15 LUGLIO 2023
In 200mila al Festino di Palermo,
anatema del vescovo Lorefice contro la mafia:
“Uccide i nostri figli con la droga”
di Claudia Brunetto
Nel buio della peste si sono ritrovati in duecentomila. E si sono aggrappati ai santi del cielo e della terra per arrivare alla luce, metafora di un mondo migliore.
Palermo si è stretta attorno alla sua patrona, a fratel Biagio e al beato Pino Puglisi nella notte della 399esima edizione del Festino di Santa Rosalia che partendo dal tema del sogno ha voluto raccontare una rinascita fatta di piccoli gesti quotidiani. Una folla straripante, tanto che il cordone della protezione civile ha avuto serie difficoltà a fare defluire la gente lungo il corteo.
La peste ha il volto della mafia, ammonisce l’arcivescovo Corrado Lorefice, salito sul carro di Santa Rosalia in cattedrale. Ricorda la morte per droga del giovane Giulio Zavatteri, nello stesso giorno di settembre in cui era stato ucciso padre Puglisi. E scandisce il suo anatema: «La mafia uccide i nostri figli». Ma punta il dito anche contro chi sniffa: «Chi usa droga rimpingua le tasche dei mafiosi», ammonisce il presule.
Prima, quando l’attore Salvo Piparo era apparso dalla balconata di Palazzo Reale, era già buio pesto. Non c’era il carro illuminato, le luminarie di corso Vittorio Emanuele erano spente. Di nero era vestito anche lui nei panni di un frate del tempo. «In principio era in caos nella città degli uomini — dice Piparo — L’odore marcio dei corpi appestati invade i nostri cuori e i nostri pensieri».
Calano i drappi neri dal palazzo, mentre il carro con la sua luna alta nove metri avanza nel buio e nel silenzio fino alla cattedrale con la statua della Santuzza ancora coperta. Una ragazza dai grandi occhi azzurri, realizzata da Franco Reina nel 2017. I tamburi della storica famiglia Aucello suonano una marcia lenta e funebre. Il sindaco Roberto Lagalla al suo secondo Festino e molti dei componenti della sua giunta seguono. Questa volta senza mascherine sul volto. La pandemia appartiene al passato, è tempo di rinascita.
Alla cattedrale si cambia. La facciata centrale si riempie di colori: sono le immagini e i video creati in light painting, angeli barocchi e contemporanei, nuvole, pianeti e stelle. Il tema del sogno prende corpo mentre l’attrice Egle Mazzamuto interpreta Girolama La Gattuta che indicò dove ritrovare le ossa della santa e salvare così Palermo dalla peste e l’orchestra giovanile e il coro delle voci bianche del Teatro Massimo riempiono lo spazio di musica.
Il corteo della gente che segue il carro diventa sempre più fitto nonostante il caldo opprimente. Non c’è spazio per accedere al sagrato della cattedrale. Turisti da tutto il mondo con gli smartphone in alto cercano di immortalare le proiezioni in cattedrale. Si chiamano entrambe Rosalia e per il nome che le lega alla Santuzza sono venute a Palermo da Toulouse, in Francia: «Abbiamo fatto di tutto per esserci. È una festa cui volevamo partecipare da anni. E finalmente siamo qui». Tante ragazze sono vestite a festa con i fiori sulla testa, in omaggio alla Santuzza.
L’intervento spettacolare degli acrobati di BlueSon Sway Pole accompagna l’avanzare del carro verso i Quattro Canti: alla fine dello spettacolo Lorefice benedice il carro e la santa è svelata. «Santa Rosalia ci ha salvato da pesti antiche e moderne — ha detto Lagalla nel giorno della santa patrona — Auguro alla città un futuro migliore del presente. A Santa Rosalia chiediamo come amministrazione di ispirare i gesti di chi come noi ha la responsabilità del governo. Non è cambiata l’emozione, sicuramente è aumentata la speranza. C’è la consapevolezza che la strada è molto lunga e che per risollevare definitivamente la città ci vorrà del tempo».
Si avanza lentamente verso i Quattro Canti, dove migliaia di persone attendono l’arrivo del carro, realizzato dagli allievi dell’Accademia di Belle arti e da alcuni ospiti della missione “Speranza e carità” fondata da Biagio Conte. A bordo di una grande stella dalle vele bianche salgono i nove acrobati della compagnia Sonics: volteggiano nel vuoto davanti a Palazzo Costantino da dove poco dopo l’attrice Rori Quattrocchi leggerà un omaggio a Santa Rosalia.
