da www.huffingtonpost.it
17 Agosto 2023
Messina, la mia città.
Michele Ainis: “Il Ponte sullo Stretto viola
il principio costituzionale di tutela del paesaggio”
di Adalgisa Marrocco
Il giurista a Huffpost: “Mi sembra che siano ignorati i problemi tecnici, eolici, sismici, geologici, come si ignorano le sorti dei cittadini. Tutto per una specie di astronave sospesa tra due mulattiere. Ma si può decidere tutto questo senza l’approvazione popolare?”
Professor Ainis, qual è il suo legame con Messina, la sua città natale?
Ho trascorso a Messina i primi trent’anni della mia vita e, nonostante abbia vissuto più tempo lontano da lei che con lei, mantengo un legame molto forte con la città. Mi hanno proposto diverse volte di candidarmi come sindaco ma ho rifiutato. Alla città ho dedicato uno dei miei romanzi, Risa (La Nave di Teseo, 2018), che ho portato nelle scuole del territorio e anche nel mio vecchio liceo, il Maurolico, che dalle pagine del libro avevo fatto scomparire ma che grazie al libro ho ritrovato.
È un territorio ricco di storia, che è stato anche fonte d’ispirazione letteraria. A partire da Omero…
Lo specchio d’acqua dello Stretto è quello dove un tempo navigava Ulisse. Ne hanno scritto anche Tucidide, Virgilio, Lucrezio, Ovidio, Dante, D’Arrigo e Goethe, che a Messina arrivò pochi anni dopo il tremendo terremoto del 1783. Una ferita mai rimarginata.
Ci spieghi.
Il simbolo di Messina era la Palazzata, una cortina compatta e continua di edifici innalzata nel Seicento dove le famiglie più importanti della città avevano il loro sito. Il “teatro marittimo”, così lo chiamavano per lo spettacolo che offriva ai viaggiatori che entravano dalla “porta” della Sicilia, era stato costruito per durare nei secoli, invece il terremoto del 5 febbraio 1783 lo distrusse. Allora i messinesi ricostruirono la Palazzata, più ricca, più sontuosa e più estesa di prima. Finché, nel 1908, un altro terremoto, il più devastante della storia d’Europa con i suoi 80mila morti, la ridusse nuovamente in polvere. Rimase soltanto qualche muro traballante, che venne bombardato dalle navi per evitare ulteriori vittime: l’uomo completò l’opera distruttiva iniziata dalla natura e la Palazzata non venne mai più ricostruita. Un’ulteriore ferita venne inferta alla città dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. E così oggi le architetture più antiche risalgono agli anni Trenta del secolo scorso. Il paesaggio urbano, insomma, è stato privato dei segni del passato e Messina è diventata una città senza memoria, non per sua colpa. Credo che questo abbia inciso sul carattere dei messinesi.
In che modo?
Per Messina il terremoto è stato come un colpo di spugna sulla lavagna della Storia: a un certo punto la città si è arresa alla natura matrigna e al corso degli eventi. Penso che, al di là dell’operosità dei suoi abitanti, che mi sembra si sia un po’ persa, la vera ricchezza di questa città risiedesse e risieda nel suo straordinario affaccio sul mare, unico nel mondo. Ma neanche quello è stato sfruttato.
A cosa si riferisce?
Messina ha sviluppato la sua struttura lungo la costa, ostruendo e offuscando la vista sul mare con una serie di edifici non molto gradevoli. Quando torno in città e ho occasione di partecipare a eventi pubblici, spesso mi trovo a dire che dovremmo rimuovere il sovrappiù, liberandoci degli eccessi accumulati per ritrovare aria e vista, così da permettere al territorio di recuperare la sua autentica bellezza e il suo potenziale.
A proposito di sovrappiù: la costruzione del Ponte di Messina è nuovamente oggetto di dibattito. Lei ha aderito al comitato “Invece del Ponte”. Perché questa scelta?
Già in passato ho espresso dubbi e perplessità in merito a questo progetto, e oggi ritorno a ribadirli con la convinzione che esso contravvenga al principio costituzionale di tutela del paesaggio. Che ne sarà di quello specchio d’acqua, quando una cicatrice nera sfregerà l’orizzonte? Lo Stretto di Messina, oltre a essere parte integrante del patrimonio naturale, riveste anche un’importanza “glocale”, poiché, come ogni autentico bene culturale, affonda le sue radici in una specifica area geografica, rappresentandone l’anima e la cultura ma, al contempo, parla un linguaggio universale e appartiene all’intero pianeta. Lo Stato italiano, che ha appena riformato l’articolo 9 della Costituzione per rafforzare la tutela del paesaggio, con questa iniziativa ne diventa il primo nemico. Per non parlare dei dubbi tecnici…
Cosa si sta trascurando?
Molti esperti ritengono che il Ponte sia di fatto irrealizzabile. Con una lunghezza di 3 chilometri e 3, diventerebbe il ponte a campata unica più grande del mondo, battendo anche il record di quello dello Stretto dei Dardanelli in Turchia. Sussiste poi il rischio eolico: i venti molto forti che colpiscono la zona bloccherebbero il traffico per almeno 30 giorni all’anno. Per non parlare del rischio sismico in un territorio che ha alle spalle una storia di terremoti catastrofici. E non dimentichiamo che le due placche continentali che si trovano ai lati dello Stretto si stanno allontanando lentamente, circa un centimetro all’anno: in due secoli, questo si tradurrebbe in diversi metri di separazione, mettendo il ponte a rischio di rottura. Mi sembra che questi problemi siano ignorati, come si ignorano le sorti dei cittadini.
Loro a cosa andrebbero incontro?
Secondo il comitato “Invece del ponte”, i lavori durererebbero almeno 10 anni, basandosi sulla comparazione con progetti come il Terzo valico e altre opere pubbliche incompiute. Nel frattempo, Messina subirà scavi, sarà attraversata da centinaia di camion ogni giorno, con polvere nell’aria e rumore assordante.
Eppure il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, sta facendo di questa opera una bandiera…
Probabilmente è un modo per oscurare altre questioni. Si otterrebbe una specie di astronave sospesa tra due mulattiere: non dimentichiamoci che la Sicilia è attraversata dal treno più lento d’Italia, ci vogliono 13 ore per andare da Trapani a Ragusa. E poi è una promessa di rinascita economica a cui molti potrebbero credere in una città in crisi demografica ed economica. Purtroppo, però, la prospettiva di un’opera di questo tipo solleva problemi che vanno al di là della mera questione infrastrutturale e toccano nuovamente la Costituzione.
Ovvero?
La nostra Carta sancisce che “la sovranità appartiene al popolo”. Si può, dunque, decidere tutto questo senza l’approvazione dei cittadini? Sarebbe quantomeno necessario un referendum consultivo, magari estendendolo a tutti gli italiani, visto che le grandi opere hanno sempre un rilievo nazionale e che si parla di una spesa prevista di 11 miliardi. Ma si sa: la Costituzione, povera donna, è sempre ignorata dai più.
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