Rileggere Flaiano e la guerra spiegata ai poveri, nel mondo del conflitto permanente

da www.huffingtonpost.it
19 Agosto 2024

Rileggere Flaiano e la guerra spiegata ai poveri,

nel mondo del conflitto permanente

di Adalgisa Marrocco
Era il 1946, con l’Italia che avviava il complicatissimo percorso della ricostruzione, quando lo scrittore usciva con un atto unico polemico, acido, divertente nel suo cupo pessimismo, sulla follia della guerra
A volte serve staccarsi dalla realtà, per comprenderla a fondo. Era il 1946, ed Ennio Flaiano si accingeva, in un’Italia che aveva appena iniziato il complicatissimo percorso di ricostruzione, a rappresentare la follia della guerra. Lo faceva con un atto unico polemico, acido, divertente nel suo cupo pessimismo che intitolava La guerra spiegata ai poveri, portandolo in scena per la prima volta proprio nel ‘46 al teatro Arlecchino di Roma. Il testo, assente dalle librerie da decenni, oggi ritrova la luce nella nuova edizione della Rogas.
“Apologo” è il termine che meglio descrive il linguaggio utilizzato da una delle penne più profonde e geniali del Novecento italiano. Una trama costruita tutta sui dialoghi – tremendamente cinici e grotteschi, altro che politicamente corretto… – fra un gruppo di personaggi dalla fortissima carica simbolica. C’è un Presidente che decide di fare la guerra: non viene addotta alcuna reale motivazione che non sia la guerra stessa, dipinta come un destino ovvio, ineluttabile e soprattutto trionfale. Nelle parole del Presidente la guerra che sembra essere l’unico fine della Storia, fastidiosamente interrotto da sgradevoli parentesi di pace. C’è poi un Generale folle, ricoperto di lustrini e di medaglie, che parla come una parodia della più consumata retorica di un Marinetti o di un D’Annunzio. C’è un Ministro della Superproduzione – attenzione a questo personaggio, dietro al quale Flaiano cela la vera essenza di ogni guerra – che sforna sull’unghia costi e, soprattutto, benefici dell’imminente conflitto: un’economia che nulla ha a che vedere col benessere delle persone, staccata da qualunque dimensione “reale”. Il conflitto viene quindi benedetto da un Perito Religioso e cantato con ammirato cinismo da una Signora. E infine c’è il Giovane che non vuole andare in guerra. Colui che con ingenuità ascolta l’assurdo rosario di lodi dell’epica guerresca, e non lo capisce. Che trova insensata ogni motivazione addotta dai “potenti”, che sente il peso di decisioni prese sopra la sua testa ma che ben si piantano sulle sue spalle. Ecco: il Giovane che somiglia moltissimo a noi. Gli altri personaggi, invece, possono somigliare ai protagonisti della scena internazionale: ognuno potrà dar loro il volto di oggi che preferisce.
È un Flaiano già ben inserito nel mondo culturale italiano, quello che scrive La guerra spiegata ai poveri. Meno di un anno dopo uscirà Tempo di uccidere, il suo romanzo più importante e più noto, vincitore della prima edizione del Premio Strega. L’attività di sceneggiatore e di giornalista è ben consolidata, mentre la carriera di drammaturgo inizia proprio da qui, dal teatro Arlecchino, poi teatro Flaiano (il “teatro tascabile” ritrovo di molti intellettuali), e riprenderà solo nel decennio successivo fino ad arrivare alla commedia largamente più nota e citata, Un marziano a Roma.
C’è qualcosa di straordinariamente attuale, in questo breve testo. Qualcosa che va oltre la semplice trasfigurazione della guerra, ahinoi tremendamente contemporanea. Quel che più ci “parla”, di questo atto unico, è il pessimismo che sembra sfociare, dietro la grottesca comicità, nella disperazione più plumbea. È l’incapacità del personaggio del Giovane di disporre di un qualunque mezzo, sia soltanto verbale, per opporsi a quello che sembra un sentiero immutabile. Alla fine della commedia, i suoi dubbi si riveleranno fondati, i suoi ragionamenti saranno gli unici dotati di buon senso, ma servirà a poco: il ragazzo è infatti morto in una guerra che non voleva. “Povero giovane, consolati. Molti bambini nascono e non sanno nemmeno che nei magazzini militari del paese amico c’è già pronta la pallottola per loro. Addio”.

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