A quel punto il sindaco sale sul carro, davanti alla luna bianca sospesa fra le nuvole accanto alla Santuzza, con don Pino Vitrano arrivato dalla sede della missione di via Archirafi a bordo di una motoape. Accanto a loro c’è anche Carola Schirò, mamma di tra figli che a Brancaccio da oltre dieci anni collabora con il centro Padre Nostro che ha raccolto l’eredità di Puglisi.
Ai Quattro Canti, dopo lo spettacolo aereo degli acrobati, il sindaco sale sul carro con la fascia tricolore e un fascio di rose in omaggio alla Santuzza. Con lui don Pino, nel suo saio verde come Biagio Conte, e la mamma di Brancaccio. Lei per prima ha gridato alla folla: “Viva Palermo, Santa Rosalia, don Pino e Brancaccio”. Poi tocca a don Pino: “Ripetete con me: viva Palermo, Biagio e Santa Rosalia”. infine il sindaco lancia l’urlo fra la folla, tra applausi e grida. «Auguri e speranza per tutti», aggiunge don Pino.
Si spalancano i balconi dei palazzi, la festa cresce lungo il Cassaro finalmente illuminato. Una luce che porterà i palermitani ad abbracciare idealmente Biagio Conte e Pino Puglisi. I loro volti appaiono sulle pareti di Porta Felice. Il sigillo della speranza segna il Festino, prima dei fuochi d’artificio sul mare. Quando la città si dimentica dei suoi mali e guarda fiduciosa l’orizzonte.
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da Repubblica
L’arcivescovo Lorefice:
“Istituzioni assenti nella lotta alla droga.
I politici che la usano finanziano la mafia”
di Claudia Brunetto 09 Luglio 2023
L’arcivescovo Lorefice: “Istituzioni assenti nella lotta alla droga. I politici che la usano finanziano la mafia”
L’arcivescovo: “Se alcuni rappresentanti delle istituzioni fanno uso di cocaina mi domando allora se la loro assenza nelle occasioni pubbliche in cui abbiamo affrontato l’emergenza droga sia motivata non soltanto dal disinteresse o da altri impegni istituzionali
Sull’emergenza droga che uccide i ragazzi della città ha tuonato più volte. L’ha fatto a fine maggio dal palco dell’ex cinema Edison nel cuore dell’Albergheria dove i giovanissimi ogni giorno si fanno di crack, l’ha fatto di nuovo qualche giorno fa da un’aula universitaria, accanto a Francesco Zavatteri che ha perso il figlio Giulio a 19 anni per overdose.
L’arcivescovo Corrado Lorefice non lo dimentica: «La società civile, le associazioni, le famiglie si sono mobilitate da tempo per l’emergenza droga che uccide i nostri ragazzi, hanno organizzato incontri, hanno cercato di dare risposte concrete, di assumersi una responsabilità civile appunto. I rappresentanti delle istituzioni, eccetto pochissime eccezioni, invece, in queste occasioni non c’erano. Possiamo registrare un grande vuoto».
E dopo il caso della cocaina entrata fra le mura dell’Ars, si chiede il perché di questa assenza.
«Se alcuni rappresentanti delle istituzioni fanno uso di cocaina — dice Lorefice — mi domando allora se la loro assenza nelle occasioni pubbliche in cui abbiamo affrontato l’emergenza droga sia motivata non soltanto dal disinteresse o da altri impegni istituzionali, ma anche dal fatto che loro stessi sono coinvolti. La droga dei ricchi, mentre a poche centinaia di metri dal parlamento siciliano, i ragazzi muoiono per gli scarti della stessa droga». L’arcivescovo tornerà sulla questione per lui prioritaria anche in occasione del suo discorso alla città per il Festino di Santa Rosalia. La città del bene e la città del male. «Rosalia ci ricorda un Dio presente nella città — dice l’arcivescovo — . Un Dio che ci chiede di assumerci la responsabilità di costruirla insieme. Tutti. A maggior ragione chi si assume il compito di amministrare la città».
Lorefice, l’assenza delle istituzioni l’ha delusa?
«Ha deluso soprattutto le mamme e i papà che vivono sulla loro pelle il dramma di un figlio che si droga. Una mamma che arrivava da Sciacca, qualche giorno fa all’incontro dell’università, l’ha detto pubblicamente: “Mi aspettavo un’aula piena e soprattutto la presenza di tutti i politici”. Gli adulti hanno una grande responsabilità nei riguardi dei giovani che si perdono nella droga. Credo che i giovani siano così sbandati perché siamo noi adulti i primi a esserlo. Siamo immaturi, adolescenti che dovrebbero introdurre nella loro vita altri adolescenti e non ci riescono. Il nodo siamo noi adulti non i ragazzi e gli ultimi fatti di cronaca che raccontano il consumo di droga fra i rappresentanti dell’Ars riporta alla ribalta questo tema cardine».
Quanto pesa la responsabilità degli adulti se sono anche rappresentanti delle istituzioni?
«La questione etica nasce nel momento esatto in cui si assume una funzione e un servizio pubblico. A quel punto io non sono più un semplice cittadino. Io non sono solo Corrado Lorefice, sono l’arcivescovo di Palermo, e le mie azioni non riguardano più soltanto me come privato cittadino, ma interpretano anche il mio ruolo, il mio servizio per la collettività. Uno che è padre deve sapere che ha un ruolo educativo e che si educa non soltanto con le parole ma con tutta la sua vita, un uomo delle istituzioni ha una responsabilità educativa talmente forte che deve sempre pensare a ogni singolo gesto che compie».
Un politico che fa uso di cocaina non può, dunque, liquidare la questione come un fatto personale…
«Assolutamente no. I loro gesti fanno scuola: a quel punto non potranno più salire in cattedra e dire come risolvere, per esempio, la vicenda dei giovani in preda al crack, dire come combattere questa emergenza, proporre una legge per contrastarla se magari loro stessi fanno uso di droga. Come si fa? Quale autorevolezza potrebbero avere? Credo che si stia perdendo completamente questa consapevolezza, cioè che quando si assume una funzione pubblica, un ruolo civile, un tuo gesto può condizionare in positivo o in negativo chi lo vede o chi lo legge. Si è perso di vista il ruolo educativo dei rappresentanti delle istituzioni, che sono prima di tutto dei formatori, non dei semplici burocrati. Chi decide di mettersi in gioco in politica e quindi nella costruzione della città degli uomini deve essere capace di una vita esemplare. Come lo è ancora padre pino Puglisi a trent’anni dalla sua morte per mano mafiosa. Questo non si può dimenticare. E nel caso dell’uso della droga c’è anche un’aggravante».
Quale?
«I giovani uccisi dalla droga, sono giovani uccisi dalla mafia perché l’industria della droga è nelle mani delle organizzazioni mafiose come è noto. I politici che consumano cocaina alimentano quest’industria, la stessa che con cinque euro distrugge la vita dei ragazzi, li raggiunge per strada, all’uscita di scuola. Se c’è il crack, lo scarto della cocaina, la droga dei poveri, è chiaro che a monte c’è chi si può permettere di pagare una dose di cocaina cento euro. Una doppia beffa: come rappresentante delle istituzioni alimento tutte le conseguenze dell’industria della droga in mano alla mafia. Attenzione a questo. Chi consuma droga, chi la spaccia alimenta questa industria. Sia chiaro».
Un corto circuito. Le istituzioni che dovrebbero contrastare la mafia in qualche modo la alimentano…
«Non è una questione moralistica, si tratta di etica. Quando muore un giovane a 19 anni per crack, come fa un rappresentante delle istituzioni che fa uso di cocaina a presentarsi? Probabilmente sanno che dal punto di vista etico non possono assolutamente rappresentare nulla. L’assenza è motivata anche da questo? Me lo chiedo».
Che appello vuole lanciare ai politici per tutti i giovani della città?
«Di riappropriarsi dell’identità etica di chi rappresenta le istituzioni: non sono un luogo di ostentazione di potere, ma sono un luogo di servizio perché devono costruire la città umana. Sono al servizio soprattutto della libertà dei cittadini da ogni forma di potere che strumentalizza, invece, le problematiche sociali che vive una città come Palermo per altri fini che sono quelli tipici della mafia».
Cosa si può chiedere come intervento concreto per affrontare l’emergenza droga in città?
«La proposta di legge regionale per un intervento sociosanitario integrato sulle dipendenze che il dipartimento di Giurisprudenza sta portando avanti con il lavoro di studenti, docenti ed esperti non deve essere l’ennesima che finisce nel dimenticatoio del parlamento siciliano. Non possiamo disattendere il lavoro che è stato fatto dal basso, dalla carne delle persone che hanno scelto di avere un ruolo politico autentico nella città che abitano. Perché la politica non è quella che si fa nei palazzi e nei partiti. A maggior ragione dopo questi fatti di cronaca, dunque, il governo regionale deve assumersi la responsabilità di portarla avanti».
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